Antonio Juvarra – “Una lezione di belcanto di Beniamino Gigli”

Per il suo contributo mensile, Antonio Juvarra ci propone un’ analisi di un video nel quale Beniamino Gigli dà una lezione di canto a un tenore tedesco.

UNA LEZIONE DI BELCANTO DI BENIAMINO GIGLI

La prima sorpresa (piacevole) che ci riserva questa mini-lezione di canto del grande tenore Beniamino Gigli (tratta dalla scena di un film) è il fatto di non sentire pronunciare da lui una sola volta la parola magica ‘maschera’ (famigerato jolly pseudo-tecnico-vocale, buono per tutte le stagioni e tutte le masterclass) e già questa semplice omissione si qualifica indirettamente come un atto belcantistico, tenuto conto che in nessun trattato classico del belcanto figura mai né il termine né il concetto di ‘maschera’. A proposito di ‘maschera’ e di masterclass, è rimasto famoso negli annali della comicità involontaria il video di una masterclass in cui il celebre soprano Birgit Nilsson, alle prese con un allievo ‘ingolato’ (cioè con evidenti problemi di gola chiusa), gli propina seraficamente come rimedio il classico zuccherino per diabetici, ovvero il suggerimento “più nella maschera!”, coi risultati disastrosi che ognuno può immaginare. In questa lezione invece, così come nelle sue masterclass di Vienna e di Londra, Beniamino Gigli va felicemente controcorrente, astenendosi dal proporre i grossolani paradigmi tecnico-vocali, di origine foniatrica, basati su false antinomie quali ‘suono proiettato avanti vs suono indietro’ e ‘maschera vs ingolamento’, o su concetti come quello di “maschera” come “cavità di risonanza vera” e di gola come “cavità di risonanza falsa” (cit. Alfredo Kraus), concetto comico-scientifico il cui equivalente podistico sarebbe il concetto di ‘coda’ come ‘arto deambulatorio vero’ e di gamba come ‘arto deambulatorio falso’.

Ovviamente Gigli non degna di alcuna considerazione anche quell’ opposto tecnico-vocale della ‘maschera’ che è l’ ‘affondo’, grottesco monstrum, elaborato da demenziali ingegneri navali, seriamente convinti che il varo di una nave consista nell’affondarla per farla galleggiare meglio. Occorre per altro riconoscere che nell’ esecuzione della romanza della Tosca da parte di questo allievo tedesco, la risonanza della voce appare abbastanza bilanciata, il suono non manipolato e si nota anche, per quanto in forma embrionale, un certo legato. Perché allora Gigli si mostra insoddisfatto e lo corregge? La risposta prescinde completamente dai concetti di ‘maschera’ e ‘suono avanti’ e ha a che fare con quella che è la vera causa del suono ben sintonizzato, causa che è sistematicamente ignorata dagli attuali maestri di canto e di cui la ‘maschera’ è solo un riflesso illusorio, così come la luna nel pozzo lo è della luna nel cielo.

Qual è questa causa? Gigli ne fa cenno, affermando che non bisogna “aprire i suoni”, il che potrebbe indurci erroneamente a credere che Gigli propenda per il contrario dei suoni aperti e cioè per i suoni “coperti” e “scuriti”, secondo lo schema farlocco, inaugurato da Garcia, della voce bicolore. Così non è (per fortuna!), come risulta chiaro dal fatto che Gigli a un certo punto si mette a imitare l’ errore dell’allievo, evidenziando così quale sia in realtà questo errore: fare ampi movimenti di apertura della bocca in verticale per articolare, scandendo artificiosamente la pronuncia sillaba per sillaba. Dal che si deduce che secondo la concezione di Gigli la vera causa della giusta emissione e della giusta sintonizzazione del suono non è data da una realtà statica e prefissata, quale è implicita nei concetti antitetici di ‘suono aperto’ e ‘suono coperto’ (che sono solo stampini che irrigidiscono), ma da una realtà dinamica e fluida, qual è rappresentata dal processo naturale dell’ articolazione (oltre che, ovviamente, dal concepimento mentale del suono puro, che per altro qui l’ allievo mostra di aver già acquisito). È il giusto movimento, fluido ed essenziale, dell’ articolazione (quello cui anche Tito Schipa faceva riferimento col suo famoso motto “parole piccole, mai grandi”) ad agire nel canto come sintonizzatore automatico della voce. Questo movimento articolatorio, non fatto ma lasciato avvenire, è né più né meno che il movimento articolatorio del parlato e questo è il motivo per cui Gigli diceva che la giusta articolazione nel canto deve essere “mentale e facile.”

A questo punto ci si potrebbe chiedere: allora perché cantando non riusciamo a continuare a fare una cosa di cui abbiamo già il possesso perfetto parlando? La risposta è semplice: perché è difficile trovare quella giusta apertura della gola che dia spazio e rotondità al suono ma nel contempo mantenga la naturale ‘minimalità’ e scioltezza dei movimenti articolatori del parlato senza ingrandirli. Se non si è trovato questo “accordo” tra bocca e gola (Mancini, 1777), cioè questa indipendenza sinergica tra giusto movimento articolatorio (che avviene nella bocca) e giusta apertura dello spazio di risonanza (che avviene nella gola), è facile ricorrere a forme di compensazione, andando a cercare nel posto sbagliato, cioè nella bocca invece che nella gola, lo spazio di risonanza che dà la rotondità al suono, e costringendo così la bocca a fare ampi movimenti per articolare, ampi movimenti che di per sé rendono impossibile o comunque ostacolano la creazione del perfetto legato e l’ omogeneità del suono.

Ecco svelato quindi il motivo per cui sentiamo Gigli in questo video diffidare dall’ “aprire i suoni”: non perché fosse diventato un fautore delle bocche ovali o a imbuto e delle vocali ‘coperte’ (leggi: ‘intubate’), ma perché se l’ articolazione non viene lasciata quella essenziale e sciolta del parlato, lo spazio di risonanza della bocca non può fondersi con quella della gola, che arrotonda il suono, e il suono risulterà schiacciato, cioè ‘aperto’ in senso negativo.

Esiste per altro una seconda condizione perché i due spazi di risonanza possano fondersi ed è che la gola non venga aperta nel modo sbagliato. I tipi di apertura sbagliata della gola possono essere diversi: c’ è l’ apertura ridotta, c ‘è l’apertura eccessiva, c’ è l’ apertura rigida e c’ è quella particolare forma di apertura rigida, che è l’ apertura in verticale dello spazio orofaringeo. L’ apertura verticale è quella storicamente introdotta nel canto lirico da Garcia e riproposta dalla moderna foniatria con l’ idea di abbassare direttamente la laringe e alzare direttamente il palato molle. Tutto ciò determina immediatamente l’ intubamento (in senso letterale e traslato) della voce, che verrà poi compensato (ma non corretto) ipertimbrando il suono, cioè portandolo nella ‘maschera’ o ‘proiettandolo’ avanti, due eufemismi utilizzati come foglie di fico per coprire un’operazione molto più banale e grossolana: spingere la voce. A sua volta però questa operazione determina automaticamente la chiusura della gola, come già ebbe modo di scoprire amaramente su di sé Franco Corelli, ciò che lo portò ad allontanarsi da Lauri Volpi, convinto fautore, invece, di quella che lui chiamava “mascherazione” (sic), confermando così l’ inquietante fenomeno per cui anche nei grandi cantanti pensanti come Lauri Volpi le intuizioni geniali possono convivere tranquillamente con i sarchiaponi pseudo-scientifici.

Lontanissimo dal sarchiapone foniatrico della “mascherazione” di Lauri Volpi e rigorosamente in linea con la tecnica del belcanto si rivela invece l’ approccio semplice e naturale (endiadi) di Beniamino Gigli, il quale nelle sue masterclass parla sempre e solo di “suoni puri”, di vocali non modificate-mescolate (se si canta in italiano) e di articolazione naturale sciolta ed essenziale.
Anche per l’ apertura della gola Gigli ripudia il modello ‘verticale’ di Garcia, (condiviso invece a intermittenza da Lauri Volpi ed esasperato in modo caricaturale dall’ ‘affondo’), ma propugna invece quello belcantistico dello “spiegare la voce” e della “gola larga”, per suscitare la quale, al contrario di Garcia e dei suoi epigoni, nella zona acuta Gigli propone significativamente (e sorprendentemente) come modello di spazio la vocale ‘A’ e non la vocale ‘O’, a conferma del fatto che la connotazione negativa, da lui data al concetto di “suono aperto”, si riferiva non alla forma dello spazio di risonanza interno, ma al processo dell’articolazione, quando è alterato e ampliato artificiosamente da un’ apertura sbagliata della gola. Occorre per altro precisare che il riferimento di Gigli alla vocale ‘A’ è da intendere non come imposizione di uno stampino prefissato, considerato ‘ideale’ (come faranno Kraus con la ‘I’ e Melocchi con la ‘U’), ma come evocazione simbolica di quell’apertura orizzontale dello spazio (sferico) di risonanza, percepita soprattutto nella zona acuta, apertura cui i belcantisti alludevano coi concetti di “voce spiegata”, “espandere la voce” e di “sorriso” (interno).

Il fatto che nella zona acuta la bocca naturalmente si apra di più non significa che lo spazio di risonanza venga verticalizzato, come hanno pensato erroneamente Garcia, i suoi epigoni novecenteschi dell’ affondo e i fautori delle bocche ‘ovali’, e la conoscenza di questo fatto rappresenta un altro importante elemento che collega Gigli alla tecnica vocale italiana storica, nota anche come tecnica del belcanto. Chi pensa (ingenuamente) che per fare un suono rotondo occorra rendere rotonda la bocca e che lasciarla naturalmente orizzontale significhi schiacciare il suono, è uno che semplicemente ignora che se un cantante sa (come sempre si è saputo prima di Garcia e come in epoca più recente sia Beniamino Gigli, sia Enrico Caruso hanno capito perfettamente) come fondere lo spazio di risonanza della bocca con quello della gola, la bocca può rimanere naturalmente orizzontale, senza che assuma la forma (grottesca) di uovo o di trombetta e senza che il suono si schiacci.

La fusione della semplicità e della naturalezza del parlato con lo spazio ampio e morbido della ‘gola aperta’ del canto, sfocia in quella dimensione costitutiva del belcanto che, vista sub specie aesthetica, Winckelmann nel Settecento chiamò “calma grandezza e nobile semplicità” e, vista sub specie technico-vocali, Gigli in pieno Novecento ‘scientifico-foniatrico’ ha felicemente e autorevolmente riaffermato.

Antonio Juvarra


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2 pensieri riguardo “Antonio Juvarra – “Una lezione di belcanto di Beniamino Gigli”

    1. Non conosco tutti i tenori attualmente in carriera, però se dovessi fare due nomi, direi quelli di Juan Diego Florez e di Michael Spyres.

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