“Ricordando Maria Callas” di Fulvio Venturi

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Foto ©warnerclassic.com

Girando per i social ho trovato questo splendido, davvero esaustivo ricordo di Maria Callas scritto da Fulvio Venturi, competente appassionato d’ opera livornese autore anche di diverse pubblicazioni sulla storia del melodramma nella sua città. Siccome conosco Fulvio da diversi anni, sia pure solo virtualmente, gli ho chiesto il permesso di pubblicare questa rievocazione varia, articolata, commossa e di competenza assolutamente indiscutibile. Ho avuto subito il suo consenso e ve la propongo. Leggetela, ne vale davvero la pena!

Ricordando Maria Callas

Ero a Lucca il 16 settembre 1977 per una recita di Rigoletto. Alitava una voce per tutta la platea, per tutto il teatro, Maria Callas è morta. Chi vi prestava credito, chi no. Molti, increduli, pensavano che non fosse vero. Fu il baritono Aldo Protti, protagonista della serata, a dare notizia certa di quanto era accaduto. Dopo il “Sì, vendetta, tremenda vendetta” venne al proscenio del Teatro del Giglio per dedicare la recita alla collega scomparsa. Rimasi seduto, senza commentare, attonito. Per me fu come se fosse finita un’ epoca.

Ma chi era stata Maria Callas? Una cantante lirica, ovvio, nata a New York da genitori greci trasferitisi negli Stati Uniti in seguito alla morte dell’ unico figlio maschio. Maria aveva una sorella di sei anni maggiore ed ebbe un’ infanzia felice sino alla grande depressione causata dal crollo di Wall Street. Il padre, farmacista, perse il lavoro e fra i genitori iniziò a serpeggiare il disaccordo. Nel frattempo Maria e Jackie, la sorella, seguivano lezioni di musica, come voleva la madre. Studiavano il piano da una signorina di origine italiana. Maria dimostrò presto di avere voce per cantare. Imitava gli uccellini in casa, andava dietro alle cantanti che ascoltava per radio e aveva una vera ammirazione per Rosa Ponselle, la diva del Met. Fece anche dei piccoli concorsi, vinse qualche premio. Nel 1937, in seguito alla separazione dei genitori, Maria tornò in Grecia con la madre. Durante il viaggio in nave, il transatlantico italiano Saturnia, cantò La Paloma d’ Yradier e l’ Habanera dalla Carmen ad una festa di bordo. Alla fine di questo pezzo, come faceva la Ponselle sulla scena, prese una rosa e la lanciò al Comandante. Fu quello il primo suo trionfo e il trasferimento ad Atene fu una vera fortuna. Maria incontrò una grande cantante del passato, Elvira de Hidalgo e da lei apprese i segreti della tecnica antica. Picchettati, flautati, sopracuti, senza che la sua voce, robusta, scura e tendente al basso con naturalezza ne risentisse. La De Hidalgo le insegnò moltissime opere come Norma, La Gioconda e Aida che faranno parte del suo repertorio per sempre, ed anche lavori classici come La Passione secondo Matteo di Bach, o il Dido and Aneas di Purcell. Dopo sei mesi di studio con la De Hidalgo, Maria Callas ebbe il suo primo contratto con l’ Opera di Atene. E la De Hidalgo stessa firmò il contratto per la minorenne allieva.

Quando scoppiò la guerra, nel 1940, ad Atene Maria Callas era già famosa. Cantava con i migliori cantanti greci in opere difficili, adatte a donne mature, e nel 1941 studiò Tosca. Il caso volle che, ammalatasi la cantante scritturata, i dirigenti del teatro chiamassero lei a sostituirla. Fu un grande successo. Maria Callas ricordò per sempre quella sera. Poiché era una ragazzona le sarte le ficcarono a forza un abito di velluto nero che le chiusero addosso con aperture e punti supplementari dappertutto, mentre in camerino, con gli occhiali sul naso e la De Hidalgo accanto, ripassava lo spartito. Venne anche il direttore d’orchestra ad accordarsi. Era preoccupato perché senza gli occhiali, in scena, non la ragazza non avrebbe visto nulla. Ma lei ero tranquilla perché con la musica non sbagliava mai. E in palcoscenico, giunta al Vissi d’ arte, il teatro parve venire giù dagli applausi.

Intanto cominciavano a circolare voci sul suo brutto carattere. Dicevano che era ambiziosa, caparbia e disposta a tutto pur di emergere come la migliore. Poi la guerra diventò dura sul serio. Nel 1944, dopo tre anni di silenzio, si rifece vivo suo padre con una lettera e un po’ di soldi, pregandola di tornare in America. A questa lettera fece seguito anche una comunicazione dell’ Ambasciata statunitense che la informava che Maria avrebbe perso la cittadinanza americana se non fosse rientrata nel paese dov’ era nata, e addirittura anticipava una somma di denaro per il viaggio. Così Maria rientrò da sola negli Stati Uniti. Con suo padre, a New York stava abbastanza bene. Cercò di farsi sentire al Metropolitan e ci riuscì. Edward Johnson, già grande tenore, e direttore artistico le offrì di cantare Madama Butterfly e Fidelio, che allora si faceva in inglese. Ma per Butterfly Maria Callas riteneva di essere troppo grossa e cantare Fidelio in inglese le parve ridicolo. Non accettò.

Nell’ inverno 1946, a Chicago, si unì ad una compagnia italiana che si stava formando sotto la guida di un grande impresario e di un grande agente. Il tenore principale era un livornese, allora famosissimo e con una splendida voce, Galliano Masini. Con lui doveva fare Turandot, ma quando le prove erano già avanzate all’ impresario fu chiesto di versare una cifra enorme per l’ assicurazione del coro, così il progetto fallì e Maria Callas decise di tornare in Italia in cerca di fortuna. Dopo un’ audizione con il maestro Serafin giunse il suo grande momento, il debutto all’ Arena di Verona con un’ opera che ancora non aveva cantato, ma che si addiceva particolarmente ai suoi mezzi ed al suo temperamento “tragico”, La Gioconda di Ponchielli. Anche se non destò troppo scalpore, fu un successo e fu notata.

Iniziò così la vera carriera di Maria Callas. Il maestro Serafin le offrì diverse scritture, quasi tutte presso un teatro prestigioso, La Fenice di Venezia, in opere pesantissime come Turandot, Tristano e Isotta, La Walkiria, Parsifal, Aida. Una sera, in camerino, mentre si apprestava ad andare in scena nella Walkiria e come le aveva insegnato la De Hidalgo scaldava la voce con un vocalizzo da soprano leggero sull’ aria Qui la voce sua soave dai Puritani di Bellini, la moglie del maestro, che era stata una famosa cantante, Elena Rakowska, la sentì e rimase meravigliata. Le chiese come potesse fare quel vocalizzo prima di cantare una parte tanto pesante come quella di Brunilde e Maria Callas ammise candidamente che quel vocalizzo le serviva per tenere la voce leggera. La signora Serafin insistette e le chiese se I Puritani li sapesse tutti. Sì, fu la risposta della Callas mentre entrava in scena. Il fatto era che la titolare dell’ opera belliniana, Margherita Carosio, si era ammalata. L’ indomani mattina una telefonata di Tullio Serafin annunciò a Maria Callas che lei stessa avrebbe cantato I Puritani in luogo della collega indisposta. L’ esito di quei Puritani fece epoca. Si cominciò a parlare del fenomeno Callas perché una cantante che riusciva ad alternare in una settimana parti agli antipodi dello stile e della vocalità ancora non si era sentita, né in Italia, né altrove. Era il 1949.

A Verona, con La Gioconda del debutto italiano, aveva incontrato un signore, amico del maestro Serafin, veneto come lui, gentile, bonario, colto, appassionato d’ opera e soprattutto di cantanti d’ opera. Le rivolgeva complimenti che lei, alta quasi uno e ottanta, oltre cento chili, sempre affamata, miope e con un brutto carattere, ancora non aveva sentito. La corteggiò per due anni esatti, presenziando ad ogni sua recita, invitandola a cena, inviandole fiori. Era un industriale di nome Giovan Battista Meneghini e quando una sera a Venezia le chiese di sposarlo, anche se aveva 27 anni più di lei, Maria disse di sì. Tutti furono contrari, persino la De Hidalgo, ma lei aveva deciso e lo sposò. Forse non fu amore, ma certamente Maria aveva un grande affetto per Battista, con lui si sentiva sicura. Erano inseparabili. Migliaia di fotografie li ritraggono insieme. Lui sempre preoccupato d’ apparire più giovane, lei infagottata da gonne troppo lunghe atte a nascondere le sue caviglione, qualche gioiello sempre un po’ troppo pesante ed astrakan un po’ troppo vistosi. Ma parevan felici.

Nel 1950, a sorpresa, arrivò la chiamata dalla Scala. L’ opera era Aida e anche in questo caso doveva sostituire una collega che stavolta era giovane come lei, ma più nota: Renata Tebaldi, voce d’ angelo. Ovviamente Maria Callas accettò e da quella volta, più che per lei o per la Tebaldi, nel pubblico si accese una rivalità incomprensibile. La “greca” o “voce d’ angelo”? E la loro amicizia, se mai era stata, finì tra ripicche e gelosie. Seguirono dieci anni di successi trionfali che resero Maria Callas famosa in tutto il mondo. Imprese di fatto memorabili, riesumazioni operistiche come Armida di Rossini, Medea di Cherubini, La Vestale di Spontini, Anna Bolena di Donizetti, e gli stessi Macbeth, Vespri siciliani di Verdi, inframmezzati dalle più comuni rappresentazioni di Tosca, de La Traviata, di Andrea Chénier, di Fedora. Ciò che sorprendeva di più era l’ assoluta naturalezza con la quale Maria Callas sapeva muoversi nei meandri di repertori tanto disparati senza mai perdere lo stile, la proprietà di linguaggio. E quella voce, forse non “bella” in natura secondo canoni comuni, ma agile, “strana”, tanto sbilanciata verso il basso quanto sfogata verso l’ acuto. “Un enorme soprano leggero” sembra che l’ abbia definita proprio la rivale di sempre, Renata Tebaldi, non senza ammirazione, per definire proprio lo straordinario ambito vocale. E una facilità di apprendimento che talvolta diventava leggendaria. All’ impresa di alternare I Puritani alla Walkiria Maria Callas fece seguire quella di studiare e debuttare Andrea Chénier di Giordano in una settimana, dal 28 dicembre 1954 al 5 gennaio 1954. Accadde alla Scala, dove era annunciato Il Trovatore con Mario Del Monaco, protagonista, e lei, Maria Callas come Leonora. Del Monaco cambiò idea: Il Trovatore gli stava scomodo, meglio Andrea Chénier, un suo cavallo di battaglia. I capricci dei divi all’ epoca erano tollerati e andò così: Andrea Chénier. Lei, Maria Callas, che mai aveva ancora cantato l’ opera di Giordano poteva rifiutarsi ed essere sostituita. Macché, Andrea Chénier sia! E studiò l’ opera in una sola settimana. Esito trionfale, documentato anche dal disco.

I suoi colleghi si chiamavano Giacomo Lauri Volpi, che la adorava, Pippo Di Stefano, che aveva la voce di un dio greco, la voce del vento a Tindari, Mario Del Monaco con il quale, avrete capito, Maria Callas aveva un rapporto aspro e competitivo, Richard Tucker, meraviglioso tenore americano, Mirto Picchi, fiorentino, elegante e fine, Tito Gobbi, Aldo Protti, Boris Christoff, Nicola Rossi Lemeni, Cesare Siepi. E dal 1954, quello straordinario cantante che fu Franco Corelli. Tra le donne, mezzosoprano o contralto che cantavano con lei nelle stesse produzioni che la vedevano protagonista, si deve ricordare l’intelligente Giulietta Simionato e quella scanzonata di Fedora Barbieri, ridanciana e scherzosa, splendida voce che alla Scala fece epoca in Sansone e Dalila, la più giovane Teresa Berganza e Fiorenza Cossotto, l’ ultima sua Adalgisa nella Norma. Forse non tutte la amarono, ma la storia del teatro d’ opera si scrive anche con quei nomi.

E i registi. Fra questi, uno con un posto speciale nel suo cuore, Luchino Visconti. Insieme fecero solo cinque produzioni, Medea, La Vestale, Ifigenia in Tauride, La Sonnambula e soprattutto La Traviata del 1955, lo spettacolo imperituro. Con Visconti, dietro i suoi consigli, Maria Callas attuò anche quel famoso cambiamento fisico che fece parlare il mondo. Qualcuno, parafrasando il cognome del marito e celiando sulle sue circonferenze, la chiamava la Menegona. Dal 1953 non fu più così e nel 1955, quando si presentò in quella famosa Traviata, bianca come le aulenti gardenie che Visconti le inviava, nella veste mortuaria di Violetta, il volto emaciato, le mani eburnee, abbandonate, inerti, un sorriso sperduto, la Menegona era scomparsa per sempre.

Poi qualcosa cambiò. Maria fu vista sempre più frequentemente nel bel mondo, nelle grandi feste di società, incontrò Onassis, si separò. Gossip a non finire e un ritmo di lavoro che non accennava a diminuire. Che stress, povera ragazza, questo nessuno lo dice. E anche la voce cominciò a vacillare. Nel 1960 e nel 1961, dopo che ebbe cantato ad Epidauro nel Teatro Antico di Erode Attico, la dettero per finita. Poi una storia tristissima e mai appurata di una gravidanza infelice. Forse Maria Callas morì quel giorno con il suo bambino. Canticchiò qualche altro anno, lasciò ancora qualche bel disco, ma la vera Callas, a quarant’ anni non c’era più. E anche la storia di Onassis si spense per inabissarsi quando lui sposò Jacqueline Bouvier, vedova Kennedy. Maria tentò di reagire, sfoderò splendidi sorrisi, e accettò l’ invito che Pier Paolo Pasolini le rivolgeva per diventare attrice di cinema. Così nacque Medea un film che oggi si capisce più di ieri e una tenerissima storia d’ amore, di sentimenti, fatta di poesia. Il tempo di dare qualche magistrale lezione di canto in giro per il mondo e di fare ancora qualche non memorabile concerto, uno splendido libro che raccoglie la sua esperienza di docente alla Julliard poi morì Pier Paolo, morì Luchino, morì Ari. E prima di loro era morto suo padre.

Quel 16 settembre 1977 fu una giornata inquieta. Lei era debole, non riusciva ad alzarsi dal letto. Chissà se sognava l’ Arena, il suo debutto, i suoi trionfi, se ascoltava la sua voce che non c’ era più, se si rivedeva bambina o se vedeva un bambino giocare. Non lo sapremo mai. Chiamarono un medico, ma fu troppo tardi. Le ceneri furono sparse nell’ Egeo.

Fulvio Venturi


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