Bayerische Staatsoper – Idomeneo

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Foto ©Wilfried Hösl

C’ era una ragione precisa per l’ autentica gioia che ho provato assistendo all’ ultima replica dell’ Idomeneo, nuova produzione della Bayerische Staatsoper: per la prima volta, dopo esattamente diciassette mesi e quindici giorni, ho potuto assistere a una recita operistica perfettamente normale, senza quelle ridicole mutilazioni e modifiche divenute il flagello dei teatri dopo la riapertura. L’ orchestra sedeva in buca senza distanziamenti, il coro recitava raggruppato e i cantanti agivano muovendosi liberamente sulla scena. Dopo avere assistito anche alla diretta streaming della recita precedente, era questo il mio pensiero predominante mentre varcavo le porte del Prinzregententheater, edificio progettato da Max Littmann prendendo a modello la sala del Bayreuther Festspielhaus e abitualmente sede della Bayerische Theaterakademie August Everding. E in questo stato d’ animo ho potuto apprezzare pienamente tutti i pregi di uno spettacolo davvero di eccellente qualità, soprattutto dal punto di vista musicale.

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Foto ©Wilfried Hösl

Parlando innanzi tutto della parte scenica, lo spettacolo ideato da Antù Romero Nunes, trentasettenne regista nato a Tübingen e figlio di un portoghese e una cilena, affermatosi in teatri di prosa importanti come il Thalia Theater Hamburg e il Maxim-Gorki-Theater Berlin, che a München aveva già firmato gli allestimenti del Guillaume Tell e di Les Vêpres siciliennes, era basato sulle sculture sceniche ideate dall’ artista britannica Phyllida Barlow, alla sua prima prova come scenografa. Il mondo raffigurato dalla scultrice nativa di Newcastle, che nel 2017 è stata scelta per ideare il padiglione della Gran Bretagna alla Biennale di Venezia, era quello di un caos primordiale illustrato tramite strutture indefinite, con i personaggi vestiti in costumi di epoca imprecisata ideati da Victoria Behr. L’ immagine d’ insieme era senza dubbio di grande effetto, ma non si è capito, o almeno non ho capito io, se le sculture mobili avessero un qualche rapporto con l’ azione scenica. Anche perché la recitazione dei personaggi non aveva caratteristiche particolarmente originali o rapportate all’ ambiente rappresentato sul palcoscenico. In sintesi, quella di Nunes era una messinscena anche abbastanza gradevole da guardare, con effetti anche interessanti ma che nel suo complesso appariva abbastanza irrisolta nel rapportarsi con la musica.

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Foto ©Wilfried Hösl

Decisamente più elevato era il livello della parte vocale, con un cast formato in gran parte da giovani voci tenute insieme dalla splendida concertazione di Constantinos Carydis, quarantasettenne direttore greco di nascita ma tedesco di formazione che io conoscevo bene per averlo ascoltato diverse volte da noi alla Staatsoper Stuttgart dove ci ha offerto grandi interpretazioni di titoli come Alceste, Traviata, Norma e Tosca. Carydis, che in questi anni ha diretto in quasi tutti i grandi teatri europei ed è salito sul podio dei Berliner Philharmoniker, ha confermato anche in questa occasione la sua statura di direttore d’ opera tra i migliori di oggi. La sua interpretazione è stata intensissima, piena di tensione drammatica e senso tragico, oltre che impeccabile da punto di vista filologico per un suono depurato di ogni traccia romantica e una attentissima realizzazione dei recitativi sostenuti da un basso continuo formato da organo, cello, chitarra barocca, clavicembalo e fortepiano. L’ opera era eseguita in versione pressoché integrale e con l’ aggiunta di altri brani come l’ aria Non temere, amato bene K. 505 nel secondo atto e il Balletto K. 367 alla conclusione. Davvero una prova superba da parte di un musicista che ho ritrovato con grande piacere dopo diversi anni passati dall’ ultima volta in cui lo avevo ascoltato.

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Foto ©Wilfried Hösl

Nella compagnia di canto svettava su tutti la prova davvero magnifica di Hanna-Elisabeth Müller come Elettra. Anche la trentaseienne cantante di Mannheim è un’ artista che io seguo da tempo, a partire dalle sue prime esibizioni a Stuttgart nei concerti della Bachakademie. Con questa Elettra, stupendamente sbalzata in tutti i suoi aspetti tragici da una caratterizzazione scenica e vocale di incredibile intensità drammatica, con i difficili passaggi di agilità di forza nelle due arie Tutte nel cor vi sento e D’Oreste, d’Aiace superati con perfetta disinvoltura, Hanna-Elisabeth Müller ha confermato la sua statura di interprete mozartiana tra le più autorevoli della giovane generazione. A rendere ancora più completa la sua interpretazione era la resa intensa dell’ aria del secondo atto Idol mio, di carattere squisitamente lirico, cantata con morbidi pianissimi e un legato di alta scuola. Molto buona è apparsa anche la Ilia del trentunenne soprano ucraino Olga Kulchynska per il fraseggio aggraziato e il timbro luminoso, oltre che per la cura del fraseggio nelle arie. Il giovanissimo mezzosoprano italo-canadese Emily D’ Angelo impersonava Idamante con una voce indubbiamente pregevole e abbastanza ben emessa, che le ha consentito una resa davvero notevole, oltre che nella celebre aria di entrata Non ho colpa e mi condanni, anche del recitativo e aria con pianoforte obbligato Ch’ io mi scordi di te? K. 505, scritta da Mozart per Nancy Storace sullo stesso testo di un’ aria alternativa composta per la revisione viennese dell’ Idomeneo e in questa produzione eseguita durante il secondo atto.

La parte del protagonista era affidata al cinquantatreenne tenore americano Matthew Polenzani, artista di carriera internazionale e particolarmente legato al Metropolitan di New York, dove ha cantato più di trecento recite. La sua voce è quella di un tenore di grazia e quindi piuttosto lontana dalle caratteristiche di Anton Raaff, il primo interprete della parte, che era un tenore di stampo baritonale abituato alle agilità di forza. Il cantante nativo dell’ Illinois difatti esegue la terribile aria del secondo atto Fuor dal mar ho un mare in seno nella versione semplificata scritta per la revisione del testo andata in scena a Vienna nel 1786, cosa del resto abbastanza comune in quanto pochissimi sono stati i cantanti in grado di misurarsi con i lunghi passaggi di coloratura presenti nella stesura originale. Ad ogni modo Polenzani, che è un cantante di buona preparazione tecnica e intelligenza musicale, è riuscito a rendere un ritratto efficace dell’ infelice re di Creta, ben fraseggiato e cantato in maniera stilisticamente impeccabile. A completare la prova notevole di un cast davvero omogeneo, anche il trentasettenne tenore austriaco Martin Mitterutzner ha mostato una buona padronanza del canto di agilità nelle arie di Arbace. In conclusione, la serata valeva davvero il viaggio; del resto, Idomeneo è un tale commovente capolavoro che l’ esecuzione in un’ atmosfera come quella che stiamo vivendo diventa una vittoria piena di speranza. Il pubblico infatti appariva felice di ritrovarsi a teatro in un contesto quasi normale, nonostante la capienza dimezzata e l’ obbligo di mascherina, oltre che di green pass o test. Gli applausi finali sono stati intensissimi per tutti gli interpreti, in una serata per me e per molti davvero speciale.


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