
Foto ©Christian Palm Photographie
A distanza di una settimana ho voluto fare un secondo viaggio a Wiesbaden per assistere al concerto della Pittsburgh Symphony Orchestra, appuntamento clou del weekend di chiusura del Rheingau Musik Festival. Undici settimane di appuntamenti musicali ad altissimo livello, con circa 150 serate sinfoniche, corali, cameristiche e jazz in cui si esibiscono diverse tra le maggiori star del concertismo, per una rassegna che decisamente meriterebbe molta più attenzione da parte della stampa internazionale e che oltretutto si tiene in luoghi affascinanti come l’ Eberbach Kloster dove fu girato quasi tutto il film Il nome della rosa, i palazzi storici dei paesi limitrofi come Eltville, Geisenheim, Ingelheim, Oestrich-Winker e Rüdesheim oltre alla splendida Friedrich-von-Thiersch-Saal, sede di quasi tutti i concerti sinfonici, uno stupendo spazio dall’ acustica davvero favolosa situato nella Kurhaus vicino allo Staatstheater e nel mezzo di un bellissimo parco.
Dopo due anni Manfred Honeck ha portato di nuovo a Wiesbaden la sua Pittsburgh Symphony Orchestra di cui è Music Director da sedici stagioni e che sotto la sua guida ha raggiunto un livello di assoluta eccellenza, testimoniato da una lunga serie di premi e riconoscimenti tra cui una vittoria e tre nominations al Grammy Award. Del testo la Pittsburgh Symphony Orchestra è una tra le più illustri formazioni sinfoniche degli Stati Uniti, con una storia esecutiva che annovera una successione di Music Directors come Fritz Reiner, William Steinberg, André Previn, Lorin Maazel e Mariss Jansons. Si tratta di un complesso dal livello tecnico assolutamente incredibile, con quella versatilità e spessore sonoro tipici delle grandi orchestre americane ma con una tinta e un fraseggio abbastanza “europei” dovuti agli anni di lavoro con bacchette formatesi nel Vecchio Continente. Per l’ appassionato, assistere a un concerto di uno di questi complessi è sempre una magnifica esperienza d’ ascolto. Come le altre formazioni del suo rango, la Pittsburgh Symphony Orchestra si caratterizza per una qualità strumentale davvero sbalorditiva. La compattezza e precisione degli attacchi, il suono assolutamente splendido di una sezione ottoni fantastica per bellezza di timbro ed espansione del suono, la ricchezza di colori dei fiati e la superba cavata degli archi sono tutte cose che collocano di diritto questa formazione nel ristretto rango dei migliori complessi sinfonici mondiali. Tutto questo è apparso evidente nel brano con cui Honeck ha aperto la serata, una fulminante lettura di Short Ride in a fast machine di John Adams. Una pagina di grande virtuosismo orchestrale che ha costituito una bella occasione per mettere in mostra tutte le eccellenti qualità tecniche del complesso.

Foto ©Ansgar Klostermann
Oltre al piacere di riascoltare Honeck e l’ orchestra, l’ altro motivo che mi ha spinto sino a Wiesbaden era la presenza di Anne-Sophie Mutter. Non ho mai fatto mistero della mia assoluta ammirazione per l’ arte della violinista di Rheinfelden, “Die” Anne-Sophie come la chiamiamo affettuosamente nel Baden-Württemberg dove è considerata una vera e propria icona nazionale. Come io dico spesso, la differenza fra la Mutter e quasi tutti gli altri violinisti di oggi è che mentre gli altri suonano, lei fa musica. anche in questa occasione la mia attesa è stata pienamente ripagata da un’ esibizione di altissimo livello. La Mutter, elegantissima in uno dei suoi abiti da concerto che lei cuce personalmente, ha suonato il Concerto per violino op. 64 di Mendelssohn, brano che da sempre è uno dei sui cavalli di battaglia favoriti. La sua interpretazione, documentata dalla due splendide registrazioni eseguite insieme a Herbert von Karajan e Kurt Masur, è considerata una delle versioni di riferimento nella discografia del pezzo e la violinista di Rheinfelden anche in questa circostanza ha incantato il pubblico di Wiesbaden con il fascino di un fraseggio aristocratico e sfumatissimo, la chiarezza cristallina delle sonorità e quel suo tipico fraseggio mobile e flessibile in cui l’ andamento ritmico nasce e si sviluppa in base alla struttura interna della frase, una caratteristica che la Mutter ha appreso nei suoi anni di lavoro insieme a Herbert von Karajan e che poi ha continuato incessantemente a perfezionare. Dal punto di vista tecnico, la Mutter è sempre nel pieno possesso delle sue straordinarie capacità virtuosistiche per cui da sempre va famosa e che le hanno consentito di con un’ eleganza inarrivabile nella resa del primo movimento, letteralmente ricamato con l’ archetto che a volte sembrava sfiorare appene le corde dello splendido Stradivari Lord Dunn-Raven del 1710 che la Mutter suona da anni in concerto e di cui sa sfruttare al meglio le qualità sonore per metterle al servizio di un modo di far musica ancora oggi indiscutibilmente sovrano e con pochissimi termini di paragone. Assolutamente magnifico il tono interpretativo di struggente cantabilità con cui la violinista Badisch ha suonato l’ Adagio, sviluppando con straordinaria eloquenza e nobiltà la linea melodica, resa con una intensità della linea di canto davvero straordinaria. Un terzo tempo virtuosisticamente scintillante e spettacolare per brillantezza ed eleganza suggellava un’ esibizione complessivamente di altissimo livello, a confermare la statura assoluta di una strumentista che si mantiene saldamente ai vertici del panorama concertistico internazionale. La souplesse fenomenale, il controllo millimetrico di tutti i passaggi di agilità, la vera e propria fantasmagoria timbrica rendevano questa esecuzione un modello di riferimento assoluto, sicuramente una tra le più belle interpretazioni del Concerto di Mendelssohn tra le tante da me ascoltate in disco e dal vivo. Diversi minuti di applausi hanno espresso l’ omaggio del pubblico ad Anne-Sophie Mutter che come fuori programma ha dedicato a tutti i bambini vittime delle guerre una struggente, intensissima esecuzione del tema principale dalla colonna sonora scritta per il film Schindler’s List da John Williams.

Foto ©Ansgar Klostermann
Dopo lo splendido sfondo strumentale che ha messo perfettamente in risalto il violinismo della Mutter, nella seconda parte Manfred Honeck e la Pittsburgh Symphony Orchestra ci hanno fatto ascoltare un’ esecuzione assolutamente emozionante della Sinfonia N° 1 in re maggore di Mahler. Una lettura appassionata, fervida, intensissima cesellata dal direttore austriaco nei minimi dettagli con un fraseggio orchestrale fluido e stilisticamente di una idiomaticità assoluta. Anche il taglio esecutivo era finalizzato a evidenziare i legami del musicista boemo con il grande sinfonismo dell’ Ottocento. Un Mahler dal tono di intensa e nobile cantabilità squarciata da esplosioni sonore grandiose, che nel secondo tempo ha raggiunto gli esiti più compiuti per la fluida eleganza dei ritmi di Ländler. Il tono misterioso e allucinato del terzo movimento, con la melodia della parte centrale che Honeck ha esposto con un tono di perfetto stile viennese, introduceva un Finale che si caratterizzava per la bellissima molteplicità dei piani sonori e il lavoro di cesello sulle dinamiche nella parte centrale oltre che per un accumularsi di tensione espressiva graduato con grande sapienza, fino alle sonorità grandiose della conclusione. Un’ interpretazione davvero di alto livello, che colloca senza dubbio Manfred Honeck tra gli interpreti mahleriani più autorevoli del momento attuale come testimoniano anche le sue belle incisioni della Prima, della Terza, della Quarta e della Quinta Sinfonia da lui realizzate con la Pittsburgh Symphony Orchestra e che sono state insignite di molti premi discografici internazionali. Alla fine il pubblico della Kurhaus è scattato in piedi ad applaudire freneticamente l’ orchestra e il direttore, ottenendo in cambio due fuori programma: Il Mattino dalla Prima Suite del Peer Gynt di Grieg e il Walzer dal terzo atto del Rosenkavalier. Una bellissima conclusiome per un concerto che valeva davvero la pena di ascoltare.
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