
Foto ©Holger Schneider
La Musikfest Stuttgart della Internationale Bachakademie, da qualche anno anticipata di un paio di mesi rispetto alle precedenti edizioni, è da sempre una delle rassegne più unteressanti tra quelle della nostra zona, per la varietà nella compilazione dei programmi e il livello delle proposte artistiche. Quest’ anno il cartellone, che prevede fra le altro cose la partecipazione di complessi corali illustri come il Lettischer Rundfunkchor, l’ SWR Vokalensemble, The Tallis Scholars e per due serate il Thomanerchor Leipzig, è stato inaugurato con l’ esecuzione dei due grandi oratori di Franz Joseph Haydn, e il mio interesse si è rivolto soprattutto a quello di meno frequente esecuzione, Die Jahreszeiten, ultimo capolavoro scritto dal compositore austriaco che con la prima esecuzione viennese di questo lavoro concluse splendidamente una carriera quantomai illustre.
Per la stesura del testo di Die Jahreszeiten, la scelta di Haydn cadde nuovamente su Gottfried van Swieten, che già aveva collaborato con il compositore scrivendo il libretto di Die Schöpfung. Come hanno più volte fatto notare gli studiosi haydniani, il musicista decise di riprendere in mano la forma dell’ oratorio sacro, non più molto praticata alla fine del XVIII secolo, in seguito alla profonda impressione lasciatagli dall’ ascolto dei grandi affreschi oratoriali di Händel durante il suo soggiorno londinese. Dopo l’ atmosfera sacra del primo oratorio, con Die Jahreszeiten, per il cui testo Van Swieten prese come fonte il poema The Seasons di James Thomson, costituisce una descrizione del succedersi delle stagioni intesa come allegoria del trascorrere della vita umana. Tre solisti, che impersonano figure di narratori più che veri e propri personaggi, descrivono le varie atmosfere e i sentimenti che si alternano nel corso dell’ anno in arie di squisita bellezza alternate a cori dalla struttura sapientemente organizzata in architetture di straordinaria perfezione formale. Considerato leggermente inferiore a Die Schöpfung dai critici contemporanei come Carpani che ne diede un giudizio abbastanza limitativo, oggi Die Jahreszeiten è considerato un capolavoro di livello non inferiore al suo predecessore e il coronamento adeguato della carriera di un compositore universalmente ritenuto fra i più grandi della storia.

Foto ©Holger Schneider
L’ esecuzione ascoltata alla Liederhalle è stata senza dubbio di livello molto elevato, come tutte quelle a cui ci ha abituato Hans-Cristoph Rademann nel corso dei suoi dieci anni di lavoro come direttore della Bachakademie, successore di Helmuth Rilling. Il musicista sassone ha messo pienamente a profitto le qualità del complesso strumentale e corale della Gaechinger Kantorei, complesso che dopo la riorganizzazione dell’ ensemble voluta da Rademann sta raggiungendo un livello davvero ragguardevole per omogeneità, morbidezza di suono, chiarezza di articolazione e assoluta padronanza stilistica. La lucidità espositiva con la quale strumentisti e coristi, sotto la guida di Rademann, dipanavano tutte le complesse architetture sonore della partitura di Haydn era qualcosa di assolutamente esemplare. Pochissime volte mi è capitato di ascoltare una definizione così perfetta delle grandi pagine corali che costituiscono la struttura portante dell’ oratorio haydniano, in particolare nella scena di caccia della terza parte e nella complessa Fuga finale. Rademann riesce a trovare un perfetto equilibrio tra tensione narrativa e consapevolezza stilistica, in una lettura di tono contenuto ma sempre eloquentissimo, costellata di splendidi particolari strumentali negli assoli e caratterizzata da tinte coloristiche sempre perfettamente delineate e di grande bellezza. Ma non si può fare a meno di ricordare anche la flessibilità e il respiro degli accompagnamenti alle arie solistiche, realizzati con affascinante trasparenza e magnifico equilibrio di impasti sonori.
Di alta qualità anche la prova dei tre solisti. La prova di più alto livello è stata quella del soprano francese Elsa Benoit, dotata di un timbro interessante per luminosità e freschezza, di una bella scorrevolezza di legato ma soprattutto di una dizione tornita e curata nei dettagli, che le ha permesso di scolpire le frasi del testo con perfetta chiarezza e di trovare accenti efficaci nelle sue arie, soprattutto nella deliziosa e vivacissima esecuzione della favola nella terza parte. Molto interessante la prova del giovane tenore Julian Habermann, appena trentenne e cresciuto nel celebre gruppo dei Regensburger Domspatzen, in possesso di uno strumento vocale non di grande volume ma attraente per morbidezza e rotondità di timbro, utilizzato con buone qualità tecniche e una notevole musicalità. Molto buona è stata anche la prestazione del baritino islandese Jóhan Kristinsson, anche lui piuttosto giovane ma con già al suo attivo collaborazioni con orchestre e direttori di rango internazionale, per autorevolezza di fraseggio e consapevolezza stilistica. Successo assai vivo da parte di un pubblico attento e molto concentrato, che alla fine ha applaudito a lungo tutti gli esecutori.
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