
Foto ©Michael Bode
Dopo un’ entusiasta accoglienza di pubblico e di critica al Vicenza Opera Festival, la nuova produzione del Don Giovanni allestita da Iván Fischer è arrivata anche a Baden-Baden per l’ inizio di una regolare collaborazione del teatro con la Iván Fischer Opera Company, struttura fondata dal grande direttore ungherese che già porta le sue produzioni in diversi festival internazionali. Dopo gli allestimenti di Falstaff e Ariadne auf Naxos, seguiti da questo Don Giovanni, il prossimo titolo in programma è Die Zauberflöte che verrà rappresentata al Festspielhaus nel dicembre 2026. Secondo le sue dichiarazioni, Iván Fischer ha fondato questo ensemble allo scopo di allestire esecuzioni operistiche rispettose della drammaturgia originale concepita dal compositore, dando il massimo risalto alla parola cantata mediante un alleggerimento del suono orchestrale. Oltre alla concertazione il maestro ungherese cura personalmente anche la messinscena delle opere allestite, con l’ aiuto di un team di collaboratori scelti volta per volta.Sulla carta è un’ idea eccellente, perché il pubblico dei teatri lirici comincia davvero a non poterne più delle regie cervellotiche comprensibili solo leggendo un manuale di istruzioni e il grande successo degli spettacoli prodotti da Fischer lo dimostra ulteriormente. Per quanto riguarda questa specifica produzione, io però personalmente sono uscito dal teatro non completamente soddisfatto di quanto ho visto e sentito.

Foto ©Michael Bode
Per spiegarmi più chiaramente, la mia impressione è che la regia concepita per uno spazio come il Teatro Olimpico di Vicenza con la sua scenografia fissa e le dimensioni contenute abbia parecchio sofferto il trasferimento in un ambiente vasto come quello del Festspielhaus, con la sua sala capace di quasi 2500 spettatori. Il tentativo di ricreare l’ ambientazione dell’ Olimpico si risolveva in una semplice serie di pannelli di sfondo con la scena occupata solo da un paio di praticabili. Gran parte del lavoro registico si giocava sulla presenza di una nutrita schiera di figuranti che interagivano con i personaggi, vestiti con costumi settecenteschi che a me parevano alludere a quelli del celebre film dell’ opera girato negli anni Settanta da Joseph Losey. Tutto molto elegante e ben curato, oltre che piacevolissimo da guardare, ma la recitazione a mio avviso dava l’ impressione di una certa superficialità nella caratterizzazione dei personaggi che all’ atto pratico sembravano quasi intercambiabili. Probabilmente, ripeto, ciò era dovuto anche al fatto che il vasto palcoscenico di Baden-Baden stava parecchio largo alla messinscena.

Foto ©Michael Bode
Quanto affermato da chi scrive a proposito della parte scenica valeva anche per l’ esecuzione musicale, che nel Festspielhaus sembrava stare anch’ essa come dentro un vestito troppo largo. Sono un grande estimatore di Iván Fischer, che da sempre considero senza alcun dubbio uno tra i personaggi più interessanti del panorama musicale odierno, per le sue qualità interpretative ma anche e soprattutto per la sua incessante attività nella divulgazione e nella ricerca di nuovi formats concertistici svolta sia a Budapest che a Berlino con la Konzerthausorchester, della quale è stato Chefdirigent per sei anni, dal 2012 al 2018 quando ha lasciato l’ incarico per dedicare maggior tempo alla composizione. Dal punto di vista tecnico, Fischer è senza dubbio un direttore fuori dal comune per la personalità e il carisma che sul podio lo rendono in grado di trascinare l’ orchestra fino al massimo delle possibilità tramite un gesto ampio, chiaro, ampio ed elegantissimo. Ma la sua concezione interpretativa del Don Giovanni, opera di straordinaria complessità drammatica che pone all’ interprete una serie di problemi assai complicati, mi è sembrata carente di teatralità nella sua insistita ricerca di sonorità eleganti e raffinatezze dinamiche a scapito della tensione narrativa che spesso appariva slentata e sembrava rianimarsi solo nei due finali d’ atto, tecnicamente risolti molto bene e nei quali il senso del racconto sembrava finalmente acquisire vitalità. Non sono poi molto d’ accordo con la scelta compiuta da Fischer di far terminare l’ opera con la morte del protagonista, omettendo la cinica morale conclusiva espressa in un bruciante fugato, che archivia semplicemente la fine del protagonista e invita a voltar pagina. Un errore, perché a mio avviso il finale secondo è invece fondamentale. Lungi dal costituire una presa in giro delle convenzioni sociali cui obbediscono coloro che sono venuti in contatto con Don Giovanni, è invece un’ ultima parola che ribadisce il carattere non convenzionale e anzi tragico di quella morale. Nell’ insieme, riassumendo, una direzione che mancava di profondità e oltretutto appariva molto penalizzata dall’ acustica della sala, nella quale certe finezze dinamiche estreme semplicemente sparivano.

Foto ©Michael Bode
Di buon livello complessivo mi è sembrata la compagnia di canto, che aveva il suo punto di forza nella splendida raffigurazione del protagonista impersonato da Andre Schuen, quarantunenne baritono nativo di La Val in Alto Adige (o Südtirol, come si dice nei paesi di lingua tedesca) che dopo quattro anni come Festmitglied nell’ ensemble dell’ Oper Graz si è segnalato all’ attenzione internazionale per la prima volta nel 2014 quando Nikolaus Harnoncourt lo scelse per impersonare i ruoli di Figaro, Don Giovanni e Guglielmo nelle tre opere di Mozart su testo di Da Ponte eseguite con il Concentus Musicus Wien in forma concertante al Theater an der Wien. Da allora il giovane cantante altoatesino ha inanellato successi sempre crescenti, grazie alle belle qualità di una voce assai attraente dal punto di vista timbrico e di una personalità interpretativa da autentico artista di classe. Per carisma scenico, incisività e varietà di fraseggio e fascino da autentico seduttore, la sua interpretazione del Burlador de Sevilla è senza alcun dubbio una tra le migliori che si siano ascoltate negli ultimi anni. La splendida varietà delle inflessioni di Schuen, dal tono carezzevole e seduttivo sino alla sfrontatezza arrogante, culminava in una splendida esecuzione della Serenata all’ inizio del secondo atto, tutta giocata su mezzevoci perfettamente timbrate. Davvero una magnifica prestazione da parte di un cantante che io spero di riascoltare al più presto.

Foto ©Judit Horvath
Un buon contraltare a una caratterizzazione di Don Giovanni così completa era dato dal Leporello del cinquantenne Luca Pisaroni, interprete mozartiano di lunga esperienza e capace di conferire risalto al fraseggio tramite un accento vario, incisivo e sempre appropriato. Buono anche il Don Ottavio del cinquantaduenne tenore svizzero Bernard Richter, dalla voce risonante e corposa assai appropriata per un personaggio troppo spesso degradato a damerino effeminato. Il giovane basso-baritono messicano Daniel Noyola era un Masetto molto appropriato nella sua ruvidezza di modi e il basso ungherese Krisztián Cser ha messo im mostra una voce adeguata a dare la giusta imponenza alla figura del Commendatore. Delle tre interpreti dei ruoli femminili, pregevole mi è sembrata in particolare la Zerlina del soprano veneziano Giulia Semenzato, dalla vocalità fresca e luminosa unita a un fraseggio vivo, vibrante e di grande autenticità. Maria Bengtsson, cinquantenne soprano svedese nota a livello internazionale soprattutto come interprete delle opere di Richard Strauss, dominava con buona sicurezza la vocalità di Donna Anna anche se il suono accusava a tratti una certa fissità nelle note alte. La sua connazionale Miah Persson, cinquantaseienne cantante di lunga carriera, ha una voce a mio avviso troppo leggera per la parte di Donna Elvira, col timbro che di conseguenza suonava piuttosto vuoto nell’ ottava inferiore anche se la gestione delle agilità era sufficientemente sicura. Teatro pieno sino all’ ultimo posto e successo assolutamente trionfale.
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