
Foto ©Manolo Press/Michael Bode
Il Festspielhaus di Baden-Baden ha iniziato il programma del mese di maggio con un’ esecuzione in forma di concerto di Der Freischütz, il capolavoro di Carl Maria von Weber considerato fin dal suo apparire sulle scene come un vero e proprio manifesto dell’ opera romantica tedesca, la cui influenza è stata decisiva nei successivi sviluppi della storia musicale in Germania. Anche oggi l’ opera di Weber è una tra le più amate dal pubblico tedesco e la sua presenza nelle stagioni liriche in Germania è regolare e continua a tutti i livelli, anche sui palcoscenici minori. Essendo io da sempre innamorato di questa stupenda partitura, non ho voluto perdermi l’ esecuzione portata a Baden-Baden dalla Kammerakademie Potsdam, complesso strumentale nato nel 2001 dalla fusione dell’ Ensemble Orion Berlin con il Persius Ensemble di Potsdam e dal 2010 diretta dall’ italiano Antonello Manacorda, cinquantacinquenne musicista torinese che ha iniziato la carriera come violinista, prescellto da Claudio Abbado per il ruolo di Konzertmeister della Gustav Mahler Jugendorchester e successivamente dedicatosi a un’ attività di direttore d’ orchestra che col passare degli anni ha assunto dimensioni di primo piano in campo internazionale.
Avevo ascoltato Manacorda circa un anno fa in un’ infelice produzione del Trovatore alla Staatsoper Stuttgart nella quale anche lui non mi aveva completamente convinto. In questa occasione invece le mie impressioni sono state decisamente molto positive. La sua direzione, di taglio delicato e dai colori morbidi, ben realizzati da un’ orchestra assai duttile e dal suono timbricamente attraente nelle sue sfumature timbriche quasi da colori al pastello, era stilisticamente inappuntabile e molto intelligente dal punto di vista interpretativo per la ricchezza della dinamica e la raffinatezza dei fraseggi strumentali. Le tinte orchestrali delicatamente trasparenti nelle scene intime e la magnifica tensione drammatica ottenuta dalla bacchetta nella celebre scena della Wolfsschlucht erano i momenti migliori di un’ esecuzione davvero notevole per efficacia narrativa e carica teatrale. Un’ interpretazione molto interessante e gradevole per la freschezza e la coerenza nella concezione d’ insieme oltre che per la scrupolosa cura della concertazione nelle scene corali, che in quest’ opera hanno grandissima importanza e sono state rese al meglio dalla magnifica prestazione del RIAS Kammerchor, uno tra i migliori ensemble vocali tedeschi, qui davvero splendido per omogeneità e bellezza di suono.

Foto ©Manolo Press/Michael Bode.
Positiva anche la prova fornita da una compagnia di canto in complesso decisamente notevole per equilibrio complessivo. Il Max del tenore statunitense Charles Castronovo era complessivamente apprezzabile per l’ incisività del fraseggio, anche se la voce nel registro acuto non è luminosissima perché al di sopra del FA il suono non “gira”, come si dice nel gergo degli appassionati e quindi le note alte suonano forzate. Il cinquantaquattrenne basso-baritono Kyle Ketelsen, nativo dello Iowa e cantante dalla carriera internazionale abbastanza interessante, ha reso bene gli aspetti satanici della figura di Kaspar tramite una voce autorevole e un fraseggio assai incisivo. Efficaci dal punto di vista vocale erano il Kilian di Milan Siljanov e l’ Ottokar di Levente Pál. Il basso coreano Jongmin Park ha dato adeguata imponenza alle figure di Kuno e dell’ Eremita con una voce ampia e di timbro davvero interessante. Notevolissima è stata soprattutto la prova delle due voci femminili, entrambe di qualità davvero notevole. Nikola Hillebrand, una tra le migliori cantanti tedesche della giovane generazione, dalla voce dolce e pastosa nei centri e dalla dizione scolpita e raffinata, ha impersonato una Ännchen aggraziata, spiritosa, vivace nel fraseggio e interpretativamente simpaticissima. Assai notevole è apparsa anche l’ Agathe del soprano Golda Schultz, quarantaduenne cantante sudafricana dai mezzi vocali davvero importanti per qualità e omogeneità di suono. La sua esecuzione della stupenda aria “Und ob die Wolke sie verhülle” era davvero molto apprezzabile per il buon legato, la luminositá del timbro e un accento giustamente malinconico e sognante. Molto brava era anche Johanna Wokalek, una tra le più rinomate attrici teatrali e cinematografiche tedesche, alla quale era affidata la lettura dei testi che in questa esecuzione sostituivano i dialoghi parlati originali. Nel complesso una lettura di ottima qualità e pienamente convincente sotto il profilo interpretativo, salutata da lunghi applausi da parte del pubblico del Festspielhaus.
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