Antonio Juvarra – Trogloditismi scientifici nel canto


Nel suo ultimo contributo prima della pausa estiva, Antonio Juvarra si occupa del cosiddetto “colpo di glottide”.

TROGLODITISMI ‘SCIENTIFICI’ NEL CANTO: IL ‘COLPO DI GLOTTIDE’

Uno dei prodotti più micidiali, ancora da smaltire, della laringomania foniatrica francese dell’ Ottocento, è il cosiddetto ‘colpo di glottide’, prodotto emblematico della smania utopica della foniatria di ricreare in modalità ‘scientifica’ i vari automatismi fonatori. Con questa e altre trovate la foniatria artistica ha inaugurato quello che si può definire il gioco delle tre carte foniatrico, che consiste in questo: prendere un normale automatismo naturale (in questo caso l’ auto-avvio del suono parlato e cantato), dargli un nome ‘scientifico’ (‘colpo di glottide’), dopodiché raccontare a sé stessi e agli altri di aver realizzato una misteriosa manovra tecnico-vocale, la sola in grado di produrre un suono perfetto.

Questo vizietto foniatrico è arrivato fino ai nostri giorni, producendo altre entità chimeriche, tutte spacciate per ‘scientifiche’, e basti pensare all’atto naturale dell’apertura della gola, riciclato come “retrazione delle false corde” e a quel fenomeno acustico della concentrazione del suono (derivante direttamente dal suono parlato), spacciato come effetto di una fantomatica (e grottesca) causa meccanica, denominata “contrazione dello sfintere ariepiglottico”.

Che azionare contemporaneamente queste tre manovre (addurre le corde vocali vere col colpo di glottide, retrarre le corde vocali false e contrarre lo sfintere ariepiglottico), in realtà sia un’ operazione eseguibile solo da un robot, ma non da un essere umano, lascia completamente e beatamente indifferenti i loro inventori, i foniatri, il cui hobby preferito, com’ è noto, è quello di spiegare il reale attraverso l’ impossibile. In pratica, secondo questi utopisti della domenica, per cantare bisognerebbe pensare di tenere ben aperte le false corde vocali e contemporaneamente tenere invece ben chiuse, cioè addotte, le vere corde vocali, il tutto contraendo quel misterioso sarchiapone anatomico, denominato ‘sfintere ariepiglottico’. Insomma, degli esseri umani NORMALI (voglio dire non i ‘transumani’, sognati dalla foniatria), dovrebbero essere in grado di attivare consapevolmente e direttamente manovre di segno opposto, che riguardano tra l’ altro parti del corpo distanti tra loro pochi centimetri. Come se qualcuno ritenesse possibile contrarre al massimo il dito indice della mano e contemporaneamente rilassare al massimo il pollice e il dito medio della stessa mano. Con questa differenza non trascurabile: che mentre delle dita abbiamo il controllo diretto, invece delle corde vocali, delle false corde e dello sfintere ariepiglottico non solo non abbiamo il controllo diretto, ma neppure abbiamo la percezione!
Se ne deduce che da questo punto di vista sia le corde vocali vere, sia le corde vocali false appartengono alla categoria delle nozioni meramente astratte e si dà il caso che il canto si crei col VISSUTO SENSORIALE e non con astrazioni scientifiche come quelle sopra citate, ripetute a pappagallo dai seguaci dei pifferai magici della foniatria.

La prima di queste tre manovre (il ‘colpo di glottide’) è stata elaborata nell’ Ottocento dal parafoniatra Manuel Garcia figlio, che ha avuto l’ indecenza di corredarla con una prescrizione meccanica come la seguente:

“Il colpo di glottide si prepara chiudendo momentaneamente la glottide (operazione che arresta e accumula l’aria in quel punto), dopodiché la si apre con un COLPO SECCO E VIGOROSO, non dissimile dall’ azione delle labbra nel pronunciare energicamente la consonante ‘p’.”

Se pensiamo che una simile manovra (al contempo trogloditica e grottesca) fu presentata a suo tempo come ‘scientifica’, fu quindi riproposta a più riprese dal suo inventore in tutto l’ arco della sua vita centenaria e tuttora viene difesa dai vocologi, ricorrendo ad argomenti risibili, c’ è veramente da rimanere basiti.
Ad esempio, nel libro, di recente pubblicazione, ‘Vocologia artistica’, scritto da Fussi, Galeano e Cavazzuti, l’ assurdo meccanicistico del ‘colpo di glottide’ viene ancora una volta difeso e con queste parole:

“Nelle intenzioni di Garcia il ‘colpo di glottide’ voleva essere solo l’ atteggiamento propedeutico a realizzare un corretto attacco morbido. Alcuni maestri di canto hanno erroneamente creduto che Garcia consigliasse il vero colpo di glottide, inteso come attacco brusco, esplosivo, in opposizione a quello aspirato, soffiato.”

Ora, per arrivare ad affermare, come hanno fatto questi tre vocologi, che Garcia con la sua manovra (“chiudere momentaneamente la glottide, arrestando e accumulando l’ aria in quel punto, dopodiché aprirla con un COLPO SECCO E VIGOROSO”), intendeva propugnare un attacco morbido e non brusco, plosivo, ci vuole o tutta la faccia tosta o tutto il distacco dalla realtà dei foniatri artistici.

I disastri provocati da questa aberrazione tecnico-vocale già al suo nascere furono tali che il baritono Victor Maurel, il primo Jago e il primo Falstaff delle due ultime opere di Verdi, si sentì in dovere di fondare un comitato col compito di mettere in guardia pubblicamente, organizzando delle conferenze, sulla pericolosità di questo espediente. Il colpo di glottide infatti è la perversione meccanicistica di quell’ atto naturale che è l’ attacco del suono (parlato e cantato). Le caratteristiche di questo atto naturale sono due: l’ automatismo e l’ immediatezza. Automatismo significa, lapalissianamente, che il vero attacco del suono è in realtà un auto-avvio del suono. Im-mediatezza significa, letteralmente, che esso non è mediato da nessun atto della mente razionale sicché in realtà chi attacca un suono (parlato o cantato), decide solo il momento (istantaneo) in cui il suono si auto-avvia, ma non la modalità ‘tecnica’ con cui avviarlo. Uno dei modi per annullare questa immediatezza naturale, sostituendola con un intellettualismo pseudo-scientifico, è appunto il colpo di glottide. Esso è tanto sensato e naturale quanto lo sarebbe il proposito di chiudere e riaprire volontariamente le palpebre degli occhi  ogni sei/sette secondi sulla base del fatto che questo è quello che succede naturalmente (ossia automaticamente).

Immediatezza significa anche istantaneità. Questa istantaneità, essendo naturale, cioè connaturata con l’ atto, non ha nulla a che fare con la velocizzazione artificiale, che interviene quando l’ atto è prodotto attivando, o meglio, cercando di attivare direttamente (cosa di per sé impossibile) l’ adduzione delle corde vocali. Ancora una volta la differenza tra i due fenomeni è quella esistente tra il lasciare che le palpebre si chiudano da sole, automaticamente, ogni tot secondi (nel qual caso la chiusura avverrà, per l’ appunto “in un batter d’occhio”) e invece proporsi di chiuderle noi direttamente (nel qual caso, avendo disinserito l’ automatismo naturale, l’ atto verrà rallentato, nonostante le nostre intenzioni di velocizzarlo). Stesso effetto non voluto di rallentamento artificiale di un atto, se meccanizzato, si ha, nel caso dell’ articolazione, quando invece di lasciare che le parole si pronuncino da sole, decidiamo di ‘fare’ noi la pronuncia, magari ‘scolpendola’. Proviamo a fare noi la pronuncia di certi sillabati veloci dell’ opera buffa (ad esempio il mozartiano “se-tutto-il-codice-dovessi-volgere-se-tutto-l’ indice-dovessi-leggere..”) e dovremo poi fare i conti col direttore d’ orchestra per essere andati clamorosamente fuori tempo.

A questo concetto di istantaneità naturale fa riferimento nella lingua italiana (e non solo) uno dei significati del termine ‘colpo’. Ne sono esempi espressioni come ‘colpo di fortuna’, ‘colpo d’ occhio’, ‘colpo d’ ala’, ‘colpo di fulmine’ ecc. È sulla scia di questo significato (che quindi prescinde completamente da ogni idea di percussività) che nel gergo del canto nacque l’ espressione “colpo di gola” per indicare gli staccati veloci. Questo in un periodo in cui la “gola” ancora non era stata demonizzata, come succederà quando i foniatri inventeranno la cavità di risonanza fantastica, nota come “maschera”. Gli staccati, alias “colpi di gola”, furono utilizzati (e tuttora lo sono) come esercizi tecnico-vocali. A quale scopo? Non certo per imparare o ‘allenare’ l’adduzione delle corde vocali (così come utopizza la fantascienza foniatrica), dato che le corde vocali sono già perfettamente ‘allenate’ alla fonazione dalla nascita o quasi. No, il loro scopo è quello di sfruttare nel canto quell’ automatismo naturale perfetto di avvio del suono, definito nella scuola del belcanto con le espressioni “suono puro” (Mancini), “suono franco” (Tosi), “suono pronto” (Mengozzi), “suono sorgivo” (Lauri-Volpi), “attacco vero e puro” (Caruso).

È dall’ espressione ‘colpo di gola’ che Manuel Garcia mutuò quella di “colpo di glottide”, ma cambiandone completamente il significato. Intatti “colpo di glottide” non è semplicemente la traduzione in ‘foniatrichese’ di “colpo di gola”, ma è anche il suo grottesco tradimento semantico. Un po’ come se noi aggiornassimo ‘scientificamente’ l’ antica espressione ‘colpo d’occhio’, facendola diventare ‘colpo di retina’ e specificando quali muscoli oculari devono essere contratti per realizzarlo.

Abbiamo visto come si deve intendere il termine “colpo” dell’ antica espressione “colpo di gola”. Passiamo adesso al termine “gola”. Esso non è l’ equivalente di “glottide” e non soltanto per quanto riguarda, ovviamente, il suo significato anatomico, ma anche e soprattutto il suo significato tecnico-vocale.

Per chiarire meglio il discorso, partiamo da una premessa. La foniatria artistica ha creduto di individuare nell’ adduzione delle corde vocali la prima causa della fonazione (parlata e cantata). Questo è falso, dato che la vera prima causa è il concepimento mentale del suono, tant’è che non è possibile produrre nessun suono cercando di addurre direttamente le corde vocali, se in quel momento non abbiamo pensato a nessun suono (parlato o cantato). Questo fa delle teorie foniatriche applicate al canto delle forme di intellettualismo e, nel contempo, delle utopie. Ma c’ è di più: non solo l’ adduzione delle corde vocali non è la vera prima causa della fonazione (parlata e cantata), ma neppure è percepita sensorialmente come la prima causa della fonazione e sappiamo che è con le sensazioni e non con le astrazioni scientifiche che l’ essere umano in generale (e non solo il cantante) conosce, crea e comunica i fenomeni fonatori. Ora la fonazione è percepita dall’ uomo come qualcosa che nasce non nella glottide, ma o nella bocca (da cui i termini ‘orazione’ e ‘orale’) e/o, nel caso del canto, nella gola (da cui il termine ‘gorgheggio’, che in italiano moderno suonerebbe ‘goleggio’) e questo è il motivo per cui esistono le ‘orazioni’ e i ‘gorgheggi’, ma non le ‘larigazioni’ o le ‘glottazioni’. Nel parlato e nel canto la bocca è la sede e la fonte reale (quella immaginaria essendo la ‘maschera’…) di quella componente acustica che fa ‘correre’ la voce ed è la brillantezza del suono. Questo è il motivo per cui il baritono ottocentesco Delle Sedie nel suo trattato di canto definisce la bocca “tromba parlante” e un altro baritono ottocentesco, Leone Giraldoni (primo interprete del Simon Boccanegra di Verdi) scrive che “la cassa armonica, lo Stradivari della voce sono gli antri boccali e faringei.”

La follia foniatrica attuale ha spostato più in basso questa sede naturale della voce, attribuendo questa stessa qualità acustica della brillantezza e del focus al fantomatico (e grottesco) “sfintere ariepiglottico”, misteriosa entità annidata in non si sa quale oscuro antro faringo-laringeo, che nessun essere umano, da Adamo ed Eva a oggi, ha mai percepito. Ora le uniche situazioni vocali in cui la percezione naturale della localizzazione della voce si sposta più in basso della bocca sono quella in cui si intonano delle note gravi (non a caso dette “di petto”) e quella appunto in cui si eseguono degli staccati veloci. Da qui nasce il termine (e il concetto) di “colpo di gola”, che NON è il “colpo di glottide” di Garcia.

Poiché, come abbiamo visto, la caratteristica dell’ autoavvio del suono eufonico è la purezza e l’ immediatezza (nel duplice senso che abbiamo già visto), molti hanno stabilito l’equazione errata ‘immediatezza = colpo di glottide = attacco simultaneo’. Che cosa si intende per ‘attacco simultaneo’? Esso è un altro prodotto della tendenza della ‘scienza’ del canto a suddividere la realtà in compartimenti stagni. Nel caso dell’ attacco del suono è stata stabilita questa tripartizione: 1 – attacco secco; 2 – attacco aspirato; 3 – attacco simultaneo.
I primi due tipi di attacco rappresenterebbero i due eccessi opposti (l’ attacco preceduto da una mini-apnea e l’ attacco ‘sporco d’aria’), mentre l’ ideale sarebbe rappresentato dal terzo tipo, chiamato ‘simultaneo’ perché qualcuno ha teorizzato che l’ inizio del suono e l’ inizio della fuoriuscita del fiato devono avvenire nello stesso momento, altrimenti si cadrebbe in uno dei primi due tipi (l’ attacco secco o l’ attacco aspirato).

La dicotomia, stabilita da queste teorie, tra la nitidezza dell’ attacco e l’ emissione del fiato è fittizia, esistendo solo nei libri di fisio-anatomia. Nella realtà vera (dove gli opposti, contrariamente a quanto succede con le vivisezioni della ‘scienza del canto’, sono sempre fusi armoniosamente tra loro) accade che parlando e cantando, l’ attacco del suono è contemporaneamente sia nitido e immediato, sia morbido e ‘sul fiato’. Purtroppo il concetto di ‘attacco simultaneo’ ha intaccato come un virus non solo il canto moderno (vedansi le teorie cervellotiche di Jo Estill), ma anche il canto classico, dove il termine ‘colpo di glottide’ viene spesso utilizzato erroneamente non solo come sinonimo di ‘attacco pulito’ (il “suono pronto” dei belcantisti), ma viene riproposto anche nelle sue implicazioni più specificamente tecnico-vocali.
Ad esempio nel libro ‘Il canto lirico nella tradizione italiana’ di Sergio Catoni si legge:

“Quando le corde vocali si chiudono per attaccare una nota, il fiato e il suono devono uscire simultaneamente. L’attacco non deve essere preceduto dall’ emissione di aria. La simultaneità tra emissione del fiato e produzione del suono, l’istantaneità di questi due fenomeni, corrisponde al colpo di glottide. (….) Ciò che il colpo di glottide deve aiutare a produrre, è un attacco sulla vocale netto e preciso e non una vocale e un attacco strascicati, come accadrebbe se si facesse precedere il fiato al suono.”

Questa concezione dell’ attacco del suono risulta chiaramente viziata dal marchio meccaninistico della foniatria, essendo basata sulle astrazioni scientifiche invece che sulla completa aderenza alla realtà sensibile, cioè sulla natura. In effetti, come abbiamo visto, la realtà, nel suo aspetto di natura (la musa ispiratrice del belcanto), non scinde mai, ma fonde tra loro gli opposti, motivo per cui la tranquilla continuità dell’ del fiato e l’ istantaneità dell’ accensione della scintilla iniziale del suono coesistono, senza che il cantante debba optare per l’ una o per l’ altra. Questo è ciò che facciamo in tutti gli atti che coinvolgono la fonazione, ad esempio parlando, ridendo ecc. In tutti questi atti naturali l’ avvio iniziale del suono avviene appunto senza fermare preventivamente il libero fluire del fiato per far coincidere il suo inizio con l’ avvio del suono, procedura che, se applicata al parlato, sfocerebbe in effetti grotteschi o burattineschi. In altre parole qualunque frase parlata (e cantata) incomincia ‘appoggiandosi’ su un flusso di fiato, che ha avuto inizio prima del suono, altrimenti come farebbe il suono a iniziare, come suggerisce una felice espressione belcantistica, ‘sul fiato’, se ‘sotto’ il suono ancora non c’ è il fiato, perché l’ abbiamo bloccato con una piccola ‘apnea’ per assicurarci che il suono sia nitido e non arioso? La fobia dei suoni ‘ariosi’ è di per sé assurda, se solo si pensa che il suono è fatto di aria, per cui avere paura che il suono nasca ‘sporco d’aria’ cantando è come avere paura di bagnarsi lavandosi o tuffandosi nel mare.

La verità (rimasta per sempre ignota al meccanicista Garcia, inventore del famigerato ‘colpo di glottide) è che tutte le volte che il suono nasce ‘arioso’ invece che ‘aereo’, la causa non è data dal fatto di aver lasciato che il fiato naturalmente fluisca (senza fermarlo per attaccare il suono), ma è data dal fatto di non aver lasciato che il suono nasca per AUTO-AVVIO, auto-avvio che per sua natura è immediato e istantaneo.

Si rivela così il vero significato e il vero scopo dell’ esercizio degli staccati nella scuola del belcanto, e questo scopo non è certo quello di dare alla natura surreali lezioni di adduzione alle corde vocali (secondo la grottesca e presuntuosa utopia del colpo di glottide di Garcia), ma, al contrario, è quello di sfruttare un servomeccanismo naturale perfetto, già esistente nel parlato, e ‘trapiantarlo’ nel canto, così com’è. Senza cervellotici ‘colpi di glottide’ e relative ‘apnee prefonatorie’, che sono tutte forme di anti-natura e, per ciò stesso, di anti-canto.
Ogni luce, coperta parzialmente, proietta un’ombra, ma nessuno scambia l ombra con la luce. Il concetto belcantistico di ‘suono puro’ è la luce; il concetto foniatrico di ‘colpo di glottide’ è la sua ombra.

Chi si diletta a coltivare le utopie meccanicistiche della foniatria e, concentrandosi mentalmente sulla chiusura istantanea della glottide, si illude di aver così realizzato il magico ‘colpo di glottide’, in realtà non ha fatto che continuare ad avviare normalmente il suono agendo sulla sua causa reale (cioè immaginandolo mentalmente) e aggiungendovi poi la tensione derivante dall’ idea di far nascere il suono da questa attivazione muscolare diretta e localizzata. In pratica ha contemporaneamente premuto il pedale dell’ acceleratore (=il concepimento/creazione del suono) e il pedale del freno (=il colpo di glottide), pensando di aver premuto solo il pedale dell’ acceleratore, erroneamente fatto coincidere col ‘colpo di glottide’.

Occorre precisare in proposito che esiste una differenza fondamentale tra concepimento mentale naturale del suono e rappresentazione razionale-intellettualistica del suono. Il primo è il processo, appunto naturale, con cui, semplicemente immaginandolo, immediatamente (cioè, senza la mediazione superflua e nociva della mente razionale-analitica) il suono si autogenera, che è ciò che facciamo normalmente anche parlando. Il processo è quindi il seguente: immagino mentalmente il suono e lascio che da solo si crei. Dire che il suono deve essere lasciato nascere da solo, nella sua naturale immediatezza e istantaneità, e non fatto meccanicamente, non significa né affidarsi al caso né formulare un’altra utopia, di segno contrario a quella meccanicistica della foniatria artistica, ma significa semplicemente descrivere quello che tutti fanno normalmente nel mondo reale. Significa insomma riconoscere e rispettare (finalmente!) un dato di fatto obiettivo: l’ esistenza di SERVOMECCANISMI NATURALI, che aspettano solo di essere lasciati funzionare senza l’ interferenza (frenante o bloccante) di determinate nozioni razionali o astrazioni intellettuali, chiamate fantascientificamente ‘tecnica vocale’.

Tra le conseguenze grottesche del fatto di credere che il colpo di glottide sia una realtà obiettiva invece che, come in realtà è, una mera intellettualizzazione ‘astratta’ (cioè, letteralmente ed etimologicamente, ‘distaccata’ dalla realtà sensibile del fenomeno, cioè dalla vera realtà del cantante), c’ è il fatto di scambiare la causa per l’ effetto, ossia di pensare che la velocità e l’ immediatezza che costitutivamente caratterizzano l’ autogenesi naturale del suono, siano l’ effetto della nostra intenzione di attaccare il suono attivando il colpo di glottide, quando in realtà il colpo di glottide è soltanto l’ imitazione esterna, meccanica, di una caratteristica del suono (l’ immediatezza iniziale), che ha tutt’altre cause. In pratica credere al colpo di glottide come causa dell’ avvio del suono è come pensare che le cariatidi che nelle facciate di certi palazzi antichi si mostrano nell’ atto di sostenere l’ edificio, siano esse a sostenere realmente l’ edificio. Con questa differenza: che mentre una cariatide (causa immaginaria del sostegno della struttura) è esteticamente più bella di un pilastro (causa reale del sostegno della struttura), invece il colpo di glottide (causa immaginaria dell’attacco del suono) è, sia dal punto di vista funzionale sia dal punto di vista estetico, letteralmente orrendo rispetto all’ autogenesi naturale del suono (causa reale dell’ attacco del suono).

La critica sostanziale del concetto di ‘colpo di glottide’ prescinde totalmente dalla forma linguistica (infelice), scelta da Garcia per indicarlo. In altre parole, se invece di “colpo di glottide”, esso fosse stato chiamato “carezza della glottide” (come qualcuno aveva provato a chiamarlo all’ epoca, per salvare la gaffe di Garcia), non sarebbe cambiato assolutamente nulla, e questo ci fa capire come la critica del colpo di glottide non sia affatto equiparabile a una discussione sul sesso degli angeli, come qualcuno potrebbe pensare. Infatti, spostare l’ attenzione del cantante dalla globalità psico-fisica del gesto naturale dell’avvio del suono alla localizzazione anatomica della sua causa vibratoria, porta come conseguenza un immediato irrigidimento del corpo e una vera e propria contrazione non solo dello spazio di risonanza ma della stessa coscienza del cantante! E per averne la prova basta fare l’ esperimento anche solo parlando: gli effetti (nefasti) saranno analoghi.

Si scoprirà anche che non esiste alcuna situazione fonatoria naturale in cui il suono si generi tramite il colpo di glottide: dal parlato alle esclamazioni, ai sospiri, agli sbadigli, alle risate, ai pianti, includendo persino i colpi di tosse, mai succede che le corde vocali vengono azionate direttamente, come prevede l’ invenzione fantascientifica del colpo di glottide. Anche nel caso dell’ occlusiva glottidea del tedesco (impropriamente chiamata ‘colpo di glottide’), non interviene in realtà una chiusura meccanica della glottide, ma semplicemente accade che il flusso d’ aria viene fermato per un attimo, mentre l’ adduzione delle corde vocali continua ad avvenire naturalmente, cioè in automatico e non azionandola direttamente. Nel caso del canto, anche negli ‘staccati’ i suoni, per quanto brevi e istantanei come scintille, continuano a rimbalzare naturalmente sul fiato e queste “scintille” si accedono da sole. Lo stesso discorso vale per il risultato fonico, cioè per la qualità del suono, generata, rispettivamente, dai gesti vocali naturali e dal colpo di glottide. Nei primi, a seconda delle situazioni, il suono potrà essere morbido, aereo, arioso, squillante, tagliente, nitido, duro, ma MAI SECCO, come invece accade col colpo di glottide, il quale pertanto si riconferma, sia nella causa sia negli effetti, come l’ assurda manovra meccanica, creata da un apprendista stregone ottocentesco della scienza, che coltivava la bizzarra utopia di modellare la fonazione umana su quella dei robot.

Quello di ‘colpo di glottide’ pertanto non può essere considerato un concetto innocuo, sinonimo di avvio netto del suono, ma racchiude in sé tutta un’ ideologia, che è quella scientistica-positivistica dell’ Ottocento e che rappresenta una vera e propria sovrastruttura esterna, che non fa altro che soffocare il fenomeno.

Ma una drastica presa di distanza dalla concezione grossolanamente meccanicistica di Garcia, aveva attuato già a quel tempo il grande maestro di belcanto Giovanni Battista Lamperti con le seguenti illuminanti affermazioni, originate dal semplice buon senso:

1 – “Il primo suono deve incominciare come un’ autocombustione, non come un fiammifero che, strofinato, si accende.”
2 – “Come si fa il suono ‘a fuoco’? Non si fa; accade, come l’ arcobaleno…”

In conclusione, non esistono nel canto classico due distinte modalità di produzione del suono, una ‘morbida’, modellata sul sospiro, e un’altra ‘netta’, basata sul colpo di glottide, ma esiste un’ unica modalità naturale di produzione del suono, caratterizzata dalla automatica immediatezza e istantaneità dell’ ‘auto-accensione’ del suono, sulla base del contatto morbido col flusso del fiato (fiato non “trattenuto” né “sprecato”, ma semplicemente lasciato fluire). A determinare un attacco prevalentemente morbido oppure un attacco apparentemente esplosivo e netto non è l’ intenzione diretta, meccanica di chiudere le corde vocali con un colpo di glottide, ma, come sempre succede nel canto, sono le diverse intenzioni dinamiche ed espressive che, indirettamente, metteranno più in evidenza l’uno o l’altro dei due ‘poli’ (quello della nitidezza-lucentezza o quello della fluidità-morbidezza), senza che mai essi siano generati con azioni meccaniche dirette e localizzate, ovvero senza che mai il cantante debba trasformarsi in un grottesco robot dell’ anticanto.

Quest’ ultima attitudine pseudo-tecnica, frutto dell’ ipercontrollo e dell’ ipercorrezione, era stata bollata dai belcantisti col termine “affettazione”, affettazione intesa come dimensione contraria a quella, ideale, della “nobile sprezzatura”, creatrice del vero canto e frutto dell’ affidarsi e dell’ abbandonarsi. Abbandonarsi a che cosa? All’ energia invisibile, impalpabile e ‘immeccanizzabile’ della natura e già presente in determinati gesti naturali globali, gesti che devono ‘semplicemente’ essere collegati armonicamente tra loro e non ‘reiventati’, ‘riprodotti in laboratorio’, ‘corretti’ o ‘perfezionati’.

Antonio Juvarra


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