Oper Frankfurt – La Juive

la-juive_org_3503

Foto ©Monika Rittershaus

Il grand opéra è un genere che, se ben eseguito, può suscitare forti suggestioni e siccome i titoli di questo genere non appaiono di frequente nel cartelloni teatrali, non ho voluto perdermi la nuova produzione de La Juive all’ Oper Frankfurt. L’ opera, andata in scena con enorme successo all’ Opéra di Parigi nel 1835, è frutto del  lavoro congiunto di un librettista geniale come Eugene Scribe e di Fromental Halévy (1799-1862),  compositore di talento, autore di una copiosa produzione teatrale e appartenente ad una famiglia che diede un notevole contributo all’ evoluzione artistica dell’ opera francese: la figlia Geneviève sposò Georges Bizet, che era stato suo allievo e fece scrivere il libretto della Carmen dal cugino di sua moglie, ossia Ludovic Halèvy, figlio del fratello di Fromental, lo scrittore e storico Léon. La vicenda, ambientata durante il Concilio di Costanza del 1415, è  imperniata su un tema attualissimo anche per il  pubblico odierno, quello del conflitto  interreligioso, incarnato nelle figure dell’ israelita Eleazar e del cardinale Brogni. Eleazar, padre putativo di Rachel, è una tra le figure più complesse di tutta la storia  dell’ opera, in particolare tra quelle affidate alla voce di tenore.  Perseguitato come ebreo,  odia i cristiani e per realizzare la sua vendetta nei confronti del cardinale si spinge fino  a sacrificare la vita di Rachel, figlia naturale del prelato da lui salvata e cresciuta.  Un modello di vendetta inesorabile che sarà poi ripreso da Verdi nel finale del Trovatore,  in modo ugualmente conciso e forse per questo anche più terribile. Come costruzione teatrale e qualità della musica, si tratta forse del lavoro più riuscito fra  quelli impostati sul modello del grand opéra. L’ opera infatti, pur di esecuzione non frequentissima in quanto molto complessa e difficile, non è mai uscita del tutto dal repertorio e moltissimi grandi tenori sono stati attirati dall’ affascinante figura di Eleazar.  Tra gli interpreti del Novecento, basta fare i nomi di Enrico Caruso (di cui questa fu l’ ultima interpretazione e anche il suo addio alle scene), Giovanni Martinelli, Richard Tucker e,  ai giorni nostri, Josè Carreras e Neil Schicoff.

la-juive_org_3502

Foto ©Monika Rittershaus

Per le esigenze richieste da un’ azione ricca di scene spettacolari e da una parte musicale molto impegnativa, La Juive è un titolo che impegna severamente tutte le risorse di un teatro. L’ Oper Frankfurt ha affidato la messinscena alla cinquantunenne regista berlinese Tatiana Gürbaca, che è stata l’ ultima allieva di Ruth Berghaus e il cui allestimento dell’ Ulisse di Dallapiccola firmato per il teatro assiano nella scorsa stagione è stato premiato con l’ International Opera Award, riconoscimento che si aggiunge a quello di Regisseurin des Jahres assegnatole nel 2013 dalla rivista Opernwelt e ai notevoli successi di pubblico e critica ottenuti dalle sue ultime produzioni come il Trittico alla Wiener Staatsoper, La fanciulla del West all’ Opéra de Lyon e il Werther all’ Opernhaus Zürich. Nella sua lettura scenica la Gürbaca ha omesso tutti i riferimenti temporali dell’ argomento, realizzando un’ azione che si svolge in un unico impianto scenico rappresentante una costruzione stilizzata che incombe sui personaggi, abbigliati con costumi appartenenti ad epoche diverse. Per la cura scrupolosa nella recitazione dei solisti e il trattamento delle masse, si trattava senza dubbio di uno spettacolo ben fatto, con una sua logica e un suo stile che si rapportavano bene con la musica senza mettersi di traverso come troppo spesso accade. L’ unica cosa che non mi ha del tutto convinto era il video utilizzato al posto del corpo di ballo nel terzo atto, ma nel complesso la messinscena si lasciava guardare con piacere e offriva diversi momenti di buon teatro.

la-juive_org_3506

Foto ©Monika Rittershaus

Come già accennato in precedenza, le vocalità impegnative dei ruoli principali di quest’ opera richiedono la presenza di interpreti tecnicamente e musicalmente molto preparati oltre che dotati di personalità interpretativa ben definita. Per quanto riguarda il protagonista, queste esigenze erano garantite in anticipo dalla presenza del cinquantaduenne tenore statunitense John Osborn, ai nostri giorni considerato l’ interprete di riferimento in ruoli come Arnold, Arturo Talbo, Raoul de Nangis e Jean de Leyden, che tornava a esibirsi a Frankfurt dopo i clamorosi successi ottenuti nel 2014 come Werther e successivamente nei Puritani del 2018. Perfettamente a suo agio nella tessitura di un ruolo concepito per il leggendario Adolphe Nourrit, che collaborò anche alla composizione scrivendo personalmente il testo della grande aria di Eleazar, il tenore dello Iowa ha messo in mostra la sua emissione perfettamente rifinita e il suo registro acuto ampio, esteso e sonoro, da vero tenore all’ antica, superando con facilità addiritura irrisoria tutti i numerosi passi scabrosi della parte e riuscendo a rendere in maniera assolutamente esemplare la difficilissima scena finale del quarto atto, eseguita integralmente con la celebre aria Rachél, quand du Seigneur seguita da una cabaletta. di tessitura molto impegnativa. Il ruolo di Rachel era affidato al quarantunenne soprano canadese Ambur Braid, che a Frankfurt quattro anni fa aveva ottenuto un enorme successo come Salome nello spettacolo di Barrie Kosky. La cantante nordamericana non ha decisamente le caratteristiche vocali di un soprano Falcon, tipologia che prende il nome dalla cantante che fu la prima ad impersonare la protagonista: le manca soprattutto la consistenza dell’ ottava inferiore, in cui la voce suonava un po’ vuota. Dal punto di vista interpretativo la Braid si è comunque fatta apprezzare per una tenuta vocale più che sufficiente e alcuni momenti di fraseggio ispirato, in particolare nel secondo e nel quarto atto. Il basso sudcoreano Simon Lim ha messo in mostra una voce di imponenza adeguata alla parte del Cardinale Brogni, anche se con qualche ingolatura di troppo nel settore centrale. Il giovane soprano polacco Monika Buczowska, una tra le voci più promettenti dell’ ensemble di Frankfurt, nella sua caratterizzazione di Eudoxie ha bene impressionato per una buona padronanza della coloratura e accenti molto efficaci. Nel ruolo di Leopold, il principe fidanzato di Eudoxie che si finge israelita per sedurre Rachel, il tenore austriaco Gerard Schneider ha messo in mostra buone interpretazioni interpretative soprattutto nel duetto con Rachel del secondo atto.

5426_lajuive15_gross

Foto ©Monika Rittershaus

Ad amalgamare al meglio un cast di buona qualità complessiva provvedeva dal podio Henrik Nánási, quarantanovenne direttore ungherese che per sei anni è stato Generalmusikdirektor alla Komische Oper. Il musicista magiaro ha sfruttato al meglio le possibilità offerte da complessi di livello elevato come quelli dell’ Oper Frankfurt per un’ interpretazione vigorosa, ricca di tensione teatrale e senso del racconto oltre che di cura scrupolosa nella concertazione d’ insieme e nella realizzazione delle dinamiche, eccellente per la capacità di evocare il senso del grande affresco storico. Una prova di notevole rilievo, tra le migliori che mi sia capitato di ascoltare in questo repertorio. Come giudizio d’ insieme direi che posso dire di aver assistito a uno spettacolo godibilissimo e ad un’ interpretazione assai ben realizzata di un’ opera musicalmente e drammaturgicamente di grande valore. Alla fine, in un teatro quasi completamente esaurito, un grande e ben meritato successo di pubblico per tutti gli interpreti di una recita che sicuramente valeva il viaggio.


Scopri di più da mozart2006

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.

Un pensiero riguardo “Oper Frankfurt – La Juive

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.