Osterfestspiele Baden-Baden 2025 – Jakub Hrůša e Seong-Jin Cho

Foto ©Monika Rittershaus

Il programma del secondo concerto sinfonico dei Berliner Philharmoniker agli Osterfestspiele Baden-Baden era già stato eseguito con successo un mese fa a Berlino. Sul podio era il quarantatreenne Jakub Hrůša, originario di Brünn e allievo tra gli altri di Jiří Bělohlávek, un musicista che in questi anni si è imposto come una tra le migliori bacchette della nuova generazione, che dirige regolarmente le grandi orchestre mondiali e attualmente è Chefdirigent dei Bamberger Symphoniker, carica alla quale affiancherà a partire dalla prossima stagione quella di Music Director della Royal Opera House in Covent Garden. Ho ascoltato il giovane direttore ceco in occasione delle sue esibizioni a Stuttgart con la RSO des SWR e in quelle occasioni avevo già avuto modo di segnalarlo come interprete di grande personalità. Il programma iniziava con la suite orchestrale da Osud, opera scritta da Leos Janacek tra il 1903 e il 1907, che dal punto di vista stilistico, è rappresentativa di una fase di evoluzione nello stile dell’ autore. La composizione inizia nel 1903, dopo la lunga elaborazione del suo capolavoro operistico, Jenufa. A questo punto, il musicista prende le distanze dall’ influenza tardoromantica, per cercare nuove soluzioni di linguaggio. Intuizioni e soluzioni armoniche destinate a confluire nell’ evoluzione successiva, tutta novecentesca, della sua esperienza creativa, fino alla definizione di una variante personalissima di un processo variegato, a più voci, di disintegrazione e superamento della tonalità. Come tutti i maestri della grande scuola direttoriale ceca, anche Jakub Hrůša possiede istintivamente i requisiti stilistici necessari a comprendere questa musica e la sua lettura fervida e appassionata della Suite che riunisce alcune fra le musiche più ispirate dell’ opera come come le scene di insieme del primo atto e tutta la scena tra Mila e Zivny del secondo, era assolutamente esemplare per coerenza stilistica e proprietà di fraseggio.

Foto ©Monika Rittershaus

A seguite, il Concerto N° 5 op.73 di Beethoven suonato da Seong-Jin Cho, trentenne pianista sudcoreano formatosi a Parigi con Michel Beroff e balzato all’ attenzione del pubblico internazionale con la vittoria nella International Chopin Piano Competition del 2015, a soli ventun anni, sopo la quale ha iniziato una serratissima attività internazionale in tutte le maggiori sale da concerto e con le più grandi orchestre, documentata da una serie di album registrati per la Deutsche Grammophon con la quale ha un contratto di esclusiva. Seong-Jin Cho suona regolarmente coi Berliner Philharmoniker ed è stato anche in tournée con loro. Il Concerto in mi bemolle di Beethoven, conosciuto col titolo Imperatore, è sicuramente un banco di prova molto impegnativo per un pianista e richiede oltre alle doti tecniche una maturità musicale spiccata. Come ho già avuto modo di scrivere in diverse occasioni, oggi siamo in presenza di una generazione di giovani strumentisti di alto livello qualitativo, assolutamente impeccabili dal punto di vista della preparazione tecnica e anche Seong-Jin Cho è sicuramente una ulteriore dimostrazione di questa tendenza. Non si pretende che un pianista di trent’ anni anni sia già un prodotto fatto e finito, ma l’ impressione che ho ricavato dal modo in cui il giovane virtuoso asiatico ha eseguito il Concerto beethoveniano è stata quella di uno strumentista tecnicamente completo e dotato di una notevole musicalità, oltre che di doti virtuosistiche davvero ragguardevoli. Dal punto di vista interpretativo, la sua lettura perfettamente centrata, nella quale la souplesse tecnica e il tocco cristallino si integravano meravigliosamente nel fraseggio elegante e raffinato dei Berliner Philharmoniker, guidati da Jakub Hrůša con un tono intenso, nobile ed eloquente, magnificamente calibrato in linee melodiche di un equilibrio e respiro assolutamente impeccabili, era davvero molto notevole oltre che stilisticamente assai appropriata. Seong-Jin Cho ha poi trascinato all’ entusiasmo il pubblico del Festspielhaus con una spettacolare esecuzione di Hajsza, il quinto brano della Suite Szabadban (All’ aria aperta) di Bela Bartók.

Nella seconda parte del programma, Jakub Hrůša e i Berliner Philharmoniker ci hanno fatto ascoltare una bellissima esecuzione del Concerto per orchestra di Béla Bartók. L’ impostazione interpretativa del direttore moravo privilegiava soprattutto l’ aspetto coloristico, compiendo un lavoro di cesello sulla dinamica e offrendoci un caleidoscopio di sonorità assolutamente affascinante nel suo continuo trascolorare. Timbri traslucidi e cangianti in un contesto strumentale di grande trasparenza e leggerezza, un fraseggio mobilissimo e una minuziosa analisi delle dinamiche erano le caratteristiche principali di una lettura nella quale si apprezzava in maniera particolare la naturalezza e la spontaneità dell’ esposizione, da parte di un direttore che non utilizza la scrittura sinfonica bartokiana per fare sfoggio di abilità virtuosistica o di splendore sinfonico fine a se stesso, ma piuttosto si preoccupa innanzi tutto di un’ attenta adesione al contenuto musicale della partitura. Non era forse completamente la mia interpretazione ideale perché io in Bartók preferirei timbri orchestrali un po’ più lucidi e taglienti, ma il fascino sonoro di questa esecuzione era innegabile soprattutto nei movimenti centrali in cui la sezione fiati dei Berliner ha esibito in pieno tutto il suo funambolismo virtuosistico, soprattutto nel Gioco delle coppie. Un’ esecuzione complessivamente di grande pregio, che ha reso piena giustizia alle caratteristiche di una partitura fra le più importanti nella letteratura sinfonica del Novecento e hamesso in mostra tutta la classe di un direttore senz’ altro da considerare tra i più originali e preparati della giovane generazione, in possesso di tutte le qualità necessarie per diventare un grande del podio nei prossimi anni. Grandissimo successo, con intensi applausi alla conclusione.


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