
Foto ©Wilfried Hösl
Non ho difficoltà ad ammetterlo: anche se amo alla follia Pikowaja Dama, che considero uno tra i capolavori assoluti del teatro d’ opera ottocentesco, sono stato spinto a fare il viaggio per vedere la nuova produzione della Bayerische Staatsoper quasi esclusivamente dal desiderio di ascoltare finalmente Asmik Grigorian come Lisa dopo che lei aveva cancellato le recite di Baden-Baden due anni fa. E le mie attese sono state pienamente ripagate da un’ altra prestazione maiuscola della cantante lituana, che ha confermato una volta di più di essere la più geniale inteprete dei nostri tempi e l’ unico esempio odierno di artista totale, autentico animale da palcoscenico il cui miracoloso equilibrio tra parola, suono e gesto inchioda letteralmente alla poltrona il pubblico per l’ intensità insostenibile delle sue caratterizzazioni. Una combinazione di carisma e personalità grazie a cui le interpretazioni di Asmik Grigorian ti portano a chiederti se stai assistendo a un’ opere o a qualcos’ altro. L’ ho già detto e lo ripeto: questo è un miracolo che riusciva solo alla Callas dei tempi migliori e non sto assolutamente esagerando nel paragone. La sua Lisa disperata, passionale, di una travolgente intensità espressiva che aveva il suo culmine nella scena del ponte sulla Neva resa in modo letteralmente incandescente, è stata la trionfatrice assoluta di uno spettacolo che alla prima ha avuto accoglienze non unanimi con dissensi rivolti soprattutto alla parte scenica.

Foto ©Wilfried Hösl
Con un’ idea di base che io ho trovato non del tutto sbagliata, il regista australiano Benedict Andrews ha scelto di evidenziare soprattutto l’ amosfera da incubo evocata dai pensieri di Hermann, ambientando tutta l’ opera in un enorme spazio vuoto e oscuro con la completa rinuncia a qualsiasi tipo di evocazione scenica. Il gioco però riusciva solo a tratti perché la staticità monotona dell’ amosfera scenica e la monotonia delle immagini compromettevano in maniera pesante l’ atmosfera di certe scene, soprattutto quella iniziale e quella della festa, oltretutto manomessa musicalmente da massicci tagli. La cose migliori della produzione erano nel quarto atto, in cui la scena della Neva e quella del gioco venivano rese in maniera abbastanza efficace. Non sbagliata era anche l’ idea di riempire gli intervalli scenici con dei video in bianco e nero proiettati sul boccascena, in cui Asmik Grigorian inquadrata in primissimo piano veniva ripresa in diversi atteggiamenti. Nel complesso lo spettacolo mi è sembrato non proprio brutto ma sicuramente irrisolto in diversi punti oltre che esteticamente poco attrattivo. Il pubblico della prima ha dimostrato di non gradire, ma si sa che ai dirigenti dei teatri, soprattutto di quelli tedeschi, queste reazioni non interessano minimamente.

Foto ©Wilfried Hösl
Parliamo adesso della parte musicale nel suo insieme. Pikowaja Dama è l’ ultimo capolavoro operistico di Tschaikowsky che per quest’ opera prese spunto dall’ omonimo racconto di Alexander Pushkin in cui viene narrata, con un linguaggio freddamente clinico, una tragica storia di degenerazione psichica causata dall’ avidità legata al vizio del gioco. Insieme al fratello Modest, che aveva realizzato il libretto, la concezione drammaturgica di Tchaikovsky modificò l’ impianto originario della vicenda letteraria trasferendone il baricentro dall’ avidità all’ amore: il protagonista può coronare il suo sogno soltanto diventando ricco ma il destino avverso lo condanna tramite una catena implacabile di avvenimenti che evidenziano il progressivo addensarsi di un vortice senza scampo. Stilisticamente parlando, la struttura dell’ opera presenta elementi derivati dalle più recenti esperienze del teatro lirico francese tradotti musicalmente in una partitura che è uno tra i migliori esempi dello stile maturo di Tschaikowsky nella sua perfetta costruzione basata sullo sviluppo di quattro temi fondamentali enunciati nel Preludio, tra cui si evidenziano in particolare la melodia russa che apre la prima scena, l’ossessivo tema delle carte e il motivo dell’amore di Hermann e Lisa, caratterizzato da cromatismi che esprimono un’ ansia quasi tristaneggiante. Si tratta di un’ opera che costituisce senza alcun dubbio uno degli esempi più completi e maturi nel panorama del teatro musicale di fine Ottocento.

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Aziz Shokakimov, trentacinquenne direttore uzbeko lanciato alla ribalta internazionale dal secondo posto ottenuto nel 2010 all’ Internationale Gustav-Mahler-Dirigentwettbewerb di Bamberg e attuale direttore musicale dell’ Orchestre Philarmonique de Strasbourg, che con questa produzione faceva il suo esordio alla Bayerische Staatsoper, ha gestito bene il passo teatrale della vicenda con un buon senso del racconto e tempi in complesso adeguati, ottenendo ottime sonorità e colori timbrici dalla Bayerische Staatsorchester. Nel complesso si trattava sicuramente di una buona interpretazione, abbastanza efficace nella carica teatrale e nella realizzazione delle atmosfere, anche se probabilmente non all’ altezza di quelle di Valery Gergiev e Kirill Petrenko che negli ultimi anni hanno costituito un riferimento assoluto nella storia esecutiva di quest’ opera. Shokakimov comunque si è dimostrato abile accompagnatore dei cantanti, che dalla sua gestione di tempi e sonorità sono stati tutti messi in grado di esprimersi al meglio

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Superati i problemi di salute che ne hanno limitato la resa nella prima, il tenore statunitense Brandon Jovanovich è stato un eccellente Hermann, ruolo assai impegnativo che ha padroneggiato senza difficoltà grazie a una voce robusta e squillante unita a un fraseggio intenso e passionale. Nei due ruoli baritonali, Roman Burdenko ha cantato con ottime intenzioni interpretative i due monologhi di Tomsky mentre Boris Pinkhasovich ha reso con una bella affettuosità di fraseggio l’ aria del principe Jeletski, mostrando inoltre una notevole efficacia scenica nel delineare la compostezza gelida del personaggio in altre scene, soprattutto nel terzo atto. Lodevoli anche le prestazioni di Kevin Conners (Tchekalitsky), Bálint Szabo (Surin), Tansel Akzeybek (Tschalipitzky) e Nikita Volkov (Narumov). Tra le altre interpreti dei ruoli femminili, molto brava è sembrata Victoria Karkacheva, mezzosoprano nativa di Wolgograd e uscita dalla scuola di formazione del Bolscioi, che ha cantato il celebre duetto con Lisa e la canzone di Polina con un bel colore vocale e grande espressività nel fraseggio. Efficace anche la Governante di Natalie Levis. Il breve ma fondamentale ruolo della Contessa era affidato a Violeta Urmana, una tra le cantanti più illustri della nostra epoca, che ne ha dato un ritratto scenico e vocale di grande efficacia, intonando la celebre aria sul motivo di “Je crains de lui parler la nuit” dal Richard Coeur de Lion di Gretry trasposto in minore una quarta sotto, con una pronuncia francese impeccabile e un fraseggio ottimo per intensità di tono. Successo assai vivo per tutti, con punte di assoluto entusiasmo per Asmik Grigorian che ha ricevuto ovazioni intensissime a tutte le sue uscite finali. Concludendo questo articolo, dopo questa ulteriore entusiasmante prestazione io posso solo confermare una volta di più che per me il carisma soggiogante, la personalità artistica da vera fuoriclasse e la capacità di entrare direttamente in sintonia col pubblico rendono Asmik Grigorian una stupenda esponente dell’ arte suprema del canto lirico nel delineare passioni umane, vere, commoventi. Attendiamo con impazienza altre prove di questa ragazza assolutamente geniale, che con le sue interpretazioni sta letteralmente riscrivendo la storia del teatro lirico.
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Un pensiero riguardo “Bayerische Staatsoper – Pikowaja Dama”