
Foto ©Martin Sigmund
Dopo il grande successo della ripresa di Katja Kabanova dello scorso febbraio, la Staatsoper Stuttgart ripropone in questi giorni il bell’ allestimento di Jenůfa realizzato da Calixto Bieito, realizzata nel 2007, che fu uno tra i migliori esiti artistici della gestione di Albrecht Puhlmann e di sicuro la messinscena più convincente fra quelle realizzate dal regista catalano per la Staatsoper. Si tratta di una produzione che al suo apparire fu molto apprezzata dalla critica tedesca e che anche in questa occasione ha ricevuto un franco e meritato successo di pubblico. Calixto Bieito, che quando affronta altri titoli si concede eccessi drammaturgici spesso di cattivo gusto, in questa occasione racconta la storia in modo asciutto e con assoluta coerenza di linguaggio teatrale. In un’ ambientazione scenica spoglia e di tipo minimalista, l’ impatto emotivo della vicenda di Jenufa è reso dal regista catalano in maniera potentissima e coivolgente e la forte carica drammatica della vicenda ne esce evidenziata con grande efficacia anche grazie all’ intensità teatrale della recitazione.

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Il teatro di Leoš Janáček ha sempre avuto largo spazio nei cartelloni dei teatri tedeschi, e la Staatsoper Stuttgart ha sempre rappresentato regolarmente i suoi lavori. A buon diritto, devo dire, perché al giorno d’ oggi, se si vuole fare un discorso serio sul teatro lirico del Novecento, non si può assolutamente ignorare la produzione operistica dello straordinario compositore moravo, assurto alla fama solo all’ età di 62 anni, dopo la rappresentazione di Jenůfa al Teatro Nazionale di Praga. Sulla spinta di questo successo Janacek, dopo la Prima Guerra Mondiale, scrisse nel giro di pochi anni quattro partiture da annoverare assolutamente tra i grandi capolavori della storia del melodramma: Katja Kabanova, La piccola volpe astuta, L’ affare Makropoulos e Da una casa di morti. Opere di squisita fattura musicale e teatrale, dalla scrittura raffinata e modernissima come già il compositore moravo aveva dimostrato nel 1904 con Jenůfa, una partitura che già delinea in pieno il senso del teatro e la potenza della caratterizzazione drammatica che Janacek era in grado di esprimere e che va annoverata a buon diritto tra i massimi capolavori del teatro musicale novecentesco.

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In questa ripresa, l’ ottimo esito esecutivo della parte musicale è stato garantito dalla direzione del sessantaduenne Marko Letonja, che tornava alla Staatsoper dopo diversi anni. Il musicista sloveno, che negli ultimi tempi ha gestito con eccellenti risultati l’ Orchestre philharmonique de Strasbourg e dal 2018 è subentrato a Markus Poschner nell’ incarico di Generalmusikdirektor dei Bremer Philharmoniker, ha realizzato a meraviglia quella drammaturgia timbrica che costituisce il carattere dominante della partitura a partire dall’ ostinato dello xilofono esposto nelle battute iniziali, creando un clima di allucinata tensione espressiva assolutamente avvincente dal punto di vista narrativo. La scena finale del primo atto, quando Jenufa viene sfregiata da Laca, l’ innamorato da lei respinto, e tutta l’ atmosfera da incubo del secondo atto con il drammatico duetto tra Kostelnička e Števa che trapassa direttamente nella scena dell’ infanticidio erano forse i momenti più belli di un’ interpretazione di alta qualità musicale, messa in perfetta evidenza dalla splendida prestazione della Staatsorchester Stuttgart.

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La compagnia di canto era completamente formata da artisti stabili dell’ ensemble del teatro, che affrontavano tutti l’ opera per la prima volta. Era atteso con curiosità soprattutto l’ esordio nel ruolo della protagonista di Esther Dierkes, alla sua seconda esperenza nel teatro di lingua ceca dopo la sua ottima interpretazione di Rusalka. Il trentatrenne soprano di Münster, entrata nell’ ensemble della Staatsoper direttamente dall’ Opernstudio, ha messo in mostra i pregi di una voce dal bel timbro argentato, omogenea in tutta la gamma e gestita molto bene dal punto di vista del controllo dell’ emissione. Dal punto di vista interpretativo la caratterizzazione tratteggiata dalla giovane cantante è apparsa davvero interessante e teatralmente molto ben riuscita, soprattutto negli accenti partecipi e commossi dei duetti e nell’ intensa resa vocale della preghiera nel secondo atto. Di altissimo livello anche la prova del mezzosoprano inglese Rosie Aldridge, che dopo il grande successo della sua Hexe nell’ Hänsel und Gretel di due anni fa ha tratteggiato un ritratto di grandissima potenza tragica di Kostelnička, in un’ interpretazione davvero di ottimo rilievo scenico e vocale per la straordinaria intensità drammatica e carisma di fraseggio messe in mostra dalla cantante britannica. Dei due tenori Matthias Klink, cantante di grande intelligenza e uno tra gli artisti più apprezzati dal pubblico di Stuttgart, è stato un Laca convincente per voce ed efficacia di accenti e il giovane islandese Elmar Gilbertsson ha reso molto bene la stupida protervia del personaggio di Števa, la cui superficialità ottusa costituisce l’ elemento che da l’ avvio agli avvenimenti tragici della vicenda. Ottime anche tutte le parti di fianco, con una menzione particolare per la vecchia Buryjovka ieratica e solenne di Helene Schneidermann, una tra le voci storiche della Staatsoper che in questa occasione tornava sulle scene. Nel complesso, è stato un vero piacere rivedere questo spettacolo che appartiene alle cose migliori prodotte dalla Staatsoper Stuttgart in questi ultimi anni.
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