Staatsoper Stuttgart – Johannes-Passion

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Foto ©Matthias Baus

L’ idea di allestire scenicamente le Passioni di Bach è diventata una tendenza sempre più frequente negli ultimi anni. Probabilmente la Matthäus-Passion, con la sua teatralità più accentuata, si presta meglio a questo tipo di operazioni ma anche la Johannes Passion, l’ unica altra pervenutaci delle quattro Passioni sicuramente composte da Bach, può essere la base per interpretazioni drammaturgiche finalizzate a metterne in evidenza il carattere più meditativo e introverso. Tra le mie esperienze personali, i risultati migliori li ho visti nella geniale rilettura della Matthäus realizzata da John Neumeier insieme al suo Hamburg Ballett con una straordinaria commistione di teatro e danza, una produzione portata con successo in tutto il mondo e che io ebbi la fortune di vedere nel 1983 a Venezia nella Basilica dei SS. Giovanni e Paolo, e più recentemente nella splendida Johannes prodotta da Peter Sellars per gli Osterfestspiele 2014 a Baden-Baden. Qui a Stuttgart le Passioni di Bach sono ben conosciute dal pubblico tramite la loro presenza regolare nei cartelloni della Internationale Bachakademie e io personalmente ho potuto ascoltarne diverse esecuzioni dirette prima da Helmuth Rilling e poi da Hans-Christoph Rademann, dal 2013 suo successore alla guida dell’ istituzione.

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Foto ©Matthias Baus

Per questo spettacolo, penultimo nuovo allestimento della stagione in corso, la Staatsoper Stuttgart ha affidato la responsabilità della trasposizione scenica a Ulrich Rasche, cinquantaquattrenne regista e scenografo originario di Bochum che ha messi in scena diversi testi in tutti i principali teatri di lingua tedesca e negli anni più recenti ha avuto una notevone attenzione della critica internazionele per le sue produzioni delle Baccanti di Euripide al Burgtheater Wien e dei Persiani di Eschilo ai Salzburger Festspiele. Rasche, che in questa occasione affrontava per la prima volta la realizzazione di un testo musicale, ha impostato una lettura scenica molto cupa, con scene quasi spoglie da lui stesso ideate e giochi di luce molto contrastanti ben realizzati da Gerrit Jurda. Tutta la messinscena si basava su una pedana che ruotava in modo lento, sulla quale i solisti e il coro si sudduvudevano in vari gruppi mutando spesso le posizioni. Un’ ide a suo modo anche attraente, ma che ha causato diversi problemi di coordinamento tra l’ orchestra e la parte vocale, dovuti alla difficoltà per i cantanti dovute al continuo movimento che ostacolava la comprensione degli attacchi e delle indicazioni ritmiche del direttore. A tutto questo si aggiungeva la presenza negli effetti scenici di un fumo prodotto non dal ghiaccio secco come si fa di solito in teatro, ma da una qualche altra sostanza che ha procurato problemi di intonazione agli archi e scariche di colpi di tosse in platea. Certamente la visione della scena era di grande impatto visivo, ma io continuo a credere che i registi dovrebbero realizzare il racconto scenico che hanno in mente senza disturbare la musica, e questo era proprio un caso del genere.

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Foto ©Matthias Baus

Diego Fasolis, sessantaquattrenne direttore svizzero considerato uno fra i più autorevoli specialisti del repertorio rinascimentale e barocco, ha faticato non poco per tenere insieme buca e palco in maniera accettabile. L’ interpretazione era comunque di buon livello per intensità espressiva e coerenza stilistica, anche per merito della Staatsorcherster Stuttgart i cui strumentisti hanno dimostrato di non avere problemi con i criteri dell’ esecuzione storicamente informata, realizzando un’ esecuzione impreziosita anche dagli splendidi interventi solistici come quelli delle due viole nell’ aria del tenore Erwage, wie sein blutgefärbter Rücke e del controfagotto insieme al liuto in Betrachte meine Seel. Ottima anche la prova del coro preparato da Manuel Pujol, impeccabile per omogeneità e curatissima articolazione del testo. Tra i solisti di canto, quasi tutti appartenenti all’ ensemble della Staatsoper, splendida è stata la prova del tenore Moritz Kallenberg, che dopo la sua eccellente interpretazione del ruolo di Orfeo nell’ opera omonima di Monteverdi ha realizzato un Evangelista davvero notevole per la varietà dell’ accento, la flessibilità della dinamica e la dizione scolpita, rifinita e di un’ eleganza impeccabile. Di ottimo livello anche le voci gravi. Shigeo Ishino è stato un Christus ideale per immedesimazione espressiva ed efficacia di declamazione nei recitativi e Andreas Wolf, baritono di bella voce soprattutto nel registro centrale, ha saputo differenziare al meglio la raffigurazione dei personaggi di Petrus e Pilatus e ha cantato le arie a lui affidate con grande consapevolezza stilistica, rispondendo in maniera perfetta alle sollecitazioni del direttore. Anche Johannes Kammler, giovane baritono bavarese autore di belle prove nella stagione in corso e in quelle più recenti, ha impressionato positivamente per la cura del fraseggio e la raffinatezza della dizione. Molto bravo anche il tenore Charles Sy nell’ esecuzione delle sue arie. Tra le voci femminili, tutte di cantanti giovani, si sono segnalate positivamente le prove del soprano greco Fanie Antonelou e del mezzosoprano statunitense Alexandra Urquiola, entrambe rimarchevoli per freschezza timbrica e gusto musicale. Successo pieno e convinto per tutti alla conclusione, e anche per me lo spettacolo si faceva complessivamente apprezzare nonostante qualche impaccio tecnico dovuto alle caratteristiche della messinscena.


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