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Il 4 settembre 1824 nasceva, ad Ansfelden nell’ Oberosterreich, Anton Bruckner, compositore, organista e insegnante. L’ Austria, e in particolare Linz, la sua provincia di origine, onorano la ricorrenza con una serie di manifestazioni aperte oggi da una giornata concertistica non stop della durata di 24 ore. In questa giornata celebrativa provo innanzi tutto a buttar giù alcune considerazioni sul suo rapporto con Wagner e sull’ atteggiamento della critica che lo ha sempre inquadrato come l’ antagonista di Brahms. Hermann Broch, in un saggio degli anni Cinquanta, intitolato “Hofmannsthal e il suo tempo”, spiega perché Bruckner, pur essendo un genio assoluto, ha avuto bisogno di appoggiarsi a Wagner:
Ci si può domandare a questo punto come mai un genio della statura di Bruckner, un musicista che poteva benissimo camminare con le proprie gambe, abbia avuto bisogno di un catalizzatore per riuscire a svilupparsi. La venerazione personale che egli, un po’ infantilmente, tributò al maestro di Bayreuth, non offre certo una spiegazione convincente. Con tutta la sua adorazione per Wagner un Bruckner non aveva assolutamente bisogno di appoggiarsi né a Wagner né a chiunque altro. Aveva però bisogno del mondo, della totalità del mondo e dell’ epoca, che come artista egli era impegnato e tenuto a esprimere e di cui non riusciva, pur cercandola, ad impadronirsi direttamente sebbene con il proprio talento ne intuisse non solo le caratteristiche esterne, ma anche il vuoto interiore. Chiuso com’ era nella sua solida fede cattolica, dove non vi è posto per vuoti di valori, il mondo, l’ epoca e la sua specifica vacuità potevano venirgli incontro solo attraverso l’ opera di Wagner; e nell’ arte del maestro di Bayreuth, un’arte appunto del vuoto, egli poté trovare quel contenuto mondano che gli doveva servire come punto di partenza. Solo dopo questa assimilazione, egli fu in grado di innalzare il mondo ad una più alta raffigurazione e di superare nella propria opera il vuoto del proprio tempo, aggirando Wagner (ed. Lerici, Milano 1965, p. 98).
Prima considerazione ispiratami dallo scritto di Bloch: è indiscutibile il fatto che le cose più intelligenti nel campo della critica musicale siano spesso state scritte da persone che non erano musicisti di professione. Basti pensare agli scritti di Stendhal su Rossini, alla descrizione di Emma Bovary all’ opera nel romanzo di Flaubert oppure alle recensioni illuminanti e di grande profondità scritte da letterati come Eugenio Montale e Giorgio Vigolo. Sul confronto tra Brahms e Bruckner, è chiaro che il contrasto è più apparente che reale, in quanto entrambi guardano al sinfonismo classico viennese come a una sorta di zweighiano Welt von Gestern a cui riferirsi, ma nell’ atto pratico della creazione artistica cercano di superare quel concetto di forma sinfonica ideale a cui fanno riferimento. Brahms chiude la sua Quarta Sinfonia con una Ciaccona che è insieme un richiamo al mondo passato e una sfida a quello della sua epoca. Bruckner è profondamente legato a quel concetto di dilatazione della forma classica tipico di molti lavori di Schubert come la Sinfonia in do maggiore, il Quartetto in sol maggiore op. 161 e le ultime tre Sonate pianistiche. Come non pensare al carattere schubertiano di Adagi bruckneriani come quelli della Quarta, della Quinta e della Settima? Oppure al tremolo degli archi col quale il compositore apre quasi tutte le sue Sinfonie, chiaramente derivato dall’ inizio del Quartetto in sol maggiore di Schubert sopra citato?
Bruckner, sintonizzandosi sul lavoro bachiano e sulla sensibilità ottocentesca che, raccogliendo l’ esperienza dell’orchestra classica nata verso la metà del XVIII secolo alla corte di Mannheim e sviluppatasi con Haydn, Mozart, Beethoven, Mendelssohn, Schubert e Schumann, ha creato un linguaggio che riesce a collegare due mondi apparentemente contrastanti: quello dell’ orchestra sinfonica (che si voleva sempre più imponente) e quello della musica da chiesa nella sua duplice espressione corale e organistica. Bruckner riesce a far procedere il discorso musicale in modo unitario, ma sempre flessibile e sospeso; attraverso una cura attentissima, per non dire maniacale, degli equilibri sonori, riesce a bilanciare effetti d’ assieme ed interventi solistici con sicurezza infallibile. Progressioni dinamiche fino al parossismo, diminuendi fino al silenzio sono tipici di Bruckner: fanno parte del suo stile, che conquista l’ ascoltatore lentamente, ma inesorabilmente. Così facendo, Anton Bruckner si è trovato sulle stesse posizioni di Richard Wagner, musicista che egli idolatrava, ma di cui certo non condivideva l’ ideologia, nè tantomeno il fatto che la musica potesse avere altri significati al di fuori di se stessa. Bruckner era quindi per molti aspetti dello stesso parere di Brahms, tuttavia egli si ritrovò dalla parte dei progressisti, mentre Brahms si ritrovò da quella dei conservatori. A onor del vero nessuno dei due fece attività di militanza, anzi si può dire che questa situazione, più che altro, la subirono.
Tornando al tema della cosiddetta contrapposizione tra Brahms e Bruckner, può essere interessante notare che quasi tutti i grandi interpreti del sinfonismo brahmsiano abbiano diretto di frequente e con risultati altissimi le opere di Bruckner. Pensiamo a Furtwängler, Klemperer, Walter, Jochum, Karajan, tanto per fare qualche nome. Ma poi ha un senso, una contrapposizione tra due compositori i cui ideali artistici erano tutto sommato molto più affini tra loro di quando essi stessi pensassero? A questo punto, lascio la parola a Wilhelm Furtwängler, che così si espresse al riguardo in una Vortrag tenuta nel 1938 presso la Deutsche Bruckner-Gesellschaft della quale era presidente, il cui testo completo è riportato nella raccolta dei suoi scritti “Suono e parola”
L’ ortodossia wagneriana e quella brahmsiana, diciamo pure i “wagneriani” e i “brahmsiani”, anche se forse erano inevitabili ai loro tempi, hanno provocato soltanto disastri nell’ età successiva. Già Goethe disapprovò la mania dei tedeschi di contrapporre sempre l’ uno all’ altro, di rompersi il capo per stabilire se fosse più grande lui o Schiller, invece di tenersi contenti al possedere due personalità di tale statura. Oggi il conflitto Wagner-Brahms è da tempo risolto; sappiamo che dramma musicale e musica pura possono coesistere senza escludersi. Ciononostante, wagneriani e brahmsiani non vogliono morire. La vecchia ostilità continua a vivere nelle loro menti e sembra quasi che la contrapposizione Brahms-Bruckner debba in qualche modo essere considerata la propaggine di quella […]. A parte tutto questo, gli slogan significano davvero poco per un caso come quello di Bruckner. Lo si porti sugli scudi per ragioni che chiameremo confessionali, o lo si consideri l’ incarnazione del paesaggio dell’ Austria superiore, si tratta pur sempre di atteggiamenti che, anche se in qualche particolare appropriati, non si addicono alla vasta realtà della sua personalità. Anche il definirlo come particolarmente rappresentativo dello spirito artistico germanico non significa molto: è una definizione che si addice benissimo anche a Brahms. V’ è da riflettere quando (come evidente conseguenza degli aneddoti, per lo più assai tendenziosi, diffusi sulla sua personalità) egli viene esaltato come l’artista ingenuo, quietamente raccolto nella sua fede infantile: ritratto senza dubbio commovente, ma da non prendere troppo sul serio. Conosciamo quell’ atteggiamento invidioso che certa mediocrità borghese nutre contro i grandi artisti, ai quali, non potendone negare la grandezza, cerca qualche cosa da rimproverare. Il “cattivo carattere” di Wagner, l’ ”esasperazione patologica” di Beethoven, il “filisteismo” di Brahms, la “mediocrità intellettuale” di Bruckner: sono tutte qualificazioni della stessa provenienza.Sembra poi particolarmente sospetto sentir parlare con tanta ammirazione dell’ ingenuità primitiva e della fede religiosa di Bruckner da parte di chi difetta proprio di tutto quel che è ingenuità primitiva e fede: quegli scettici ed intellettuali delle grandi città, presso i quali Bruckner sembra da qualche tempo venuto di moda. Non si creano grandi opere d’ arte senza avere in sé le forze più elevate e il senso di responsabilità spirituale. Se, dunque, Bruckner appare in questo mondo come un estraneo, ciò avviene soltanto perché egli tiene questo mondo in ben scarsa considerazione; perché, nell’ altro, si sente tanto più a suo agio. Il rapporto con la letteratura, cui il movimento di diffusione della musica di Bruckner si affida, mostra qui il suo aspetto negativo. L’ immagine che di Bruckner risulta da un tal modo di procedere è, molto probabilmente, falsa o bugiarda. La grandiosa realtà della figura semplice e solenne di questo grande artista corre il rischio di diventare “letteratura”. Ne ha bisogno Bruckner? […]”
No, non ne ha bisogno, possiamo rispondere alle parole di Furtwängler. Del resto, il nostro tempo ha superato questi pregiudizi e oggi Bruckner è autore eseguito e amato dal pubblico al pari di Brahms e del suo grande allievo e amico Gustav Mahler, al quale spetterà il compito di portare alle estreme conseguenze il percorso iniziato dai suoi due illustri predecessori. Come felicemente notato da Ugo Duse nella sua biografia mahleriana, con Mahler muore la vera sinfonia viennese. Ed è significativo notare che, come il boemo Carl Stamitz aveva dato inizio a questa forma artistica, sia stato un altro boemo come Gustav Mahler a concluderne il ciclo meraviglioso.
Veniamo adesso agli ascolti da me scelti per questo post celebrativo. Mi piace iniziare con il più importante lavoro cameristico di Bruckner, il Quintetto per archi in fa maggiore WAB 112, opera straordinaria e del tutto isolata nel contesto della produzione del compositore austriaco, che simboleggia quasi idealmente un punto di aggancio con le ultime composizioni beethoveniane per quartetto, al punto da suscitare interesse e ammirazione da parte del giovane Schönberg, di Max Reger e di Paul Hindemith. Il Quintetto in fa maggiore è l’ unico lavoro cameristico di una certa estensione scritto da Anton Bruckner e anche l’ unico a dare un’ idea abbastanza attendibile di quanto la sua maniera di far musica differisse anche in questo ambito da quella dei suoi predecessori. Tra la fine del 1878 e la prima metà del 1879 Bruckner compose questo brano, in luogo del quartetto per archi che gli era stato richiesto, con il proposito di non travalicare i confini della scrittura per questo tipo di strumentazione, quindi di non scrivere una “sinfonia per quintetto d’archi”. Rispetto alle sue Sinfonie, le opere che lo impegnarono di più insieme a quelle sinfonico-corali di carattere sacro, si avverte nel Quintetto una compiuta chiarezza dei temi e delle gerarchie tra i vari elementi, come pure una nitida campitura armonica. Malgrado ciò, gli esempi classici sono distanti: la musica scorre seguendo più il respiro del suono che non l’ ordine architettonico delle forme, e man mano che si procede la dimensione sinfonica si accentua per giungere al culmine all’ inizio del Finale con le prime battute che iniziano, come avviene in alcune delle Sinfonie bruckneriane, con un tremolo. Joseph Hellmesberger, il committente del brano, trovò lo Scherzo tecnicamente troppo impegnativo per il suo gruppo di esecutori. Su sua richiesta Bruckner lo sostituì allora con un più semplice intermezzo, che attualmente viene eseguito solo come una pagina indipendente e che rappresenta l’ unico altro contributo dell’autore alla letteratura per complesso di archi.
Come nota però giustamente Sergio Martinotti nel suo libro che rappresenta ancora oggi il contributo italiano più rilevante alla letteratura critica bruckneriana, già in questo Quintetto si intravvede una non troppo velata “provocazione sinfonica”, repressa però in un accento più raccolto, e lo studioso rileva acutamente una didascalia alla quinta battuta del secondo tema dell’ ampio Adagio Mit Wärme ripresa testualmente nell’ Adagio della Settima ed evocata nel clima di intensa emotività delle due Sinfonie successive. Il Quintetto comunque risulta maggiormente singolare e inaspettato negli esiti in rapporto all’ epoca della sua pubblicazione, per gli elementi stilistici che si richiamano all’ ultimo Beethoven e al suo concetto della variazione incrementata dal linguaggio cromatico.
L’ esecuzione che ho scelto è una rielaborazione per orchestra d’ archi. La trascrizione per orchestra d’ archi dei Quartetti e Quintetti costituisce la testimonianza di una tradizione esecutiva antica che annovera esponenti illustri come Gustav Mahler, il quale arrangiò per orchestra d’ archi e diresse il Quartetto op. 135 di Beethoven oltre al celeberrimo Der Tod und das Mädchen di Schubert, ed è documentata anche da altre leggendarie incisioni discografiche come quella di Wilhelm Furtwängler della Große Fuge, sempre del musicista di Bonn. È un tipo di lettura che richiede una grande attenzione da parte del direttore nel dosare le sonorità per non appesantire e rendere poco comprensibili le linee tematiche della scrittura strumentale affidate a voci singole. Per quanto riguarda il Quintetto bruckneriano, la versione per orchestra d’ archi fu preparata da Hans Stadlmair (1929-2019), direttore e compositore autriaco che per quasi quarant’ anni fu Chefdirigent della Münchner Kammerorchester. La ascoltiamo diretta da Kent Nagano alla guida della Philharmonische Staatsorchester Hamburg.
Veniamo adesso ad occuparci delle Sinfonie, anche qui iniziando con una rarità come la prima versione della Sinfonia N° 8 in do minore WAB 108. L’ Ottava Sinfonia in do minore di Bruckner è senza dubbio la partitura più imponente e ambiziosa tra tutte quelle scritte dal compositore austriaco e vale la pena di tracciare un breve riepilogo delle vicende che in sei anni di lavoro, dal 1884 al 1890, portarono all’ elaborazione della Sinfonia nella forma in cui oggi viene eseguita normalmente.
Con la prima versione dell’ Ottava, scritta fra il 1884 e il 1887, Bruckner ideò quella che è forse la partitura sinfonica più imponente che si sia mai vista: 2.080 battute, per una durata di quasi un’ ora e mezza, strumentate per legni a due, nel finale portati a tre, quattro corni, quattro tube, tre trombe, tre tromboni, bassotuba, timpani, piatti, triangolo, fino a tre arpe (womöglich, scrisse il Maestro quasi con timidezza nell’ autografo). Bruckner ne spedì una copia a Hermann Levi, il primo direttore del Parsifal, già artefice del trionfo della Settima a Monaco. Ma Levi, sconcertato dalle dimensioni e dalla complessità dell’ Ottava, rispose a Bruckner che non se la sentiva di eseguirla, consigliandogli di effettuare una revisione. Poco tempo dopo, il compositore iniziò una rielaborazione approfondita della partitura, concludendola nel marzo del 1890. La seconda versione contiene 180 battute in meno, con rimaneggiamenti imponenti nel primo tempo, privato della perorazione conclusiva, nello Scherzo, con la sostituzione del Trio, il taglio di trentotto battute nell’ Adagio e di sessantadue nel Finale. La strumentazione venne radicalmente modificata, con i legni portati ovunque a tre e l’ immissione del controfagotto, oltre a diverse altre piccole modifiche in altri punti. La prima partitura a stampa venne pubblicata dall’ editore Schlesinger, con la dedica all’ imperatore Francesco Giuseppe (che si era accollato le spese di stampa) ma in una versione notevolmente alterata dagli allievi di Bruckner che come tante altre volte approvò, o più che altro subì. La prima esecuzione assoluta si tenne al Musikverein il 18 dicembre 1892, con i Wiener Philharmoniker diretti da Hans Richter. Il successo fu grandioso, probabilmente il maggior trionfo di pubblico ricevuto da Bruckner nella sua carriera.
Nel 1938 fu pubblicata l’ edizione critica della Sinfonia curata da Robert Haas, che riapre alcuni dei tagli praticati da Bruckner distinguendo fra gli interventi operati autonomamente e quelli secondo lui derivati da consigli esterni, e recupera alcuni squarci della versione 1887, adattandoli alla nuova orchestrazione, oltre a sistemare diversamente altri particolari. Un’ ulteriore revisione vide la luce nel 1955, nell’ ambito della nuova edizione critica delle opere di Bruckner a cura di Leopold Nowak. Essa riproduce esattamente tutto ciò che nel manoscritto del 1890 sia effettivamente opera di Bruckner, espungendone gli interventi materialmente operati da altri. Queste sono le due versioni adottate dalla maggior parte dei direttori d’ orchestra che hanno affrontato il lavoro negli ultimi decenni. La versione originaria dell’ Ottava, quella respinta da Levi nel 1887, venne pubblicata nel 1972, sempre a cura di Nowak.
L’ ascoltatore abituato alla versione normalmente in uso nota immediatamente in questa prima versione, oltre ai tagli e al diverso finale del primo movimento, la strumentazione complessivamente più leggera e il tono molto meno grandioso delle battute conclusive nel Finale. In ogni caso, è di estremo interesse il confrontare le due stesure per valutare come il processo compositivo di questo capolavoro abbia preso gradatamente forma. La divulgazione della partitura originale si deve soprattutto a Eliahu Inbal, che la incise nell’ ambito della sua celebre integrale bruckneriana con la Radio-Sinfonieorchester Frankfurt, insieme alla prima versione della Terza e alla Nona con il Finale ricostruito. Il direttore israeliano ha poi eseguito questa edizione con altre grandi orchestre internazionali, qualificandosi come il massimo conoscitore della partitura.
Tra i primi a svolgere un’ opera divulgativa assidua della musica di Bruckner ci fu Siegmund von Hausegger (1872-1948), direttore austriaco oltre che compositore dalla produzione cospicua, amico personale di Richard Strauss e che dal 1920 al 1938 fu Chefdirigent dei Münchner Philhamoniker oltre che maestro di Eugen Jochum, altro bruckneriano illustre. Ascoltiamo la sua registrazione della Sinfonia N° 9 eseguita nel 1938, poco tempo prima che le continue minacce rivoltegli dal governo nazista per il suo rifiuto di aderire all’ NSDAP e di eseguire l’ Horst Wessel Lied all’ inizio dei suoi concerti lo spingessero a rassegnare le dimissioni da tutti gli incarichi.
Non può mancare, in un post su Bruckner, l’ arte sublime di Wilhelm Furtwängler del quale propongo la straordinaria interpretazione dell’ Ottava eseguita con i Wiener Philharmoniker il 17 ottobre 1944, in una città semidistrutta dai bombardamenti alleati. Un affresco sinfonico di una potenza tragica assolutamente sensazionale, quasi a descrivere il crollo di un’ intera civiltà.
Chiudiamo con un altro sommo bruckneriano, Herbert von Karajan. Dal 1944 al 1989 il direttore salisburghese ha più volte registrato le grandi opere sinfoniche del compositore austriaco, soffermandosi in particolare sulle ultime tre Sinfonie, di ciascuna delle quali ci ha lasciato almeno tre versioni ufficiali. E fu con una esecuzione della Settima che si concluse la sua carriera concertistica, il 23 aprile 1989 a Vienna. Ascoltiamolo in questa fantastica esecuzione della Sinfonia N° 5 in si bemolle maggiore, sul podio dei Berliner Philharmoniker. Karajan amava moltissimo la Quinta Sinfonia di Bruckner e la diresse 32 volte nel corso della sua carriera. La eseguí per la prima volta ad Aachen, nel teatro dove da due anni era Generalmusikdirektor, il 15 aprile 1937, dopo aver litigato coi vertici locali del partito nazista che volevano ordinargli di toglierla dal programma, rispondendo: “È ancora lontano il giorno in cui i compositori della Hitlerjugend saranno in grado di creare opere di questa levatura”. Questa esecuzione, registrata il 12 novembre 1976 a Berlino, è il documento straordinario della più perfetta associazione mai esistita nella storia fra un direttore e un’ orchestra. Karajan sviscera ogni dettaglio della partitura con straordinaria lucidità e i Berliner lo seguono realizzando al millimetro le sue intenzioni. Ascoltate la perfetta, impressionante combinazione di accelerando e crescendo nelle battute iniziali e poi, al minuto 23’22”, la forza espressiva e il legato straordinario degli archi nell’ esposizione del tema di base dell’ Adagio, poi sviluppato con una cantabilità da strappare le lacrime in tutte le aperture melodiche che si susseguono una dopo l’ altra. Karajan qui ha un fraseggio così libero che l’ ultima riesposizione del primo tema sembra in tre quarti anziché in due. Effetto incredibile. In questa pagina, l’ interpretazione del Maestro tocca vertici mai raggiunti da nessuno. Furtwängler, Celibidache, Jochum, Wand, Knappertsbusch non arrivano neanche a sfiorare la potenza del fraseggio messa in mostra da Karajan e dalla sua orchestra in questa registrazione. Irraggiungibile!
Prestate poi attenzione alla splendida esposizione delle strutture della Fuga e allo straordinario, abbagliante splendore sonoro dei Berliner Philharmoniker nel Finale, ascoltando il quale si capisce una volta per tutte perché Hugo Wolf definiva Bruckner l’ ultimo compositore davvero capace di esultare. Una interpretazione pazzesca, sbalorditiva nel suo livello di perfezione, fra le due o tre massime che si conoscano di questo capolavoro. Aggiungo che il suono dei Berliner in questa e altre registrazioni dell’ epoca, qui percepibile abbastanza bene grazie alla buona qualità della registrazione, è qualcosa di unico e irripetibile. Io ricordo assai nitidamente il senso di stupore attonito che provai quando li ascoltai con Karajan per la prima volta dal vivo, nel 1983 a Salzburg. Probabilmente in tutto questo c’ entrava anche il livello, davvero stratosferico, degli strumentisti. Come io ho detto e scritto in più occasioni, anche oggi i Berliner sono una corona di gemme ma fatta di diamanti, rubini, smeraldi e zaffiri. Karajan in orchestra voleva avere solo diamanti.
Chiudiamo qui questo breve omaggio a un compositore la cui importanza artistica è da tempo fuori discussione.
Non confundar in aeternum – In Ewigkeit nicht vergehen
(Iscrizione sul piedestallo della tomba di Anton Bruckner in St. Florian)
Alles Gute zum Geburtstag, lieber Maestro Anton Bruckner!
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