Antonio Juvarra – “Soffiar cantando?”

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Nel suo articolo di inizio mese scritto per noi, Antonio Juvarra si occupa, con il suo consueto stile affilato e determinato nell’ argomentazione, di confutare le teorie della foniatria applicata al canto.

 

SOFFIAR CANTANDO?? 

 Sono in molti a concepire l’ espirazione cantata come un ‘soffiare’, soprattutto dopo che i foniatri si sono inventati (loro!) il brevetto per cantare meglio, brevetto che consiste nel cantare applicando alla bocca una museruola (!) o, più precisamente, una mascherina di ventilazione tappata (!), chiamata, dal nome del suo ideatore (esperto di canto quanto io sono esperto di foniatria), ‘mascherina di Borragan’. Già la semplice constatazione del fatto che se una ‘mascherina’ di ventilazione’ (finalizzata per definizione a garantire e non ostacolare il processo naturale della respirazione) viene tappata, non può che trasformarsi logicamente nel suo contrario, cioè in una mascherina di asfissia, avrebbe dovuto far sorgere nel suo ideatore (e nei suoi seguaci) il sospetto che essa non abbia NULLA a che fare col canto, il quale invece si dà il caso che VIVA della respirazione naturale e ancora di più del parlato. Nessun sospetto di questo tipo purtroppo ha mai attraversato la testa dei collezionisti di gadget foniatrico-vocali, gadget che agiscono da vere e proprie manovre abortive del canto. Addirittura, siccome anche le scemenze amano accoppiarsi tra loro, è accaduto che un ignoto venditore di queste mascherine anti-vocali  ha pensato bene di presentarle su Amazon come il magico strumento per portare il suono ‘in maschera’, riuscendo così a piazzare sul mercato del canto foniatrico (ossimoro) non già due piccioni, ma due sarchiaponi (siamesi) con una fava.

Soffiare implica un’attività muscolare diretta a fare uscire velocemente il fiato, per lo più vincendo una resistenza. La resistenza può essere rappresentata o dalla semi-occlusione delle labbra allo scopo di concentrare il getto d’ aria (come succede quando si vuole spegnere una candela) o dall’ imboccatura di uno strumento a fiato o, appunto dalla mascherina di ‘asfissia’ di Borragan. Già da questa definizione e da questa casistica si evince facilmente che il soffiare non ha nulla a che fare col naturale fluire dell’ aria nel vero canto, come dimostra il mito della gara tra il cantante Apollo e il flautista Marsia, gara terminata con la vittoria finale del CANTANTE Apollo sul  SOFFIATORE di tubi Marsia e con la conseguente estrazione simbolica di quest’ ultimo dal suo ‘tubo di pelle’ corporeo, a futura memoria e diffida a chi fosse ancora tentato di mettere sullo stesso piano il cantare e il soffiare nei tubi (o nelle mascherine). Stessa smentita ci è offerta dal test belcantistico del cantare davanti alla fiamma di una candela senza farla oscillare. 

Ove ciò non bastasse, a confermare ad abundantiam l’ assoluta inanità delle tecniche vocali ‘eoliche’, brevettate dai Borragan dell’anti-canto, abbiamo a disposizione anche il principio belcantistico ‘si canta come si parla’. Non bisogna dimenticare infatti che, pur essendo la respirazione del canto più ampia di quella del parlato, il sistema naturale (automatico!) di regolazione dell’ aria su cui entrambe si basano,  è lo stesso e non risulta che nessun essere umano abbia mai avuto bisogno di soffiare o di controllare direttamente la fuoriuscita dell’ aria per poter parlare. Questo per lo meno finché ai ‘foniatri artistici’, sulla scia dei medici che prescrivono medicine alle persone sane, non verrà in mente l’ idea di prescrivere l’uso della mascherina asfissiante di Borragan anche per parlare ‘meglio’.

Da dove nasce, ci si potrebbe chiedere, questa cantonata? Nasce dal fatto che nel canto la sensazione del tranquillo e placido lasciar fluire il fiato, che è consustanziale al canto di alto livello (da cui l’ espressione tradizionale, nata per definirlo, che non è ‘cantare soffiando’, o cantare ‘col fiato’, ma è ‘cantare SUL fiato’), nella zona acuta viene a coesistere (senza per altro mai cessare!) con la sensazione di un’ aumentata pressione respiratoria, generata dal sistema naturale  dell’ appoggio e dalla maggior adduzione delle corde vocali. È questa pressione elastica progressiva che induce erroneamente il cantante a pensare di essere stato lui, con un atto volontario diretto, a generarla, ma è chiaro che la sua è la stessa illusione del bambino, seduto sull’ automobilina di una giostra, che muove il volante e pensa di essere lui a guidare. Ovviamente perché questo processo naturale (chiamato ‘appoggio’) possa avviarsi, occorre stabilire il giusto incontro iniziale tra il giusto suono e il giusto respiro, altrimenti si otterrà l’ equivalente del tizio che voleva applaudire, ma le cui mani non s’incontrarono mai perché una delle due era stata posta ‘tecnicamente’ dieci centimetri sopra l’ altra.

In effetti il vero cantante continua a lasciar fluire l’ aria (pur nel variare automatico della pressione respiratoria in rapporto all’ altezza e alla dinamica del suono) e  non la fa fuoriuscire soffiando o attivando volontariamente i muscoli addominali, atti grossolani che si traducono immediatamente in una spinta e in un colpo, distruggendo quella che è e deve rimanere un’ autoregolazione naturale del fiato, e da questo punto di vista è significativo (se non illuminante) il fatto che in inglese ‘soffio’ si dica ‘blow’, che però significa anche ‘colpo’ e ‘scoppio’: tre fenomeni accomunati dal fatto di non essere propriamente né eufonici né umani. La verità è che il misterioso rapporto esistente nel canto tra la percezione del fiato che FLUISCE, e il suo apparente opposto, cioè il ‘senso muscolare’ dell’ appoggio respiratorio, rimarrà sempre ignoto a quegli osservatori esterni del fenomeno che sono i foniatri artistici. 

Qual è il ragionamento che, in quanto tali, i foniatri sono portati a fare? Sapendo che la pressione dell’ aria aumenta andando nella zona acuta della voce e notando nei cantanti una maggiore tonicità dei muscoli respiratori in quella zona, i foniatri artistici dell’Ottocento (seguiti a ruota da quelli del Duemila) hanno fatto 2+2, deducendo ‘scientificamente’ che il cantante per appoggiare la voce deve aumentare intenzionalmente la pressione del fiato attivando direttamente i muscoli respiratori. Da qui gli ‘anti-vocalizzi’ foniatrici a base di ‘sssss’, ‘zzzzz’, ‘rrrrrr’, ‘brrrrr’, ‘sirene’, cannucce, mascherine asfissianti e altra paccottiglia messa sul mercato dalla foniatria artistica per ‘pressurizzare’ meglio il ‘pallone’ respiratorio. Tutti espedienti che aumentano (fino a triplicarla nel caso dei ‘trilli’ labiali e linguali) la pressione realmente NECESSARIA per appoggiare il suono, col risultato di inibire totalmente la percezione del tranquillo fluire del fiato, elemento costitutivo di quella morbidezza, che deve essere insita fin dall’inizio anche nel suono più potente (da cui la formula di Lauri Volpi “suono leggero e potente”). 

Il risultato dell’ operazione ‘idraulica’ di pressurizzazione del fiato (operazione che alcuni hanno il coraggio di paragonare allo strizzare la canna dell’ acqua per allungarne il getto) non è altro che, miseramente, la cosiddetta “voce spinta” (eufemisticamente chiamata “voce proiettata”) e questi sono gli inconvenienti che accadono tutte le volte che si scambia per fatto obiettivo una semplice interpretazione della mente razionale, interpretazione basata il più delle volte su una metafora inconsapevole che, in quanto tale, è solo un’ approssimazione per via analogica e non una coincidenza totale con la realtà. Questa (la REALTA’) ci dice che il cantante (vero) non fa nulla né per “pressurizzare” né per soffiare né per “trattenere” l’ aria e tanto meno attiva fantomatici “torchi addominali”, operazione questa che interessa i facchini e non i cantanti. 

Infatti quella che (nella zona acuta) SEMBREREBBE un’ attivazione muscolare volontaria, è invece una tensione elastica espansiva AUTOGENA, il che significa che si tratta di un fenomeno naturale ‘cumulativo’ e progressivo, affine a quello di una valanga, la quale non si crea aggiungendo neve col badile, ma si crea da sola a determinate condizioni fisiche ovvero naturali, condizioni che, analogamente, anche nel canto non vengono create artificialmente, ma semplicemente predisposte e messe in rapporto tra loro, e questo è il significato del concetto di “tecnica vocale naturale”, ovvero tecnica vocale basata sullo scoprire e “assecondare gli impulsi naturali” (Giambattista Mancini, 1777). 

Pertanto i due fenomeni (la fuoriuscita del fiato e l’ appoggio) sono legati tra loro NON da un rapporto meccanico diretto come quello intercorrente tra la pressione esercitata su un pallone (o uno pneumatico) e la fuoriuscita dell’ aria, ma da una relazione più complessa com’è quella intercorrente tra la luce e il calore. Più precisamente, a differenza del lasciar fluire il fiato, il soffiare induce una tensione costrittiva, che sopprime ipso facto la componente espansiva del vero canto. 

Conclusione: chi ‘soffia’ e/o ‘pressurizza’ il fiato (suo o degli allievi), potrà definirsi, ad libitum, un vocologo, un imitatore vocale o, secondo il grande soprano Lilli Lehmann, un “idraulico”, ma mai un vero cantante né, tanto meno, un vero maestro di canto.            

In un’epoca in cui la fantascienza foniatrica è riuscita a far credere che dei due momenti di cui si compone la respirazione (inspirazione ed espirazione), il più importante non sarebbe quello che prelude al secondo, cioè l’inspirazione, bensì il ‘secondo’ (cioè, etimologicamente, quello che ‘segue’), un giorno accadde che, con un vero e proprio colpo di scena, il grande tenore Beniamino Gigli ebbe a rivelare che lui, “se inspirava bene, poi cantando non pensava più alla respirazione”, il che, oltre a far piazza pulita di tutti i meccanicismi pseudo-tecnici in fatto di respirazione, rappresenta l’autorevole conferma di un fatto: la vera espirazione cantata è un processo che si svolge da solo e non qualcosa che si deve ‘fare’, come i concetti di ‘soffiare’ e di ‘sostenere’ invece implicano. D’ altra parte, se, come incredibilmente è accaduto, i foniatri sono riusciti a CAPOVOLGERE la respirazione naturale globale, facendo dell’ inspirazione un movimento discendente invece che, come in realtà è, ASCENDENTE, e trasformando così il sospiro di sollievo in ‘sospiro di abbassamento’, è ovvio che a questo punto l’ espirazione cantata non potrà che diventare una procedura meccanica compensativa dell’ errore iniziale e quindi un ‘sostegno’ volontario diretto, impedendo che si manifesti per ciò che invece è: una forma di EQUILIBRIO DINAMICO NATURALE CHE SI AUTOSOSTIENE e questo è il vero significato del termine tradizionale “appoggio”. Essendo un fenomeno che si autosostiene e si autoalimenta, il vero appoggio non ha bisogno di appoggiarsi a nessun “sostegno” esterno, come invece ha teorizzato (con un’ altra cantonata) la foniatria artistica, partorendo la coppia (nefasta) dell’ “appoggio-sostegno”, intesa come combinazione di due azioni volontarie di segno contrario. In questo modo ci si dimentica che non solo quel processo particolare chiamato canto, ma anche quel processo globale, chiamato REALTA’, non dipende da alcuna causa esterna, ma si sviluppa per immanenza. 

Più semplicemente il canto è paragonabile a un aliante, che si appoggia placidamente sull’ aria sottostante, e non a un elicottero, che precipiterebbe, se non continuasse a far girare col motore le pale dell’ elica, attività motoria (nociva nel caso del canto), assimilabile sia al soffiare l’ aria cantando, sia al moderno sostenere il diaframma (o la ‘colonna d’aria) facendo rientrare i muscoli addominali con un atto volontario.

Ma già il concetto di giusto attacco del suono, che secondo la tecnica del belcanto deve essere un auto-avvio che avviene ‘sul fiato’, cioè sul movimento della fuoriuscita naturale del fiato (come succede col sospiro di sollievo), esclude che il fiato possa essere oggetto di un ‘soffiare’ attivo. Senza dire che mentre l’ esigenza di una inspirazione ampia nel canto può essere equivocata nel senso di realizzarla erroneamente in modo attivo e non distensivo-espansivo, invece per arrivare a teorizzare che l’ espirazione cantata necessita di un intervento muscolare attivo di emissione del fiato ci vuole tutta la fantasia dei foniatri con la loro notoria incapacità di distinguere gli effetti di un fenomeno dalle sue cause, cioè il fumo dall’ arrosto. Pensare infatti che siccome cantando fuoriesce il fiato, allora per cantare occorra soffiare, è esattamente come pensare che siccome il sole illumina e riscalda, allora per riscaldare una stanza occorra illuminarla o che per illuminarla occorra riscaldarla.

Si può dire che la foniatria non è nuova a cantonate del genere e il motivo è che non riesce a concepire ed accettare l’ idea che nei fenomeni autenticamente naturali, cioè reali (diversamente dai fenomeni artificiali, creati nei laboratori del dott. Frankenstein) gli opposti sono complementari, cioè coesistono e si fondono tra loro, ma senza confondersi. In altre parole, nella natura (cioè nella realtà) l’ incontro-accordo di due opposti (a partire dalle due dimensioni costitutive del canto, il fiato e il suono) non equivale a mescolanza: ciascuno dei due elementi infatti preserva la sua identità mentre entra in contatto con l’altro. Se così non fosse, scomparirebbe la POLARITA’, su cui si basa la logica naturale intrinseca di tutta la REALTA’. 

Nel caso del fiato i foniatri continuano a ignorare che il bravo cantante, anche quando sperimenta il famoso esercizio belcantistico del cantare a pochi centimetri di distanza da una candela senza fare oscillare la fiamma, non deve fare nulla per controllare direttamente il fiato, ma deve solo continuare a PERCEPIRE il fiato che da solo, liberamente, regolarmente e piacevolmente fluisce. Di fronte a questo fenomeno i foniatri, condizionati come sono dalla loro logica binaria, non riescono a venire a capo di questa (apparente) contraddizione: se il cantante lascia fluire naturalmente il fiato, come farà la fiamma della candela a non spegnersi? E come si creerà allora la giusta pressione, necessaria per produrre le note acute? 

Scavando nella mente dei foniatri, si scopre che essa è governata da un  retropensiero (non propriamente scientifico), che è dato dall’equiparazione dei polmoni del cantante agli pneumatici di un’ automobile. Ora è chiaro che se una gomma è bucata, per mantenere la pressione si renderà necessario riparare il buco e bloccare la fuga d’ aria, e questo corrisponde esattamente all’incredibile trovata, escogitata dai foniatri dell’Ottocento come mezzo per realizzare l’ appoggio nel canto: “trattenere l’ aria” (sic).  Il concetto e l’ espressione testuale “trattenere l’ aria” diventano ufficialmente nell’ Ottocento il sinonimo ‘scientifico’ di “appoggiare la voce” e questa nefasta espressione fu adottata nell’ Ottocento sia dai foniatri, sia, incredibilmente, da quel maestro di canto, Francesco Lamperti, che aveva inserito nella didattica vocale il concetto di ‘appoggio’ (tale, già a quel tempo, era il potere ipnotico della scienza!). Il tutto alla faccia dei belcantisti e del loro concetto (opposto) di “cantare sul fiato”, che ovviamente significa  galleggiare sul fluire naturale del fiato e non “trattenere il fiato” per “pressurizzarlo” meglio.   

Purtroppo anche dopo che, con i disastri da esso causati, il concetto di “trattenere l’ aria” verrà abbandonato, la foniatria artistica (e relativa didattica vocale) non rinuncerà al concetto di “pressurizzazione del fiato”: troppo tecnologico appare infatti l’ alone che lo avvolge (in questo superato solo dall’analogo sarchiapone della “proiezione”) per decidere di buttarlo nel suo luogo di destinazione naturale, che è la discarica. Ecco che allora per garantire la giusta “pressurizzazione” del fiato, si ricorrerà disinvoltamente all’ espediente opposto: non più il “trattenere l’ aria”, ma, appunto, il soffiare attivamente l’ aria contro una resistenza, resistenza rappresentata o dalle labbra chiuse (le “sirene” di Jo Estill) o dalla mascherina di ventilazione tappata di Borragan o dalla cannuccia di Ingo Titze o dal  tubo immerso nell’acqua di non so quale altro foniatra ‘artistico’.

Con la degradazione dell’ antico ‘lasciar fluire’ l’ aria nel moderno ‘soffiare’ l’ aria, si perpetua il grande equivoco delle attuali tecniche vocali di origine foniatrica, che consiste nel pensare che determinati fenomeni autenticamente naturali, che vanno dall’ auto-avvio del suono per concepimento mentale immediato (e non per elucubrazione fisio-anatomica avente per oggetto l’ adduzione delle corde vocali) al lasciare che da sola l’ articolazione delle parole nei momenti drammatici si animi (invece che ‘scolpire’ la pronuncia), al lasciare (appunto) fluire il fiato (invece che soffiare), possano o addirittura debbano essere riprodotti artificialmente (cioè con un controllo muscolare diretto) dal cantante, il che equivale a interferire col fenomeno, riducendo così drasticamente il grado di funzionalità della propria tecnica vocale, alla faccia di tutti gli ‘scientismi’ portati a sostegno di queste teorie cervellotiche. 

Con la loro collezione dei modi più astrusi e antivocali di emettere suoni ‘cantati’ (soffiando in ‘mascherine’, ‘tubi’, ‘cannucce’ o ‘consonantizzando’ l’emissione con i vari SSSS, RRRRR, BRRRR ecc.) i vocoastrologhi dimostrano di ignorare che sul pianeta Terra (a differenza di quanto succede in Foniatrilandia) l’ atto del soffiare è utilizzato dagli esseri umani per scopi quali:  1 – raffreddare una minestra bollente;  2 – spegnere una piccola fiamma;     3 – esprimere una lieve irritazione; 4 – ravvivare le braci del caminetto; 5 – gonfiare un palloncino; 6 – suonare strumenti a fiato; 7 – tirare un proiettile con una cerbottana;   8 – creare oggetti di vetro…  ma non per parlare e neppure per cantare!     

Per queste due funzioni, infatti, al contrario di quanto hanno farneticato l’ Ingo Titze della cannuccia, il Borragan della mascherina tappata e gli altri geni della vocologia, la natura ha stabilito che gli esseri umani (normali) non soffino (tanto meno in tubi, cannucce o mascherine otturate), ma, appunto, lascino fluire il fiato. Nel canto chi soffia il fiato invece di lasciarlo fluire, genera la risonanza forzata, che nulla ha a che fare con la risonanza libera del belcanto, alias vero canto, ed è comico-surreale che i ‘foniatri artistici’, quali (sedicenti) scienziati della voce, per un verso si esibiscano in dotte disquisizioni di fisica acustica su “impedenza”, “resistenza” e “reattanza” e poi ancora ignorino la banale differenza tra “soffiare” e “lasciar fluire il fiato”, tra risonanza forzata e risonanza libera e tra disfonia ed eufonia. Se il ‘cric’ è quel congegno meccanico che magicamente fa in modo che una macchina venga sollevata con due dita senza fare alcuna fatica, al contrario le mascherine otturate, le cannucce, i tubi nell’acqua e le altre diavolerie inventate dalla foniatria artistica, sono quegli ‘anti-cric’ che fanno in modo che un cantante non solo impari a fare una fatica bestiale quando canta, ma si abitui anche a considerare normale questa fatica.

Una tradizione, che risale alla classicità, ha sempre riconosciuto nel canto e nei cantanti una superiore nobiltà proprio per il fatto che non sono costretti a fare ed esibire sforzi o pose e smorfie ridicole nell’esercitare la loro arte.  Ora i geni della vocologia, ignorando tutto questo, sono riusciti a degradare la condizione dei cantanti, costringendoli a soffiare in tubi, cannucce, mascherine otturate e, in mancanza di questi, a tapparsi la bocca con la mano o con le dita, il tutto al cervellotico scopo di migliorare la “reattanza inertiva” della voce e ottenendo come risultato (per chi ha ancora orecchie per sentire e non ha “semi-occluso” anche quelle…) un ridicolo e imbarazzante ‘scoreggiar cantando’ ( ‘fart singing” per gli italiani..) 

Il video seguente (intitolato significativamente “l’esercizio n.1 del canto, dimostrato scientificamente”) è un caso emblematico di moderna imbecillità, fatta pseudo-scienza. 

the scientifically proven #1 singing exercise (youtube.com) 

L’ autore del video (uno dei mille pappagalli foniatrici che attualmente fanno da ripetitori di scemenze pseudo-scientifiche) basa le sue asserzioni sul vecchio (e non propriamente scientifico) “ipse dixit” ovvero “l’ha detto lui!”. E chi è questo misterioso “lui”, che esimerebbe i soffiatori tubolari dal dimostrare logicamente la validità dei loro giochini? Il dott. Ingo Titze, inventore sia della cannuccia magica, sia di quel ferro ligneo disciplinare che ha nome “vocologia”.   

Così dunque parlò Ingo, il Profeta del ‘canto scientifico’ (ossimoro): se si canta semi-occludendo la bocca con una cannuccia o con un tubo, si crea una pressione sovraglottica dell’aria che, bilanciando la pressione subglottica, fa in modo che sia facilitata la vibrazione delle corde vocali. Ora questa favoletta è riuscita a spacciarsi a tal punto per scienza che tra un po’ di tempo sentiremo i suoi ripetitori esibirsi compiaciuti nel famoso intercalare di Sherlock Holmes: “Elementare, Watson!” (dove ovviamente gli ottusi Watson che stentano a bersi questa favoletta, saremmo noi!) 

Peccato per gli Sherlock Holmes del canto foniatrico che le persone normali, invece di abboccare, si lascino visitare da un dubbio salutare, che è il seguente: ma è verosimile che nel progettare la voce il Creatore si sia dimenticato di semi-occludere la bocca e non abbia subito provveduto a sostituire questa grossolana feritoia orizzontale con un bel forellino del diametro di una cannuccia (come gli avrebbe consigliato di fare Ingo Titze, se l’avesse interpellato) in modo da evitare l’inconveniente evidenziato dall’autore del video, e cioè che l’aria scappi lateralmente dagli angoli della bocca?   

Sui risultati ottenuti con queste tecniche vocali ‘pneumatiche’ (aggettivo che ovviamente i foniatri fanno derivare  etimologicamente non dall’antico ‘pneuma’, ossia ‘respiro’, ma dai moderni ‘pneumatici’…) è meglio sorvolare. Purtroppo la scandalosa propagazione dell’ ASSURDO, mimetizzato come ‘scienza’, non agisce solo ‘a valle’, cioè sul piano degli effetti disastrosi di queste trovate sulla voce dei poveri cantanti, ma anche ‘a monte’, cioè sul piano delle capacità logiche degli stessi. Se infatti, anche ammettendo per mera concessione retorica che le cosiddette “posture semi-occluse” producano gli effetti acustici positivi, decantati dai vocoastrologhi, in base a quale miracolo laico questi effetti poi dovrebbero continuare a prodursi anche quando vengono eliminate le cause acustiche e fisiologiche che li generano, cioè quando per cantare un brano ci si ritrova a dover aprire normalmente la bocca? 

La teoria della ‘memoria dell’ acqua’ era stata a suo tempo bocciata e ridicolizzata dai ‘burioni’ della scienza, e adesso dovremmo invece berci tranquillamente la teoria della ‘memoria degli orifizi’, elaborata dagli ‘ingotitze’ del canto.  Si tratta di una teoria (cervellotica), che si smentisce facilmente da sola. Infatti, se  fosse vera, essa implicherebbe due fatti, evidentemente irreali: 1 – non sarebbe più possibile cantare se non con la bocca ‘semi-occlusa’, dato che aprendo naturalmente la bocca come esige la formazione delle vocali dette appunto ‘aperte’, l’ effetto fisico della “reattanza inertiva”, prodotto da questa modalità di emissione, svanirebbe immediatamente, così come l’acqua contenuta in una pentola smette subito di bollire, se la togliamo dal fuoco;  2 – non sarebbe mai esistita (come invece è esistita)  una gloriosa scuola di canto secolare (basata sulla concezione, opposta), che è quella italiana del belcanto,  che ha prodotto i più grandi cantanti della storia.                                                                                 

Ma anche in assenza di questa clamorosa smentita sperimentale, proveniente dalla realtà, a inficiare questa teoria sarebbero sufficienti queste tre obiezioni: 

1 – la semi-occlusione del vocal tract induce ad alterare l’ emissione del fiato, che non viene più lasciato fluire, come deve succedere nel vero canto, ma viene spinto attivamente, creando una pressione eccessiva che irrigidisce il corpo e impedisce la creazione dello spazio di risonanza del canto. Come è noto, infatti, il vero cantante canta ‘sul fiato’, cioè galleggia sul fiato,lasciandolo fluire e non ‘soffiandolo’ per  ‘pressurizzarlo’. Queste due diverse modalità di emissione del fiato sono quelle che contraddistinguono, rispettivamente, i cantanti  e gli strumentisti a fiato; 2 – solo le vocali possono creare la forma fluida, cangiante e rotonda del suono cantato; cantando invece sulle consonanti, che naturalmente fungono da semplici elementi di collegamento delle vocali (con-sonanti appunto), questo spazio svanisce come svanisce lo spazio di un palloncino d’aria, bucato da uno spillo… 3 – la perfetta sintonizzazione del suono e la risonanza libera della voce (parlata e cantata) si basano sulla mobilità acustica dell’ articolazione. Ora questi esercizi di semi-occlusione del vocal tract BLOCCANO il movimento articolatorio e sono quindi l’espressione della stessa logica di chi insegnasse a qualcuno ad andare in bicicletta (altra forma di equilibrio DINAMICO naturale), obbligandolo a esercitarsi a stare fermo sulla bicicletta per mezz’ora al giorno appoggiando i piedi per terra e illudendosi poi, grazie a questi ‘esercizi’, di riuscire a correre in bicicletta rimanendo in equilibrio.

Il cumulo di assurdità teorizzate dalla fantascienza foniatrica in materia di risonanza e appoggio respiratorio e materializzatesi nei gadget carnevaleschi delle mascherine, delle cannucce e nei tubi nell’acqua, è stato sintetizzato in una sigla, che ovviamente è un acronimo inglese (altrimenti non funzionerebbe come formula magica per vendere…) e questo acronimo è S.O.V.T.E. (“semi-occluded-vocal-tract-exercises”). Essi possono essere definiti a pieno titolo i prodotti intellettuali e vocali degli E.V.C.S. (“esperti di vocologia col cervello semi-occluso”) ovvero, per gli italiani, S.O.B.V.E. (“semi-occluded- brain-vocology-experts”).

Antonio Juvarra


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2 pensieri riguardo “Antonio Juvarra – “Soffiar cantando?”

  1. Caro Maestro Juvarra è sempre un diletto leggere i suoi articoli. Per me Lei è il restauratore della Vera ed unica tecnica lirica. Vorrei però un chiarimento rispetto all’esperimento belcantista della candela: la fiamma della candela NON deve spegnersi ma allora come si coniuga con il fatto che l’ aria (e quindi il fiato) deve fuoriuscire quando si canta (sia note gravi che acuti) ? Si canta in apnea trattenendo il fiato nella laringe oppure no? Grazie come sempre per i suoi articoli

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  2. Grazie innanzitutto per le parole di apprezzamento. Il paradosso (felice) è questo: il suono eufonico del belcanto determina una vibrazione delle corde vocali, che consuma meno aria e la fa fuoriuscire in modalità effusiva e non proiettiva-espulsiva. Ciononostante il cantante non deve fare nulla per trattenere l’aria, anzi deve avere la percezione piacevole del suo libero flusso, da cui l’espressione “cantare sul fiato”.

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