Antonio Juvarra – “S.O.V.T.E. o i giochini del circo foniatrico-artistico”

Il consueto articolo mensile di Antonio Juvarra è questa volta dedicato alla foniatria applicata alla didattica vocale. Grazie come sempre ad Antonio per la collaborazione e buona lettura a tutti.

 

S.O.V.T.E, I GIOCHINI DEL CIRCO FONIATRICO-ARTISTICO

Meriterebbe uno studio di tipo psico-antropologico lo strano fenomeno che vede attualmente un numero crescente di foniatri deviare dai loro obiettivi professionali per dedicarsi al loro hobby preferito: elaborare ridicoli espedienti tecnico-vocali per cantare meglio (?), corredandoli con fantomatiche spiegazioni, che sembrano attinte direttamente dalla scienza farlocca che Alfred Jarry chiamò ‘patafisica’. Un esempio di questo fenomeno è rappresentato dall’invenzione dei cosiddetti SOVTE, acronimo del termine “semi-occluded vocal tract exercises” ovvero ‘esercizi con tratto vocale semi-occluso’, tra cui citiamo quelli da eseguire con la bocca tappata da aggeggi vari: o da un tubo infilato in una bottiglia d’ acqua in cui soffiare o da una mascherina da ventilazione otturata o da una cannuccia in cui mugolare. Chi volesse prendersi la briga di verificare su youtube in che cosa consistono i SOVTE, rimarrebbe trasecolato nel constatare l’incredibile diffusione di questa pratica nelle scuole di canto e il numero dei video che se ne occupano, trattandoli come una cosa seria.
Una dimostrazione pratica di questi giochini la troviamo nel video seguente, che sembrerebbe a tutti gli effetti un video comico-surreale di patafisica vocale, mentre invece è uno dei cento tutorial di tecnica vocale con pretese di serietà, che si trovano nel web.

Rientrano tra i SOVTE anche gli esercizi che non fanno uso di protesi meccaniche, ad esempio i cosiddetti ‘trilli linguali’, i ‘trilli labiali’, i suoni a bocca chiusa, le ‘sirene’, ecc., tutti giochini che, grazie all’ avallo della foniatria (che li mimetizza come ‘esercizi di riscaldamento’ vocale), sono ormai diventati, da quella paccottiglia deleteria che in realtà sono, strumenti tecnico-vocali legittimi, utilizzati nella pratica quotidiana da moltissimi cantanti. Se grattiamo via la vernice finto-specialistica che ricopre questi espedienti, traducendo lo ‘scientifichese’, con cui vengono spiegati, nella lingua del dire pane al pane e vino al vino, subito scopriremo che c’ è un comune denominatore che li collega tra loro ed è il processo (anomalo) di ‘consonantizzazione’ dell’ emissione vocale che con essi si determina. Esso consiste nel prolungare i suoni di determinate consonanti frontali come la ‘M’, la ‘N’, la ‘R’ e, nel caso del ‘trillo labiale’, nell’ introdurre una nuova consonante, una specie di ‘B’ (rappresentata dal segno ‘BR’), realizzata soffiando contro le labbra socchiuse e facendole vibrare.
Di fronte a questa allucinante tendenza della tecnica vocale, la prima obiezione che la mente timidamente riesce a elaborare, è la seguente: dunque la ‘scienza del canto’, dopo essersi inventata le mascherine, le cannucce, i tubi in silicone (e le relative “posture semi-occluse”) per cantare, ha avuto anche la geniale idea di abolire le vocali? Forse che non erano sufficientemente ‘scientifiche’?. Ammettendo per assurdo che sia vero, c’ è un piccolo particolare, che gli ‘scienziati’ del canto hanno trascurato: la vocale rappresenta un fattore costitutivo, strutturale della fonazione umana comunicativa, per cui pensare in termini astratti di ‘suono’ (a cui si possa poi aggiungere, a propria discrezione, una vocale) è come pensare di poter separare le onde dal mare. Ne consegue che i sopra elencati ‘parkinson’ linguali e labiali, le ‘fritture vocali’, gli ululati, i muggiti, le ‘sirene’, i ‘ronzii’ e i ‘sibili’ per esercitare la voce, non appartengono (diversamente dalle vocali!) alla dimensione umana, ma al massimo a quella animale. Anzi, a dire il vero, neppure a questa, dal momento che ci sono animali che sono in grado di emettere almeno una ‘similvocale’ e certe volte addirittura due, ad esempio la ‘A’ e la ‘U’ nel caso del cane (BAU-BAU) e la ‘I’ e la ‘O’ nel caso del somaro (I-OO, I-OO).

Qualcosa quindi non torna, a meno che… a meno che lo scopo dei ‘ricercatori’ vocali non sia proprio questo: scendere ancora più giù, al di sotto del livello animalesco e, una volta diventati ‘avocalici’, potersi definire ancora più ‘scientifici’. In effetti la caratteristica peculiare dei cantanti ‘scientifici’ (come dimostrano le testimonianze sopra citate) è quella di esprimersi ‘tecnicamente’ non coi ‘vocalizzi’, ma, appunto, coi ‘rumorizzi’: ‘fritture vocali’, tremori labiali, tremori linguali, sibili, sirene (con o senza cannucce o tubi nell’acqua) ecc.
In tal modo essi sono riusciti a creare il seguente paradosso: mentre il cane fa ‘BAU-BAU’, la pecora fa ‘BEEE’ e il somaro fa ‘I-OOO’, invece il cantante ‘foniatricizzato’ fa ‘RRRRR’, ‘SSSSSS’, ‘VVVVVV’, ‘ZZZZZZ’ e altri ‘suoni’ irrappresentabili graficamente. Insomma, abbandonata la sonorità dei mammiferi, pare che l’ avanguardia scientifico-vocale stia avanzando trionfalmente verso la Nuova Frontiera del canto: il rumorismo degli insetti. Prevengo l’ obiezione dei rumoristi vocali, che è: ma questi sono solo mezzi per riscaldare la voce, non c’ entrano nulla con la tecnica vocale! Peccato che nel mondo normale, a differenza che nella surrealtà in cui certi abitano, non esista qualcosa che possa fungere da preparazione a qualcos’ altro, se si tratta del suo opposto, motivo per cui se mi metto a ‘belare’, ‘muggire’ o ‘ronzare’ per riscaldare la voce, non posso aspettarmi che poi da queste emissioni ‘vocali’ scaturisca per magia il canto, a meno che uno non sia Gesù Cristo, che partendo dall’acqua ottiene il vino, o il re Mida, che tutto quello che tocca, lo trasforma in oro. Rinunciare a utilizzare un sistema fonatorio e articolatorio evoluto com’ è quello del linguaggio umano, per adottarne uno inferiore e rudimentale com’ è quello (quando va bene) dei muggiti e (quando va male) dei ‘rumorizzi’ vocali, appare tanto intelligente quanto decidere di usare una clava o un bastone, invece dell’ archetto, per suonare il violino, ma pare che questa obiezione non sia abbastanza ‘scientifica’ per poter essere presa in considerazione dai rumoristi vocali in “semi-occlusione”.

Tra l’ altro, l’ idea di sostituire gli esercizi di sintonizzazione del suono, chiamati ‘vocalizzi’, con esercizi di stimolazione e ‘riscaldamento’ della muscolatura fonatoria era già stata sperimentata un secolo fa con gli ‘afonizzi’ di Melocchi (eufemisticamente chiamati “fondi”), esercizi ispirati alla laringomania più sfrenata e basati sulla teoria demenziale secondo cui inducendo nelle corde vocali l’ afonia da sforzo, si otterrebbe come effetto quello di “irrobustirle”. Gli effetti dell’ esperimento, com’è noto, sono stati disastrosi, ma purtroppo non sufficienti a indurre gli adoratori scientifici della dea Laringe a non riprovarci. Ed eccoli di nuovo qui alle prese coi loro giochini: brrrr, zzzzz, sssss, lllllll, vvvvv… Come dire, parafrasando il titolo di un vecchio film: la comunità vocologico-vocale si diverte. Ciò che sfugge agli scientomani vocali è che esiste un fattore (antropologico ancor prima che tecnico-vocale) sufficiente di per sé a inficiare la validità di questi esperimenti ed è il seguente: il ‘rumorista vocale’ (oggetto dell’esperimento), che mugola in una ‘mascherina asfissiante’, fa le bolle nell’ acqua soffiando in un tubo, emette ‘sirene’, produce ‘trilli’ labiali e linguali, ‘fritture vocali’ ecc. ecc., tutto in rigorosa “semi-occlusione”, non è il normale essere umano che conosciamo, ma una sua variante comica o grottesca, il che significa che esso ha rapporto con l’ uomo reale come la figura del burattino di Collodi ha rapporto con quella del David di Michelangelo. Ne consegue logicamente che fare esperimenti del genere è ancora più campato per aria che proporsi di studiare scientificamente un cavallo da corsa, avendolo scambiato per un somaro, e, sulla base di questo abbaglio, fargli trasportare pesi o tirare carri per allenarlo a correre più velocemente, oppure costringerlo a ragliare per ‘riscaldargli’ la voce e farlo così nitrire meglio.

Alla base del rumorismo foniatrico-vocale opera come prima causa uno stereotipo fasullo, spacciato tuttora per vero: l’ idea che anteriorizzare la ‘posizione’ del suono, aumentando artificialmente le sensazioni vibratorie frontali, sia un mezzo corretto per realizzare la finalità in cui viene fatto consistere lo studio del canto: il suono ‘timbrato’ e la cosiddetta ‘proiezione’, che, volendo usare una terminologia più corretta e meno eufemistica, sono ciò che l’acustica definisce “risonanza forzata” per distinguerla dalla “risonanza libera” del vero canto. In questo modo vengono soddisfatte le due ossessioni che calamitano l’ interesse dei moderni spacciatori di panzane pseudoscientifiche sul canto e che sono appunto il PROIETTARE e il SOFFIARE, dove ognuno di questi due fattori artificiali (e superflui), messi così in gioco, collabora con l’ altro per produrre quello che viene chiamato in gergo la ‘voce spinta’, voce ‘spinta’ che nulla ha a che fare con la potenza e la risonanza naturali del suono. Occorre sapere che questa concezione della risonanza (forzata) è ciò che resta di una concezione più ampia (e altrettanto infondata), che risale alla seconda metà dell’ Ottocento e che è quella della ‘maschera’. La ‘maschera’ ottocentesca, anch’ essa un prodotto foniatrico DOC, nasce infatti come una sorta di edificio a tre piani, il cui primo piano (la cavità nasale) era considerato il ‘luogo deputato’ per l’ amplificazione degli acuti, il secondo piano (le cavità paranasali) il ‘luogo deputato’ dei sovracuti e il piano terra (la cavità orale) il ‘luogo deputato’ delle note centrali. L’ idea che esista un magico paradiso delle risonanze, percepite come vibrazioni nella zona frontale e/o alta dello strumento, è quindi l’ ispiratrice occulta di tutti quelli che, ancora oggi, inventano espedienti, più o meno bizzarri, per tranquillizzare i cantanti sulla presenza, nella loro voce, dell’ araba Fenice della ‘risonanza vibratoria’. Questi espedienti possono essere sia materiali (come la ‘mascherina’ di Borragan, la cannuccia di Titze o i tubi nell’acqua di XY), sia immateriali (come le ‘sirene’ della Estill e i tremori labiali e linguali di Riggs), ma sono tutti accomunati dal fatto di essere artificiali e quindi estranei a quei principi di naturalezza, scoperti dalla grande scuola italiana del belcanto. Il principio di naturalezza include la conoscenza di un fatto ignorato dai moderni ‘meccanocantisti’: è vero che la brillantezza del suono è quella componente acustica che fa ‘correre’ la voce, rendendola udibile in ampi spazi, ma questa brillantezza NATURALE è già insita nel suono puro del parlato, e non ha nulla a che fare con la brillantezza ARTIFICIALE, creata ‘timbrando’, ‘proiettando’ e ‘nasalizzando’ il suono. Dire che questi (e gli altri, sopra citati) sono espedienti artificiali equivale a dire che sono contrari alla natura profonda della fonazione umana parlata e cantata, la cui forma più elevata è rappresentata dal linguaggio verbale e non dai versi animaleschi. Infatti, per quanto il sistema fonatorio umano sia in grado di produrre forme sonore primordiali come i versi animaleschi (il muggito, il grugnito, il belato, il latrato ecc.), non è questa la modalità di espressione, usata dall’ uomo per le forme comunicative più elevate che gli sono proprie e che sono il parlare e il cantare, forme comunicative cui corrisponde una mobilità articolatoria, che non c’ entra nulla con la fissità dei versi animaleschi. Lo conferma il fatto che sia nel canto classico, sia nel canto moderno l’ uso della fonazione per produrre sonorità non verbali è del tutto marginale e insignificante. Non esistono insomma né arie né canzoni in cui il testo verbale sia sostituito da un assemblaggio di consonanti e/o versi animaleschi. Il che significa che se pensiamo a degli esempi di melodie cantate, possono venirci in mente ‘Nessun dorma’ o ‘The show must go on’, ma mai qualcosa come ‘Brrrrrzzzzzsssssssssss’ oppure ‘Rrrrrrrrrrmmmmmmmmm’ e neppure come “Uuuuuuuuuuuuuu” oppure “Eeeeeeeeee”.

È bene chiarire che questo discorso esula da qualsiasi considerazione e giudizio di tipo estetico, riguardante un dato testo cantato. Ci poniamo infatti a un livello più profondo, quello che ha a che fare con la stessa STRUTTURA originaria del linguaggio umano, struttura che si basa su una fusione inscindibile di FONAZIONE e ARTICOLAZIONE. Questo implica che noi non possiamo emettere un suono UMANO che non sia anche una precisa vocale, codificata in una determinata lingua. Più precisamente: come l’ uomo è in grado di camminare a quattro zampe, ma il modello motorio che esprime compiutamente il suo livello evolutivo rimane il bipedalismo e la stazione eretta, così l’ uomo può usare la fonazione per produrre rumori e versi animaleschi, ma il modello fonatorio che esprime compiutamente il suo livello evolutivo rimane il linguaggio verbale, basato sull’ INTERRELAZIONE DINAMICA TRA VOCALI E/O TRA VOCALI E CONSONANTI. Pensare che, dal punto di vista tecnico-vocale ed estetico, emettere suoni su una o più consonanti sia altrettanto o addirittura più funzionale che emettere suoni su quella alternanza dinamica di vocali e/o vocali e consonanti, in cui consiste il processo dell’ articolazione, significa essersi trasferiti dalla Realtà al regno della Distopia. Significa anche non aver capito che come il vapore acqueo è fatto di acqua portata all’ ebollizione e non di aria a cui viene spruzzata acqua o altri liquidi, così il canto è fatto di vocali parlate, emesse in uno spazio di risonanza più ampio di quello del parlato, e non di suoni a cui vengono aggiunte, ad libitum, delle vocali e/o delle consonanti. La vera tecnica vocale, insomma, essendo un’ emanazione del sistema fono-articolatorio umano, è qualcosa di INTRINSECO AL LINGUAGGIO e non qualcosa di aggiunto dall’ esterno al linguaggio, magari previa modificazione e adattamento di quest’ ultimo.

Il sistema dell’ articolazione parlata, se rispettato nei suoi rapporti naturali tra vocale e consonante, rappresenta quindi il servomeccanismo naturale, grazie al quale la voce cantata è in grado di mantenere automaticamente la sua perfetta sintonizzazione, la quale a sua volta è la condizione necessaria perché possa crearsi il fenomeno acustico della risonanza libera, che è quello che caratterizza il belcanto come eufonia. Dalla constatazione di questo FATTO è possibile prendere coscienza della FOLLIA di chi ha concepito gli esercizi denominati ‘sirene’, basati sulla violazione sistematica degli elementi strutturali della fonazione linguistica, cioè dei micromovimenti articolatori di collegamento di un suono con il successivo e di alternanza vocale/vocale e vocale/consonante, micromovimenti che vengono AZZERATI in maniera demenziale dal glissato (cioè dell’ antilegato) delle sirene e dal loro monoconsonantismo. L’ idiozia che è alla base dell’ invenzione delle ‘sirene’ è insomma uguale a quella di chi ingessasse le gambe di un bambino che sta imparando a camminare, per evitare che le gambe si pieghino e il bambino cada. C’ è anche chi, per rendere ancora più infantile il giochino delle ‘sirene’, ha pensato bene di eseguirlo con una cannuccia in bocca e questo qualcuno è niente di meno che Ingo Titze, il fondatore della ‘vocologia’. Ora è incredibile che questo inventore della bambocciata ‘patafisica’ del tapparsi la bocca con una cannuccia per cantare meglio (sic), non si sia lasciato neppure sfiorare dalla banale obiezione del buon senso, sollevata per la prima volta più di un secolo e mezzo fa dalla celebre didatta Mathilde Marchesi e rimasta a tutt’oggi senza risposta: “Se le arie e le canzoni si cantano con la bocca aperta, perché bisognerebbe educare la voce con la bocca chiusa?”

A questa obiezione della Marchesi si potrebbe aggiungerne un’ altra, ancora più radicale e cioè: perché, seguendo la stessa logica e come speciale propedeutica ‘scientifica’ per imparare a parlare, i bambini non vengono mandati da un ventriloquo, da cui potrebbero apprendere qualcosa di ancor più ‘scientifico’ delle “posture semi-occluse” temporanee e cioè le posture occluse permanenti? In questo modo eviterebbero quel piccolo inconveniente dei SOVTE, riconosciuto dai suoi stessi fautori e cioè che dopo aver cantato per due minuti, il loro effetto svanisce e si finisce paradossalmente per cantare peggio di prima e di tale fatto non c’ è da stupirsi, essendo questo il risultato finale dell’ uso di ogni espediente artificiale, sia esso rappresentato da una droga chimica, o, come in questo caso, da una droga meccanico-vocale. C’ è chi per giustificare la scemenza delle sirene (con o senza cannuccia) ha tirato in ballo i cosiddetti ‘muti’, cioè gli esercizi a bocca chiusa, utilizzati da alcuni esponenti della scuola del belcanto e di cui per altro, occorre precisare, non esiste traccia nei trattatisti classici Tosi e Mancini, in quanto essi appartengono a un filone orale e secondario della tradizione belcantistica, che già era stato oggetto di critica da parte di alcuni grandi maestri di questa scuola, tra cui Francesco Lamperti nell’ Ottocento. A prescindere da questo, c’ è da osservare in proposito che negli esercizi a bocca chiusa del belcanto, diversamente che nelle ‘sirene’, innanzitutto non si fa uso del glissato (che è il fattore che annulla i micromovimenti di autosintonizzazione dell’ articolazione) e, in secondo luogo, che la loro finalità tecnico-vocale non è quella di accentuare le sensazioni vibratorie nella zona frontale dello strumento (per tranquillizzarsi sul fatto che ci sia una sufficiente ‘proiezione’ e ‘timbratura’ del suono), ma è quella di filtrare la corposità in eccesso del suono e cogliere la sua essenza luminosa, quasi un togliere il guscio duro che racchiude la sostanza tenera di un frutto.

Stabilito che il linguaggio (e il sistema fono-articolatorio che lo rende possibile) VIVE della mobilità acustica, creata dall’alternanza di vocali e consonanti, a questo punto la domanda è: qual è il giusto rapporto tra vocale e consonante che rende possibile questa perfetta sintonizzazione? La risposta è: quello in cui la voce si appoggia alla vocale e la consonante funge da semplice ‘ponte’ o collegamento neutro tra due vocali, che è il motivo per cui ad aver preso il nome di ‘vocale’ sono le vocali e non le consonanti. Il fatto che l’ essere umano parli sulle vocali e non sulle consonanti è qualcosa di cui possiamo non avere coscienza a causa della naturale velocità con cui parliamo, ma che nondimeno rimane qualcosa di pienamente reale e strutturale. Di questo possiamo prendere immediatamente coscienza, se solo proviamo ad articolare le parole, appoggiandoci alle consonanti invece che alle vocali: la sensazione (sgradevole) che avremo, sarà quella di una sorta di inceppamento dell’ articolazione, che in questo modo perderà tutta la sua naturale fluidità e scioltezza. Il fatto che la voce si appoggi sulle vocali significa anche che le vocali sono naturalmente più lunghe delle consonanti e questa maggiore lunghezza viene evidenziata ancora di più nel canto, diventando la ‘condicio sine qua non’ del legato, che quindi si può dire che è già contenuto ‘in nuce’ nel parlato, altrimenti nel canto sarebbe percepito come qualcosa di estraneo e innaturale. La priorità delle vocali rispetto alle consonanti trova la sua conferma anche nella genesi e nello sviluppo dell’ apprendimento del linguaggio nel bambino, apprendimento che ha come fase iniziale l’emissione di singole ‘protovocali’, come seconda fase la lallazione e come terza fase l’ articolazione delle parole. In tutte e tre queste fasi la vocale rimane quindi il ‘letto sonoro’ in cui scorre il flusso comunicativo del linguaggio umano e l’intuizione di questa verità è alla base di questa frase del castrato Pier Francesco Tosi: “Se il maestro fa cantar allo scolaro le parole prima che egli abbia un franco possesso del vocalizzar appoggiato e del solfeggiare, LO ROVINA.”

Solo se applicata prima ai vocalizzi, infatti, la massima belcantistica ‘si canta come si parla’ genera il canto, altrimenti produce solo il banale ‘parlato intonato’. Da questo punto di vista chi pospone o addirittura sostituisce i vocalizzi coi parlati intonati, dimentica che, giusto per fare un esempio, ‘io’ è sia un pronome sia un vocalizzo, dato che il sistema dell’ articolazione-sintonizzazione, tipica del linguaggio verbale umano, si realizza compiutamente con la semplice alternanza di due vocali sulla stessa nota o di due note sulla stessa vocale.
Oggi, a tre secoli di distanza, potremmo aggiungere alla frase illuminante di Tosi questo corollario: se è vero che facendo cantare le parole prima dei vocalizzi, il maestro rovina lo scolaro, figuriamoci che cosa succede se il maestro, prima di far cantare allo scolaro le parole, gli fa ‘cantare’ le consonanti e le pernacchie nasali, come prescrive la moderna voco-astrologia. Siamo arrivati in questo modo al punto più basso toccato dall’ intelligenza scientifico-vocale applicata al canto, che consiste nel costringere l’ essere umano, già provvisto per natura della capacità di PRODURRE in automatico suoni umani in forma di vocali, a porsi nelle condizioni di RI-PRODURRE suoni sub-umani, trasformandosi in imitatore vocale e in rumorista! E la chiamano scienza del canto questa scienza senza scienza e senza canto.

Antonio Juvarra


Scopri di più da mozart2006

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.

5 pensieri riguardo “Antonio Juvarra – “S.O.V.T.E. o i giochini del circo foniatrico-artistico”

Scrivi una risposta a ANTONIO JUVARRA Cancella risposta

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.