
Per il suo ultimo contributo del 2023, Antonio Juvarra ci propone due riflessioni sulla figura di Andrea Bocelli. Prima di augurarvi buona lettura, premetto che anch’ io considero questo cantante uno tra i più clamorosi bluff mai montati dalla macchina mediatica e quindi sottoscrivo in tutto e per tutto quanto scrive Antonio.
BOCELLI, L’ ANATROCCOLO CHE SI SENTIVA UN CIGNO
(Due fogli di diario)
14 Aprile 2020
Andrea Bocelli canta o, per essere più precisi, si esibisce al Duomo di Milano ai tempi del Covid e viene sommerso sul web da un lancio di pomodori virtuali da parte di molti spettatori, irritati dal livello non propriamente alto della prestazione. Insomma, una reazione, quella degli spettatori, che una volta sarebbe stata considerata di normale amministrazione e basti pensare a Metastasio, che nel Settecento testimoniava in tal senso: “queste sono le maledette vicende dei teatri: un niente li esalta, un niente li atterra.”
Il giorno dopo l’ esibizione, leggendo i commenti sui social, si rimane sorpresi nell’ assistere a un fenomeno, che rappresenta una novità dei nostri tempi ovvero: nei casi di “atterramento” (ma non, ovviamente, in quelli di “esaltazione”) succede che immediatamente interviene il pronto soccorso del ‘moralmente corretto’, col suo meccanismo coatto dei “buoni sentimenti”. Tutto ciò allo scopo di impedire che certi personaggi cosiddetti ‘pubblici’ possano diventare oggetto di legittime stroncature, quasi dovessero beneficiare di una sorta di “immunità critica”. Ecco allora prontamente spuntare dal cassetto quel magico spauracchio, che è lo strumento cui sempre più si ricorre per operazioni di questo tipo e che è il grido “ALL’ ODIO! ALL’ ODIO!”
Ma quale odio?? Forse che Galilei, che nel suo ‘Dialogo sopra i massimi sistemi’ tratta da somaro il cardinale Bellarmino, sostenitore della teoria che il sole gira intorno alla terra, si può definire un ‘odiatore’? E il bambino della fiaba di Andersen, che gridò pubblicamente “Il re è nudo!”, era per caso un ‘odiatore’ anche lui? O era invece uno smascheratore? Se il lancio di pomodori metaforici contro Bocelli configurano il reato di “odio”, il lancio di pomodori reali (qual era consuetudine una volta) come si dovrebbe considerare oggi? Reato di violenza e lesioni o tentato omicidio?
Come al solito, la mistificazione agisce in automatico, spostando la discussione dal terreno del giudizio estetico (la cui espressione da millenni ha sempre utilizzato liberamente sia il registro obiettivo-descrittivo, sia il registro satirico-sarcastico) a quello del giudizio morale, totalmente estraneo al primo, infliggendoci la giaculatoria melensa da libro Cuore: “ma Bocelli è buono e gentile, fa beneficenza, rappresenta l’ Italia, non merita tutto questo, quella dei detrattori è solo invidia bla bla bla…”
Rimaniamo allora su questo terreno e analizziamo le implicazioni ‘morali’ del noioso saggio di conservatorio, inflitto al pubblico mediatico da Bocelli al Duomo di Milano e spacciato comicamente dalle istituzioni pubbliche e dalle reti televisive per “evento mondiale”. È noto a tutti il gioco di specchi affaristico-pubblicitario con cui oggi i miliardari amano associare la propria immagine allo strombazzamento mediatico di proprie iniziative filantropiche. In questo caso abbiamo il plurimilionario Bocelli, che (udite, udite!) è così buono da accettare di ‘pregare in musica’ nel Duomo di Milano per l’ Italia, colpita dal Covid, e, per pregare, non pretende neanche di essere pagato! Niente di meno! “Ma com’è buono, umile, pio e generoso lui!”, si aspettano che la gente pensi in automatico i promotori dell’ ‘evento’. Da qui l’ irritazione se qualcuno disturba il manovratore con qualche pernacchia.
Sorge spontaneo a questo punto il dubbio: ma se è vero che a ispirare Bocelli è stato lo spirito religioso-umanitario, non pare molto consono all’ umiltà cristiana il suo esibire gigantograficamente ovunque l’ immagine di sé stesso nell’ atto di pregare in modalità pseudo-musicale. In questo modo non siamo forse più vicini all’ autoidolatria che al servizio religioso? Si tratta di un atto di devozione o di un atto di autoglorificazione? E perché, ispirandosi allo spirito comunitario che caratterizza il cristianesimo, Bocelli non ha, non dico annullato, ma immerso il proprio ego (solitamente imbellettato con una modestia di facciata) nella collettività, evitando di cantare da solo o davanti a un coro che gli fa da semplice fondale, e scegliendo, invece, di cantare in un coro come corista? S’ è mai visto un prete sull’altare, che si fa riprendere dalle televisioni in primissimo piano, escludendo tutti gli altri, mentre celebra la messa? È evidente insomma che l’ umiltà cristiana di Bocelli che canta brani religiosi nel Duomo di Milano è puramente scenica, sicché scambiarla per qualcosa di più equivarrebbe ad aspettarsi che il cantante che canta la parte del frate nel Don Carlo di Verdi ti confessi e ti dia la comunione. Non mescoliamo quindi cose molto eterogenee tra loro e diciamo che con la sua esibizione di Milano Bocelli è riuscito a inaugurare una nuova variante della spettacolarità: l’ “ONE MAN PRAYING SHOW”!
E fin qui, dal punto di vista scenico-teatrale, nulla da eccepire, nel senso che si può dire che c’è stata assoluta congruenza tra la figura di asceta macilento e contrito di Bocelli mentre canta nel Duomo di Milano, con, da una parte, la sua esilità vocale, e, dall’ altra, con il contesto religioso dell’ ‘evento’. Quand’ è allora che nascono i problemi (tragici) con l’ idolo mediatico Bocelli? Nascono quando, spostandosi da questo tempio a un altro tipo di tempio, ad esempio il ‘tempio della lirica’ dell’ Arena di Verona, vediamo la sua finta modestia volatilizzarsi per lasciare il posto alla boria, boria che lo induce ad accettare di apparire come protagonista assoluto di serate di arie operistiche, dove cantanti col doppio della sua bravura, della sua voce e della sua esperienza teatrale, sono ridotti a fare da suo contorno scenografico o da banali sparring partners, mentre lui, pavone accecato dalla smania dei riflettori, violenta tranquillamente romanze per lui inarrivabili come quelle del Trovatore e della Turandot, tutte appiattite dalla stessa monocorde inespressività anti-teatrale. Risultato? Un Manrico e un Calaf mosci e azzoppati, con la voce e l’ atteggiamento monacale del cantante ‘penitente’ della serata al Duomo di Milano, atteggiamento là perfettamente consono, qui penosamente inadeguato.
In sintesi, ci ritroviamo di fronte non tanto a un Nemorino a Tebe (secondo l’ icastica definizione, data da Del Monaco ai tenori pretenziosi alla Bocelli), quanto a un Don Basilio mozartiano alla reggia di Turandot e a questo punto non scandalizziamoci se molti si scandalizzano, lanciando indignati pomodori ‘mediatici’.
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16 Luglio 2023
Viene dato l’ annuncio sui social che Bocelli ha inciso l’ Otello di Verdi con l’ orchestra del Teatro Carlo Felice di Genova, ovvero l’ anatroccolo perde le piume, ma non la smania di essere cigno. Siamo dunque passati da Nemorino che canta ‘Nessun dorma’, a mastro Trabuco che canta ‘Esultate’: un progresso in retromarcia e un doppio exploit di boria e di comicità involontaria.
Anche in questo caso la notizia viene salutata con una serie di sacrosante pernacchie dei melomani sui social, ma con una novità. Questa volta a fornire il pronto soccorso ‘buonistico’ alla star di carta stagnola della lirica, è il tenore Nicola Martinucci che, indignato perché qualcuno ha osato irridere “una eccellenza italiana come Bocelli, che riempie gli stadi di tutto il mondo” (o forse perché, italianamente, l’ indignato è padre di una cantante, che è invitata spesso a esibirsi in concerto con Bocelli), si dà clamorosamente la zappa sui piedi, considerato che, usando il suo criterio di misurare il valore di un cantante sulla base del numero di “stadi riempiti”, risulta che lui è nessuno rispetto a Vasco Rossi. Non contento di questo, arriva a sancire una norma surreale: chi fischia (ma non chi applaude!), per poterlo fare deve prima far sentire (a lui, l’ indignato) come canta (??), e con questa uscita Martinucci riesce nell’ impresa di infliggere alla logica universale quello che Bocelli infligge al canto lirico.
Intanto, vedendo giganteggiare nelle locandine di questo secondo ‘evento’ il nome ‘Otello’ affiancato al nome ‘Bocelli’, un sospetto si affaccia alla mente: forse che il destino, che notoriamente ama essere ironico, ha deciso di siglare la carriera di Bocelli con un deflagrante ossimoro comico? ‘OTELLO Bocelli’ per l’appunto, binomio comico-surreale degno di ‘NAPOLEONE Fantozzi’, ‘ARISTOTELE Fracchia’ e ‘HOMER Simpson’, nonché perfetto emblema a futura memoria di ogni nano che ambisca a farsi passare per gigante.
Antonio Juvarra
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Personalmente Bocelli mi starebbe anche simpatico, ma il politicamente corretto… NO!
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