Festspielhaus Baden-Baden – Gewandhausorchester

Foto ©Manolo Bode

Proseguono gli appuntamenti musicali di altissimo livello al Festspielhaus di Baden Baden, il cui cartellone è sicuramente uno tra i più interessanti del panorama musicale tedesco, per quantità e qualità di proposte. Questa volta abbiamo avuto l’ opportunità di ascoltare la Gewandhausorchester, complesso che per storia e tradizione appartiene di diritto appartiene alla elite delle più grandi orchestre sinfoniche mondiali. Anche se i primi documenti di un complesso strumentale stabile attivo a Leipzig risalgono al 1479, la fondazione ufficiale avvenne nel 1743 quando sedici nobili e commercianti di Leipzig decisero di finanziare un gruppo di musicisti per istituire una società denominata Leipziger Concert, che iniziò ufficialmente la sua attività l’ 11 marzo di quell’ anno. Per questo motivo, la Gewandhausorchester è considerata la più antica formazione concertistica nata in ambito borghese, e non di corte, del mondo di lingua tedesca. Johann Adam Hiller fu il primo dei ventuno Gewandhauskapellmeister la cui lista include tra gli altri  i nomi di Felix Mendelssohn Bartholdy, Carl Reinecke, Arthur Nikisch, Wilhelm Furtwängler, Bruno Walter, Hermann Abendroth, Vaclav Neumann, Kurt Masur, Herbert Blomstedt, Riccardo Chailly e Andris Nelsons, l’ attuale direttore stabile dal 2018. Alla storia dell’ orchestra appartengono anche le prime esecuzioni assolute del Triplo Concerto op. 56 di Beethoven, della Sinfonia in do maggiore di Schubert, della Prima Sinfonia di Schumann e della Terza di Mendelssohn, del Deutsches Requiem e del Concerto per violino op. 77 di Brahms e della Settima Sinfonia di Bruckner.

Io ascoltai la Gewandhausorchester per la prima volta nel 1979, quando venne alla Fenice insieme a Kurt Masur e, dopo una Quarta di Beethoven straordinariamente fluida e vivace nelle sottolineature ritmiche, eseguì una Terza di Bruckner come poche altre volte ho sentito negli anni successivi. Era una delle prime grandi orchestre che ascoltavo dal vivo e sentire quel suono mi aprí, letteralmente, un mondo che avevo solo immaginato nei dischi. Il timbro scuro ma mai pesante, pieno e ricco di armonici della Gewandhausorchester di cui Masur in numerose interviste ha attribuito le origini alla tradizione inaugurata da Mendelssohn e della quale lui si attribuiva l’ incarico di continuatore, è sempre stato qualcosa di inimmaginabile per chi non ha avuto la fortuna di ascoltare dal vivo questa orchestra favolosa. Dopo quella serata ho ascoltato diversi concerti della Gewandhausorchester diretti da Riccardo Chailly, tra i quali ricordo con piacere un ciclo Schumann eseguito qui a Stuttgart.

L’ orchestra ha tenuto due serate al Festspielhaus Baden-Baden, nell’ ambito di una tournée che ha toccato anche Dortmund, Frankfurt e Hamburg, sotto la guida di Andris Nelsons, quarantasettenne direttore lettone allievo di Maris Jansons che in questi ultimi anni ha percorso una brillante carriera internazionale culminata negli incarichi attualmente ricoperti di ventunesimo Gewandhauskapellmeister e di Music Director della Boston Symphony Orchestra, oltre a regolari collaborazioni con tutte le maggiori formazioni sinfoniche mondiali. Il programma della seconda serata a Baden-Baden, quella a cui io ho assistito, iniziava con Blumine di Gustav Mahler, brano scritto dal compositore boemo a 24 anni come parte di un progetto di musiche per una versione scenica del romanzo Der Trompeter von Säkkingen di Joseph Victor von Scheffel e poi inserito come secondo movimento nella stesura originale della Sinfonia N° 1 in re maggiore. Il pezzo fu eliminato da Mahler nella versione definitiva e riscoperto settant’ anni dopo nella Biblioteca della Yale University ed eseguito per la prima volta da Benjamin Britten con la New Philharmonia Orchestra, nel 1967 ad Aldeburgh. Andris Nelsons ha sfruttato al meglio tutte le possibilità coloristiche messegli a disposizione dalla sua stupenda orchestra per una lettura delicata, ricca di squisiti pianissimi e sfumature di grande raffinatezza.

Completava la prima parte il Concerto in mi maggiore per due pianoforti e orchestra di Mendelssohn, composto dal musicista lipsiense all’ età di quattordici anni e che rivela, oltre a una freschezza melodica davvero incantevole, un’ abilità tecnica davvero notevole per un ragazzino, sia pure precosissimo e di grande talento. L’ atmosfera espressiva è quella del mondi di Haydn e Mozart, rivissuta tramite una straordinaria facilità inventiva. Gli esecutori erano Lucas e Arthur Jussen, due fratelli olandesi intorno ai trent’ anni di età che si stanno affermando a livello internazionale tra i giovani musicisti più brillanti del momento. Da quello che abbiamo ascoltato, si tratta davvero di due ragazzi dal talento strumentale non comune, che hanno suonato con grande eleganza e trasparenza di tocco dando il giusto rilievo a questa pagine poco nota di Mendelssohn. Soprattutto l’ esecuzione del terzo tempo, con la raffinata sottolineatura dei ritmi di danza perfettamente sostenuta dall’ accompagnamento orchestrale di Andris Nelsons, è apparsa assolutamente esemplare.

Dopo la pausa, Andris e la Gewandhausorchester hanno eseguito la Sinfonia N° 8 in sol maggiore op. 88 di Antonin Dvořák. Il direttore di Riga  ne ha dato un’ interpretazione complessivamente molto ben riuscita, basata su tinte morbide e luminose, decisamente notevole per espressività, slancio e precisione, perfettamente realizzata da un’ orchestra che qui ha messo in mostra tutta la sua perfezione tecnica e il suo fascino timbrico inconfondibile. Dopo un movimento iniziale diretto da con tempi abbastanza rilassati e senza mai forzare il suono, molto bella è apparsa la resa dell’ Adagio, in cui la morbidezza e luminosità di suono esibite dalla sezione fiati del complesso hanno dato un bel fascino alla perfetta tornitura delle linee melodiche, e decisamente lodevole la raffinata flessibilità ritmica di fraseggio che Nelsons è riuscito a ottenere nello stupendo Allegretto grazioso che per me è la pagina più riuscita di tutta la partitura e uno tra i vertici della produzione musicale di Dvořák. Complessivamente più che buona mi è sembrata anche la definizione del movimento finale, con il progressivo accumularsi della tensione molto ben reso nelle progressioni ritmiche, senza mai saturare il suono e con gli spunti ritmici di danza popolare molto ben marcati sino a culminare nella eccellente resa del tono trionfale della conclusione. Teatro gremito e applausi entusiastici alla fine di un concerto veramente di altissima qualità artistica.


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