
Rientrato falle ferie, Antonio Juvarra ci invia la seconda parte del suo studio sull’ uso della vocale A nel canto lirico.
VITA, AVVENTURE E MORTE DELLA VOCALE ‘A’ NEL CANTO LIRICO
(seconda parte)
Nel Novecento quello che si può definire a tutti gli effetti il ‘virus Garcia’ (a base di oscuramento diretto del suono, verticalizzazione dello spazio di risonanza, vocali geneticamente modificate e controlli meccanico-muscolari) dilaga, contagiando moltissimi cantanti e insegnanti di canto. In particolare la teoria della mescolanza della ‘A’ con la ‘O’ (ossia il bacio mortale dato dalla ‘O’ alla ‘A’) intacca la mente, anche se non la voce, persino di grandi cantanti pensanti come Giacomo Lauri Volpi e Aureliano Pertile. Il primo straparla di una ‘A’ (la vocale più orizzontale!) da verticalizzare, mentre il secondo ripete a pappagallo la panzana di Garcia (fatta propria, come abbiamo visto nella prima parte di questo articolo, anche da Raina Kabaivanska) della ‘A’, che cantando dovrebbe diventare ‘AO’, della ‘E’ che dovrebbe diventare ‘OE’ e dalla ‘I’ che dovrebbe diventare ‘Y’. Con questa differenza tra i due: che la Kabaivanska predica male e razzola anche male, mentre Pertile predica male, ma per fortuna razzola bene e a dimostrarlo è questa registrazione dell’ aria “Quando le sere al placido”, dove non c’è una ‘A’ che non sia una purissima ‘A’. (Per altro, a smentire sé stesso, sia pure inconsapevolmente, era stato non solo il Pertile cantante, ma anche il Pertile trattatista, quando nel suo trattato, subito dopo aver scritto che cantando la ‘A’ deve diventare ‘AO’, si contraddice clamorosamente (e felicemente), scrivendo che nel canto “l’apertura della bocca è più laterale che verticale”, sbugiardando così definitivamente tutti gli amanti del grottesco vocale sotto forma di bocche ‘verticali’, ‘a uovo’, ‘a culo di gallina’, ‘a merluzzo’, ‘a imbuto’ ecc. ecc…
Ma per capire come la trasformazione-deformazione in ‘AO’ della vocale ‘A’ sia potuta accadere, occorre risalire a quello che rappresenta il peccato originale della moderna didattica vocale, ispirata alla concezione foniatrica del canto: aver congelato-ingessato il FLUSSO articolatorio naturale, di per sé insegmentabile, estraendone singole forme statiche ovvero stampini, di per sé rigidi (noti in greco come ‘stereotipi’) e fatti coincidere con singole vocali, considerate ‘ideali’.
Esistono gli stampini verticali, modellati sulla ‘U’ e sulla ‘O’ (quelli, per intenderci, dell’ ‘affondo’ e della Kabaivanska) ed esistono gli stampini orizzontali, modellati sulla ‘I’ e sulla ‘E’ (quelli di Alfredo Kraus, della ‘maschera’ e dell’ “innalzamento dell’arcata zigomatica”). Entrambi hanno origine da un errore: concepire e trattare la vocale come forma statica, razionalmente predeterminata, dello spazio di risonanza, invece che come immagine mentale archetipica e pre-razionale, generatrice del suono puro e ben sintonizzato, e causa (non effetto) della forma dello spazio di risonanza.
In realtà ogni vocale è un riflesso mobile dell’ unità-continuità del suono e, come tale, essendo una parte e non il tutto, rappresenta una dimensione diversa (e unica!) del suono. Di conseguenza teorizzare che la vocale ‘A’ (vocale orizzontale ed ‘espansiva’ per eccellenza) debba essere rinchiusa nella prigione della ‘O’ è come teorizzare che il colore giallo deve essere ‘corretto’ in arancione o in marrone chiaro. È evidente insomma che tra una ‘A’ vera, genuina e una ‘A’ mescolata-‘corretta’ con ‘O’ c’ è la stessa differenza che c’è tra una donna biologica, cioè reale, e una moderna donna ‘psicologica’ ovvero ‘diversamente uomo’, e questa analogia non è causale dato che nella lingua italiana la desinenza ‘A’ designa appunto il genere femminile, mentre la desinenza ‘O’ designa il genere maschile. Da questo punto di vista quindi la ‘AO’ di Garcia (il sabotatore della tecnica del belcanto) sta alla vera, autentica ‘A’ come un travestito sta a una donna.
C’ è da dire che nel canto non esistono solo i travestimenti vocalici, esistono anche i travestimenti tecnico-vocali. Ad esempio, a travestirsi da belcantista non fu soltanto lo stregone Manuel Garcia jr. ma anche, un secolo dopo, l’ apprendista stregone Arturo Melocchi, il distruttore di voci allontanato dalla cattedra di canto del Liceo Musicale di Pesaro da Umberto Giordano in persona. In una delle sue lezioni, pubblicate su YouTube, lo sentiamo indignarsi (giustamente) con quei baritoni che nell’ Aida invece di cantare “Suo pAdre!”, cantano “Suo pOdre!”, e subito dopo prescrivere degli espedienti tecnici (l’ abbassamento forzato della mandibola e l’ uso della ‘U’ come vocale modello), che portano indirettamente allo stesso risultato.
Essendo un riflesso dell’ unità-continuità del suono, si può dire che ogni vocale ha in nuce un ‘pregio’ e un ‘difetto’ e ciò per lo stesso motivo per cui ogni oggetto, per essere visibile, è composto di luce e ombra. Ne deriva che, se è sbagliato privilegiare negli esercizi vocali una qualsiasi vocale, è totalmente assurdo arrivare a fare di una singola vocale (sia questa la ‘U’, la ‘A’ o la ‘I’) il modello spaziale o, più precisamente, il letto di Procuste delle altre vocali.
Poiché la modernità si fa sempre notare per le sue incursioni nel comico-surreale, c’è stato anche chi (come tale Arturo Merlini) ha pensato bene di progettare per la voce un letto di Procuste a tre piazze, con la ‘A’ che fungerebbe da stampino del settore centrale della voce, la ‘O’ del settore medio-acuto e la ‘U’ del settore acuto,rimanendo per altro inesplicato il mistero per cui due delle cinque vocali dell’ italiano e cioè la ‘E’ e la ‘I’ dovrebbero rimanere escluse dal funzionamento della voce, che è come se un pianista teorizzasse che per fare esercizi di tecnica si devono usare solo tre dita della mano invece che cinque.
Volendo ora fare ritorno nella realtà, diciamo che le ragioni per cui bisogna educare la voce con tutte le vocali, senza porre nessuna di esse a modello delle altre, sono due. Una è ovvia ed è data dal fatto che se i testi cantati utilizzano tutte le vocali, non si capisce perché si dovrebbe esercitarsi solo con una, due o tre vocali e non con tutte. L ‘altra è più nascosta, ma anch’essa logica: posto che nel canto ogni vocale ha tendenzialmente un pregio e un difetto, che sono diversi da quelli di un’altra vocale, è chiaro che solo esercitandosi ad ALTERNARLE (non a mescolarle!) tra loro (anche a due a due), le vocali colmeranno reciprocamente le proprie lacune. In questo modo si realizzerà quella magica compensazione acustica (dinamica e non statica!), che sfocia nel perfetto equilibrio risonanziale della voce. Ora, non essendo le vocali entità materiali di natura statica, ma apparenze fluide, la didattica vocale belcantistica ha stabilito come priorità l’ educazione alla flessibilità-pieghevolezza e quindi alla mobilità acustica. Questa ovviamente non si realizza utilizzando una data vocale come modello-stampino delle altre, ma appunto con vocalizzi basati sull’ alternanza veloce di due o più vocali, in modo da realizzare quella intercomunicazione fluida od osmosi acustica che fa sì che ogni vocale, rimanendo sé stessa, si arricchisca degli ‘armonici’ delle altre vocali. Questo magico fondersi senza confondersi delle vocali si realizza solo se il movimento articolatorio rimane quello essenziale, sciolto e naturale del puro e semplice ‘dire’ e NON quello pseudo-tecnico del ‘parlato perfezionato’ o del ‘parlato impostato’.
Quali sono i pregi e i difetti della vocale ‘A’? Partiamo da quelli che non sono i suoi difetti, ma che come tali verranno indicati erroneamente dai moderni epigoni di Garcia: essi sono l’ orizzontalità, la chiarezza e l’ apertura, che rappresentano le caratteristiche genetiche, strutturali, di per sé immodificabili della ‘A’. In altre parole, è nella natura della ‘A’ il suo essere orizzontale, esattamente come è nella natura di un cerchio il suo essere rotondo, e solo un idiota potrebbe pensare che un cerchio possa e debba essere ‘corretto’, trasformandolo in un quadrato o in un poligono. Questo è l’ equivalente dell’operazione teorizzata da quei cantanti e maestri che, fuorviati da un’errata concezione tecnico-vocale, sono riusciti a dare credito alla risibile teoria secondo cui in un preciso periodo storico (che è l’ Ottocento) una delle cinque vocali del linguaggio umano, quella primordiale del vagito e della risata e cioè la vocale ‘A’, che aveva sempre ‘funzionato’ benissimo durante l’ intera storia del canto, sarebbe diventata improvvisamente difettosa e avrebbe avuto bisogno di essere ‘corretta’ e convertita in un surrogato della vocale ‘O’, secondo quanto teorizzato da quel dott. Frankenstein del canto, che fu Manuel Garcia jr.
Se pensiamo che parole come ‘spazio’ ed ‘espandere’ derivano da una comune radice etimologica che significa ‘allargare’ e se pensiamo che in latino ‘aprire’ si dice ‘aperire’ (con la vocale ‘A’ iniziale) mentre ‘chiudere’ si dice ‘operire’ (con la vocale ‘O’ iniziale), ci rendiamo conto dell’ assurdità introdotta nel canto dalla foniatria con l’ idea di uno spazio che si aprirebbe non per espansione (orizzontale), ma per allungamento (verticale), cioè per intubamento. Purtroppo tra i maestri fuorviati e ipnotizzati (non tanto come cantanti, quanto come maestri di canto) dai pifferai della foniatria artistica troviamo molti grandi cantanti dell’ Otto/Novecento, tra cui, incredibilmente, anche personaggi del calibro di Lilli Lehmann e di Mattia Battistini. Addirittura, se è vera la testimonianza di un allievo di quest’ultimo e cioè Celestino Sarobe, Battistini insegnava che a partire dal Fa diesis centrale la ‘A’ dovrebbe diventare ‘AO’ (!), a partire dal La bemolle (centrale!) dovrebbe diventare ‘O’ (!!) e a partire dal Do diesis dovrebbe diventare (addirittura!) ‘U’ (!!!)
Contrariamente a tutto ciò, prima che nell’ Ottocento la mistificazione foniatrica del canto elaborasse come ideale acustico il ‘suono coperto’ nel senso di suono scurito, gonfio e verticalizzato (che è come aspirare all’ ideale distopico della notte, privata della luna e delle stelle, o del sole oscurato di Bill Gates), il concetto di ‘vocale aperta’ aveva (contrariamente ad oggi) una connotazione positiva ed era considerato sinonimo di suono espanso, lucente, solare. Un rappresentante autorevole di questa tradizione di pensiero, che è quella autenticamente belcantistica, fu nell’ Ottocento Francesco Lamperti (il “miglior maestro di canto del vero metodo italiano” secondo Emma Albani), che, in aperta polemica con i fautori del “suono coperto”, scrisse nel suo trattato che la voce va educata con i suoni aperti e non con i suoni coperti. Questo perché aveva capito che il ‘suono coperto’ era solo l’ eufemismo che nasconde qualcosa di molto più banale: il suono opaco e intubato. Infatti la verticalizzazione dello spazio di risonanza (indotta anche dalla semplice idea di alzare il palato molle e abbassare la laringe), unita all’ intenzione di scurire il suono, non può che sopprimere la brillantezza naturale della voce.
Nello stesso periodo storico (fine Ottocento) succede che al concetto di suono ‘coperto’ viene associato il significato, del tutto distinto dal primo (e questa volta corretto), di suono ‘passato di registro’, ed è a questo preciso significato del termine che fanno riferimento sia Bergonzi sia Pavarotti quando parlano di suoni coperti. Da questo punto di vista ‘suoni coperti’ e ‘suoni aperti’ divennero sinonimi, rispettivamente, di suoni ‘passati di registro’ e di suoni ‘non passati di registro’. Ora poiché il passaggio di registro consiste, da un punto di vista fonetico-acustico, nella conversione delle vocali aperte in vocali chiuse, nella seconda metà dell’Ottocento si parlerà indifferentemente (con riferimento appunto al fenomeno del passaggio di registro) di emissione ‘coperta’ o di emissione ‘chiusa.’ Per altro, la chiusura fonetica delle vocali (in cui consiste il passaggio di registro) non ha nulla ha a che fare con la sostituzione delle vocali pure con vocali miste e con l’oscuramento DIRETTO del suono. Il fatto che il passaggio al registro acuto abbia tra i suoi EFFETTI indiretti anche un leggero oscuramento del suono, non significa che lo si possa scurire direttamente, altrimenti si farà mostra di ragionare come il tizio che, avendo notato che, se in funzione, il motore della sua macchina produceva calore, pensò bene, per accenderlo, di riscaldarlo. Non solo: proprio perché il meccanismo del passaggio di registro ha tra i suoi effetti INDIRETTI un leggero oscuramento del suono, a maggior ragione nella zona acuta una vocale come la ‘A’ (per sua natura solare e orizzontale) non dovrà essere verticalizzata-oscurata ma, al contrario, dovrà essere riportata alla sua naturale orizzontalità (che non è frontalità!), così come teorizzato esplicitamente da Beniamino Gigli.
Purtroppo il significato originario di “suono coperto” come sinonimo di suono scurito continuerà a convivere con quello di suono passato di registro, producendo in tal modo un caos babelico, che perdura tutt’ oggi. La totale confusione di idee che ancora regna sui concetti di ‘suono aperto’ e ‘suono coperto’, si esprime oggi affiancando all’unica equazione accettabile (che è ‘suono coperto = suono passato di registro’) due false equazioni, che sono il derivato della mistificazione introdotta nel canto dalla foniatria dell’Ottocento. Queste false equazioni (la prima delle quali connotata positivamente e la seconda negativamente) sono le seguenti:
1 – suono coperto = suono scurito, rotondo, verticale;
2 – suono aperto = suono schiarito, piatto, orizzontale.
A questo punto è chiaro che dando per buone queste due equazioni farlocche, si sancisce ufficialmente la morte della vocale ‘A’, che per natura è la più orizzontale e chiara delle vocali.
Tra i moderni becchini della vocale ‘A’ troviamo molti cantanti e insegnanti di canto, convinti assertori della teoria surreale secondo cui la bocca, da naturalmente orizzontale che è, cantando dovrebbe diventare ovale o verticale, e che la maggioranza delle vocali (‘A’, ‘E’ ‘I’) dovrebbe assumere (chissà perché) la conformazione della minoranza delle vocali (‘O’, ‘U’), aggiungendovi una protrusione labiale artificiale. Occorre riconoscere, per altro, che la diffusione di questi luoghi comuni (totalmente anti-fisiologici e anti-acustici) è sì un fenomeno deprecabile ma che non deve sorprendere, dato che ogni disciplina umana e ogni fenomeno culturale sono caratterizzati sempre dalla coesistenza di un livello alto e di un livello basso. Si passa però dal semplice livello basso al livello infimo, mistificatorio, quando a questi luoghi comuni cervellotici viene applicata falsamente l’etichetta ‘belcanto’. E’ il caso di un’ insegnante di canto, Astrea Amaduzzi, titolare di un sito internet all’ insegna (comicamente temeraria) di “Belcanto italiano”, che in questo video (e in tanti altri) spaccia seraficamente per belcanto la patacca della ‘A’ verticalizzata e scurita, ovvero violentata.
Il trucco utilizzato dalla signora del video per far credere che le vocali chiare e ‘orizzontali’ portino, a differenza di quelle scure e ‘verticali’, a suoni schiacciati e sfocati, è plateale e consiste nell’ emettere le prime con la gola chiusa e le seconde con la gola aperta. In altre parole è evidente che i suoni schiacciati, di cui dà l’ esempio vocale questa signora, lo sono NON perché prodotti con una bocca naturalmente orizzontale invece che “a merluzzo” (sic) o perché cantati con una ‘A’ non “adattata”, ma semplicemente perché sono emessi con la gola volutamente chiusa e ricorrendo a un sorriso concepito come stampino esterno, prefabbricato, invece che come lieve sorriso interno, nato indirettamente dalla distensione inspiratoria, nel rispetto della motilità naturale dell’ articolazione.
Un altro falso (storico e tecnico-vocale), prodotto dalla suddetta teorica del ‘belcanto intubato’ (ossimoro), è l’ affermazione secondo cui il grande tenore Beniamino Gigli avrebbe propugnato la dimensione ‘verticale e ‘coperta’ della risonanza e le vocali geneticamente modificate (da lei chiamate euefemisticamente “adattate”), quando è vero esattamente il contrario, come dimostrano le lezioni pubbliche tenute da Gigli a Londra e a Vienna. Ma si può dire che tutto il video è un grottesco guazzabuglio di panzane fonetico-acustiche e fisiologiche, che sono radicalmente e totalmente ANTI-BELCANTISTICHE. Questo a partire dalla prima affermazione: quella secondo cui lo spazio di risonanza della voce lirica, sarebbe uno spazio verticale, creato atteggiando la bocca “a merluzzo” (?!), cioè a labbra protruse, “alzando il palato molle” e modificando la ‘A’ in ‘AO’, la ‘E’ in ‘OE’ e la ‘I’ in ‘Y’, cioè letteralmente INTUBANDO i suoni e sopprimendo totalmente quella orizzontalità naturale (essendo la bocca orizzontale), che accomuna geneticamente queste vocali.
La sedicente “regina dei belcantisti” all’ inizio del video si esibisce anche in una spiegazione teorica, che è un triplo attentato: alla fisiologia, alla fonetica e all’ acustica:
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“Che cosa fa produrre un suono alto, chiaro e squillante nel canto? C’è un solo strumento che riesce a spedire i suoni in alto (i cosiddetti suoni ‘di testa’) ed è il palato molle. Il mio maestro mi insegnò che per produrre un suono alto, chiaro e squillante bisognava alzare il palato molle, pronunciando una ‘U’ molto accentuata. Alzando il palato molle, anche la forma della bocca cambia e diventa quella che Hypolito Lazaro chiamava “a merluzzo”. (citazione testuale)
Ora, invece di dare per buone le panzane apprese dal suo insegnante, tale Ennio Vetuschi, la signora Amaduzzi, consultando un qualsiasi testo di fisiologia e di fonetica, apprenderebbe che:
1 – se una vocale non è nasale, significa che il palato molle è già automaticamente sollevato e che quindi in realtà TUTTE le vocali (e non solo la ‘U’), sono prodotte col palato molle sollevato, a meno che, appunto, non siano nasalizzate;
2 – il presunto sollevamento diretto del palato molle, teorizzato dalla signora, è una manovra muscolare esterna e rigida, che non c’entra nulla col vero sollevamento del palato, e tale manovra secondo Garcia (suo inventore) è collegata sinergicamente con l’ abbassamento della laringe;
3 – l’ innaturalezza di questa manovra è ammessa dalla stessa Amaduzzi, quando dice che in questo modo è impossibile mantenere una forma della bocca normale. Il risultato è uno spazio di risonanza a forma di TUBO, che in quanto tale, non potrà che produrre suono più o meno INTUBATI;
4 – il sollevamento del palato molle (sia quello reale, fisiologico, sia quello fantafisiologico della Amaduzzi) non “spedisce” affatto i suoni nelle cavità alte e questo per il semplice fatto che il palato molle, una volta sollevato, chiude l’accesso a quelle cavità;
5 – la teoria secondo cui con una vocale posteriore e scura come la ‘U’ si producano suoni “alti, chiari e squillanti” si iscrive a pieno titolo nel novero delle affermazioni comico-surreali e fanta-acustiche e ha lo stesso senso della frase: “la luce si crea, facendo buio”…
Che tutto questo ciarpame (TOTALMENTE ESTRANEO AL VERO BELCANTO) rappresenti il mezzo tecnico necessario per non schiacciare i suoni, è un FALSO plateale, smentito da tutta la tradizione autenticamente italiana della scuola di canto, in primis da Beniamino Gigli.
Ma a demolire praticamente, sperimentalmente, il grottesco vocale delle ‘bocche a merluzzo’, dei suoni oscurati, delle vocali geneticamente modificate e delle mandibole sganciate verticalmente, non c’è neppure bisogno di scomodare una celebrità come Beniamino Gigli. Per questo scopo è sufficiente il ragazzino norvegese (!) tredicenne (!) di questo video, il quale, come il bambino della fiaba di Andersen, che gridò “il re è nudo!”, spazza via tutte queste bestialità, dimostrando (cantando) che si può lasciare tranquillamente la bocca com’è in natura (cioè orizzontale), senza che nessun suono ne risulti minimamente schiacciato.
Dando per scontato che, considerata la giovane età, la mente di questo ragazzino era ancora felicemente sgombra dalle scemenze di Garcia jr., la sedicente “regina dei belcantisti” Astrea Amaduzzi potrebbe, guardando questo video, apprendere una cosa a lei ignota: affinché lo spazio naturalmente orizzontale della bocca si fonda con quello arretrato della gola, arrotondando il suono (e rimanendo orizzontale!), è sufficiente, come insegnò Enrico Caruso nel suo aureo libretto, attingere alla distensione globale del respiro naturale profondo. Senza nessun bisogno quindi delle bocche ‘a merluzzo’ e dei tubi verticali.
Senonché la Amaduzzi, per rafforzare e dare più autorevolezza alla tesi secondo cui i più grandi cantanti della storia del canto condividevano la concezione del suono coperto-scurito-verticale, nel suo sito si prende la briga di citare le affermazioni di una lunga serie di cantanti come De Lucia, Sbriglia, Boccabadati, Amato, Battistini, Callas, Galli-Curci, Pertile, Stracciari, Danise, De Luca, Albanese, Barbieri, Lauri-Volpi, Freni, Corelli, Cossotto, Pavarotti, Bergonzi, Bruscantini.
Ora tutte queste testimonianze (che avrebbero potuto essere indifferentemente cento o mille, dato che 100 x 0 e 1000 x 0 danno lo stesso risultato) sono inficiate da una semplice FATTO: tutte (ad eccezione di quella della Boccabadati, che però, come precisiamo più avanti, NON ha mai detto che bisogna mescolare o scurire le vocali) sono posteriori al 1850. Il che significa logicamente che prima di quel periodo nessun grande cantante ha mai pensato che fosse necessario scurire o modificare geneticamente le vocali, anzi tutti erano stati educati a NON farlo.
Il fatto che a introdurre nel canto questi virus tecnico-vocali sia stato un cantante fallito come Manuel Garcia figlio rappresenta per l’ appunto quel fattore ‘zero’, che annulla il valore delle affermazioni di quei cantanti, sopra citati, che se ne sono lasciati contagiare.
Ma anche volendo prescindere da questa considerazione, facciamo un po’ di luce nella notte hegeliana in cui le vacche sono tutte nere dell’ elenco di cantanti della Amaduzzi.
Ignorando i due distinti significati, il primo dei quali errato e il secondo giusto, del termine ‘coperto’ (e cioè, rispettivamente, suono ‘scurito-verticalizzato’ e suono ‘passato di registro’) e dando per buona l’equazione farlocca di Garcia ‘suono scurito = suono rotondo’, la Amaduzzi cade innanzitutto in un abbaglio: pensare che molti dei cantanti da lei citati (ad esempio Stracciari, De Luca, Corelli, Bergonzi e Pavarotti) quando parlavano di ‘suono coperto’, intendessero l’ oscuramento diretto del suono e/o l’uso delle vocali miste, mentre invece si riferivano semplicemente all’ effettuazione del passaggio al registro acuto, il quale consiste, come abbiamo visto, nella chiusura fonetica delle vocali e non nel loro oscuramento diretto. Analogamente, quando altri cantanti citati (come la Callas, la Boccabadati e la Albanese) parlavano di “vocale arrotondata” non intendevano la vocale scurita, dato che il concetto di ‘suono arrotondato perché scurito’ è solo la cantonata presa (e introdotta in via definitiva come verità nella didattica vocale) da Manuel Garcia jr., al quale sfuggì un fatto semplicissimo ma fondamentale: l’ arrotondamento naturale del suono tramite la giusta apertura della gola ha come EFFETTO E NON COME CAUSA l’ oscuramento del suono, mentre l’ oscuramento diretto del suono ha come effetto non il suo arrotondamento, ma il suo INTUBAMENTO.
Qual è la differenza tra arrotondamento e intubamento del suono? Per capirlo, partiamo da una chiarificazione teorica: lo spazio di risonanza del canto è uno spazio bicamerale, costituito dalla bocca (che è orizzontale) e dalla gola (che è verticale), mentre la cosiddetta ‘maschera’ appartiene (come ormai accertato definitivamente anche dalla scienza) al novero delle cavità di risonanza irreali della voce. La prima delle due cavità di risonanza reali della voce (la bocca) genera la brillantezza e la seconda (la gola) la rotondità. Ora quando un suono viene percepito come ‘intubato’ o ‘ingolato’, non lo è perché ‘di gola’ o ‘indietro’ (dato che la gola, che è anatomicamente ‘indietro’, è una delle due UNICHE cavità di risonanza della voce), ma perché la gola è stata aperta male, escludendo dallo spazio di risonanza globale l’ orizzontalità della bocca, che è la fonte della brillantezza naturale. Da qui la caratteristica opacità e ‘fuligginosità’ del suono intubato, e questo è precisamente ciò che succede quando lo spazio di risonanza viene verticalizzato artificialmente con l’idea o di arrotondare la forma della bocca, o di protrudere le labbra con vocali che non siano la ‘O’ e la ‘U’, o di scurire il suono, o di alzare direttamente il palato molle o di mescolare o “adattare” le vocali, in una parola, pensando di ‘coprire’ il suono.
La pretesa utopica dei fautori del suono ‘coperto’ (con la loro fobia dell’ orizzontalità) è paragonabile a quella di chi volesse creare il colore verde, escludendo il giallo dalla sua composizione cromatica. Ebbene, nel belcanto il giallo è rappresentato appunto dalla vocale ‘A’ e dal sorriso (interno). Entrambi questi fattori non solo concorrono a generare quella componente acustica, nota come ‘brillantezza’, ‘lucentezza’, ‘limpidezza’, ‘focus’, ma facilitano anche il realizzarsi della condizione necessaria perché questa qualità del suono continui a generarsi mentre si canta e questa condizione è rappresentata dal rispetto dell’articolazione come movimento naturalmente ‘orizzontale-circolare’. Proviamo a dire, parlando, la serie delle vocali AEIOU in modalità naturalmente fluida-legata e si percepirà che il movimento articolatorio, svolgendosi in uno spazio orizzontale come la bocca, avviene in senso ‘circolare-orizzontale’ e non verticale-tubolare, come invece vediamo nei cantanti dal suono scurito-coperto. Questi cantanti, essendosi privati di quella fonte naturale della brillantezza che è la dimensione orizzontale del suono, quale sopra abbiamo spiegato, sono costretti a compensare artificialmente questo deficit, spingendo ‘avanti’ o ‘fuori’ il suono e questa operazione di ‘copertura’ (del buco) la chiamano con i nomi eufemistici (e fantastici) di ‘maschera’ e ‘proiezione’, nomi (e concetti) entrambi totalmente ignoti ai belcantisti.
La “proiezione del suono sul palato duro” è per l’ appunto il modello paleoscientifico con cui nella prima metà dell’ Ottocento Garcia spiegò il fenomeno della brillantezza del suono cantato. Interpretando però come ‘anteriorità’ quello che i belcantisti avevano interpretato come ‘orizzontalità’, Garcia introduceva nel canto un’antinomia insanabile, che vige tuttora: l”avanti’ contro l”indietro’. Ora, come già avvertì (inutilmente) Franco Corelli (tenore a cui non difettava certo la brillantezza), “se si porta avanti il suono, la gola si chiude. Questa manovra è contro natura e affatica la voce.” Ovviamente la cosiddetta ‘scienza del canto’ ovvero la scienza dei non-cantanti (i foniatri) e dei cantanti falliti (Garcia), non tenne in nessun conto questo dato sperimentale, verificato da tenori dal proverbiale squillo come Corelli e Gigli, e continuò imperterrita a proporre-imporre, spacciandolo per scienza, il dogma farlocco del suono ‘avanti’ e della ‘proiezione’ del suono.
Incomincia allora a delinearsi il motivo per cui storicamente è potuta nascere la mistificazione tecnico-vocale della ‘A’ come vocale che ‘schiaccia’ il suono e che quindi dovrebbe essere ‘corretta’ e mescolata con la ‘O’. Infatti, una volta data per buona (perché ‘l’ha detto la scienza’!) la panzana acustica del suono da proiettare sul palato duro, è evidente che una vocale come la ‘A’ (che NON è una vocale anteriore ed è già brillante di per sé in quanto vocale orizzontale), se viene portata ‘avanti’ non potrà che schiacciarsi. A questo punto una mente normale (che cioè si ispiri a quel naturale contatto con la realtà che si chiama ‘buon senso’) ne dedurrebbe che la teoria del suono da ‘proiettare’ avanti è falsa, provvedendo subito a eliminarla. Invece che cosa fecero (e fanno) le menti ‘scientifiche’ degli ‘scienziati’ del canto? Ne ‘dedussero’ che a essere sbagliata non era la teoria della proiezione, ma la vocale ‘A’, che quindi doveva essere ‘corretta’, trasformandola in ‘AO’. Di qui i moderni, grotteschi e pseudo-lirici’ “O l’ Omor, l’ Omore ond’ Ordo” in sostituzione dei normali (e umani) “Ah, l’ Amor, l’ Amore ond’ Ardo”.
Abbiamo visto come la ‘A’ fosse la vocale privilegiata dai belcantisti, assieme alla ‘E’, che, non a caso, è un’ altra vocale orizzontale. La ‘E’ è una variante anteriorizzata della ‘A’ e se teniamo presente che due grandi trattatisti del belcanto (Tosi e Mengozzi) raccomandavano di non esercitarsi sulla stessa vocale (evidentemente per evitare di creare forme statiche, ‘gessi’), ma di alternarle tra loro, diventa ancora più chiaro il motivo per cui queste due vocali godevano del favore dei belcantisti e il motivo è il seguente: una volta trovato il modo naturale di aprire la gola senza ostacolare l’ articolazione, la vocale ‘A’, alternata alla ‘E’, funziona da bilanciatore risonanziale della verticalità della gola, impedendo che lo spazio di risonanza si intubi. D’altra parte la ‘E’ (in quanto vocale anteriore che esiste anche in forma foneticamente chiusa) compensa i difetti della ‘A’, i quali difetti ovviamente NON sono rappresentati dalla sua orizzontalità o dalla sua posizione centrale o posteriore, ma dalla sua difficoltà a convertirsi in modalità foneticamente chiusa, che è la condizione per salire al registro acuto.
Una volta chiariti questi concetti, non possono non evidenziarsi in tutta la loro assurdità le teorie anti-belcantistiche, anti-fonetiche e anti-acustiche della Amaduzzi, la quale (assieme a tanti altri maestri di canto con idee simili) ha il coraggio di spacciare per belcanto questa sua vera e propria ricetta dell’ intubamento della voce:
“Le vocali ‘A’ e ed ‘E’ schiacciano il suono, che quindi deve essere coperto e questa è la differenza tra la pronuncia di un attore e la pronuncia di un cantante.” (?!) Non bisogna cantare come si parla, ma bisogna cantare in “lirichese”” (??!!) “cioè adattare le vocali parlate allo spazio del suono lirico, scurendole un po’ e verticalizzando’.”
“Una vocale come la ‘A’ è sempre a rischio di uscire troppo ‘aperta’, quindi dovrà essere equilibratamente raccolta nel modo giusto, mentre vocali strette per loro natura come la ‘E’ e la ‘I’ andranno trattate dando loro maggior spazio ‘verticale’. Anche la U, se cantata come nel meccanismo del parlato, risulterà contratta come se la gola si chiudesse: invece bisogna avere uno spazio ovale internamente alla bocca e usare le labbra esternamente per mantenere la comprensibilità della U. Ecco perché le vocali nel canto lirico devono essere ‘miste'”. (citazione testuale)
Per fortuna, a convogliare nel loro giusto luogo di destinazione (la discarica) questi derivati tossici delle teorie di Garcia, ha provveduto ancora una volta sperimentalmente (cioè cantando) un tenore come Luciano Pavarotti.
In questo video lo sentiamo cantare le vocali ‘O’ e ‘A’ della parola ‘vittoria’ a due diverse altezze tonali: una poco prima del passaggio di registro (Fa diesis), quindi in modalità ‘aperta’, e l’ altra dopo il passaggio di registro (La diesis) quindi in modalità (impropriamente) detta ‘coperta’. Ebbene, secondo le teorie di Garcia, riproposte dai suoi moderni epigoni (affondisti in primis), il risultato in uno o in entrambi i casi sarebbe dovuto essere: “VittoriO, vittoriO”, mentre secondo le teorie di Alfredo Kraus sarebbe dovuto essere: “VittAria, VittAria”. Invece in entrambi i casi, sia prima, sia dopo il passaggio al registro acuto (quindi anche con la conversione fonetica della ‘A’ in vocale chiusa, in cui consiste il passaggio) il risultato è inequivocabilmente una ‘A’ pura, per nulla contaminata con la vocale ‘O’.
Questo a definitiva e lapidaria dimostrazione che la teoria della necessità della verticalizzazione dello spazio di risonanza, del mescolamento delle vocali, dell’oscuramento del suono e delle bocche “ovali”, “a merluzzo” o a “culo di gallina” è, è sempre stato e sempre sarà solo ciarpame pseudo-tecnico da canto di serie B o C, che nulla ha a che fare con quel canto di alto livello, passato alla storia con nome di belcanto.
Antonio Juvarra
(fine della seconda e ultima parte)
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