
Foto: Arcadi Volodos/FB
Il recital di Arcadi Volodos era tra gli appuntamenti più attesi del cartellone dei Ludwigsburger Festspiele. Il cinquantatreenne pianista pietroburghese, considerato uno tra i più importanti virtuosi della nostra epoca per la sua personalità interpretativa altamente carismatica e le doti tecniche spesso accostate dalla critica addirittura a quelle di Wladimir Horowitz, ha presentato al Forum am Schlosspark un programma che iniziava con la Sonata in la maggiore D. 959 di Schubert, della quale nel 2019 ha realizzato un’ incisione disocgrafica accolta da critiche entusiastiche. La penultima Sonata schubertiana è un pezzo enigmatico, dalla natura sfuggente e ambigua, la cui essenza è molto difficile da catturare. Rispetto ad altre celebri interpretazioni, Volodos sceglie di assecondare fino in fondo il carattere sperimentale della scrittura con cui Schubert opera una sorta di destrutturazione della forma classica dilatandone i confini e forzando gli schemi armonici. A partire dal tono drammatico, maestoso degli accordi introduttivi che trapassano direttamente nella melodia del tema principale, il pianista esplora l’immaginario musicale di Schubert con incredibile delicatezza, lavorando di fino sulla dinamica con incredibilmente sottili sfumature coloristiche. Stupenda e altamente originale era soprattutto la lettura dell’ Andantino, del quale Volodos ha resi alla perfezione il carattere sognante e misterioso, ma carico di una indefinibile tensione che sembra sempre sul punto di mutare il clima in una tempesta, preparando alla perfezione l’ arrivo del climax drammatico nel quale l’ armonia sembra tratti lacerarsi, risolto in una magnifica sottolineatura del recitativo in do diesis maggiore che introduce la ripresa del tema principale, splendidamente arricchita da una melodia in controcanto. La stessa varietà di sottili sfumature tra un pianissimo appena sfumato e la dolcezza malinconica del tocco pianistico caratterizzava l’ esecuzione dello Scherzo, fraseggiato con un calcolo raffinatissimo dei rubati, e del Finale. Una grande interpretazione, di quelle scomode che ti costringono a riflettere su aspetti della poetica schubertiana che di solito si danno per scontati, proposta da un pianista che possiede una personalità musicale davvero di quelle che non si incontrano a ogni angolo di strada.
Anche l’ esecuzione delle Davidsbündlertänze di Robert Schumann, che apriva la seconda parte, era davvero insolita. Volodos esaspera volutamente i contrasti creando un’ atmosfera che proietta la scrittura schumanniana verso il futuro. Le miniature descritte nel brano diventavano a tratti quasi grottesche marionette alla Strawisky, in un contrasto di tempi e sonorità estremizzato quasi fino al parossismo da un interprete di straordinaria audacia. Anche qui si potevano apprezzare al massimo le incredibili doti di Volodos nel calibrare variazioni infinitesimali del tocco da cui scaturivano sonorità a tratti letteralmente ricamate. Spettacolare la conclusione del programma, con una pirotecnica lettura della Rapsodia Ungherese N° 13 di Liszt della quale Volodos esegue una sua versione che complica ulteriormente la scrittura già difficilissima del pezzo. Un vero e proprio susseguirsi di numeri tecnici d’ altissima scuola in uno sfavillante arcobaleno di sonorità, che ha scatenato l’ entusiasmo del pubblico. Quattro i fuori programma, tra i quali apparivano esemplari le esecuzioni dell’ Intermezzo in si bemolle minore di Brahms e del Moment musicaux op. 94 N° 3 di Schubert, fraseggiato con una sensibilità squisita, da concertista di classe veramente superiore. Un concerto davvero splendido, destinato a rimanere a lungo nella memoria di chi era presente.
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