Antonio Juvarra – La respirazione nel canto

wp-1685572080845

Per il suo contributo di inizio mese, questa volta Antonio Juvarra ci propone in anteprima un capitolo del suo ultimo libro. Sicuramente una lettura di grande interesse come tutti gli articoli di Antonio, che qui ringrazio ancora una volta per la sua collaborazione.

CAPITOLO 3

LA RIVOLUZIONE RESPIRATORIA DEL DOTT. MANDL

Con Louis Mandl la foniatria acquisisce un’ autorevolezza tale da arrivare a condizionare le concezioni tecnico-vocali dei più importanti maestri di canto del tempo. Il primo studio significativo di Louis Mandl sulla respirazione nel canto si intitola La fatica della voce in rapporto alla modalità respiratoria ed è dell’ anno 1855. È qui che Mandl stabilisce quello che presto diventerà una sorta di tabù, tuttora vigente nel 90% delle scuole di canto: il divieto dell’ innalzamento del torace in fase inspiratoria. Nello stesso tempo, introducendo nel canto il concetto di “respirazione diaframmatica”, da lui considerata la respirazione ideale, Mandl pone sugli altari un feticcio scientifico, che tuttora gode della massima venerazione nel mondo del canto: il diaframma! Da allora in poi chiunque, parlando di respirazione e di canto, non nomini, anche a sproposito, la parola magica ‘diaframma’, diventerà oggetto di commiserazione se non di esecrazione presso gli esperti del settore. Questo già a partire dall’ Ottocento. Facile immaginare quindi lo sconcerto del tenore Jean de Reszke, divenuto fervente apostolo dei metodi di canto scientifici, e dei suoi allievi di canto del conservatorio di Parigi, quando la mitica Adelina Patti, invitata da de Reszke ad assistere alle sue lezioni e sentendolo sempre nominare la parola magica ‘diaframma’, a un certo punto sbottò, esclamando candidamente: “Ma che cos’ è questo diaframma??”

Nel loro ingenuo pionierismo Mandl, De Reszke e i suoi moderni seguaci non si sono mai lasciati sfiorare da questo semplice dubbio: se la conoscenza del diaframma è un elemento fondamentale della tecnica vocale, come avranno fatto mai a cantare, prima di questa scoperta, i grandi cantanti storici come Farinelli, Pacchierotti e gli stessi Rubini e Donzelli, che l’ avevano sempre beatamente (è proprio il caso di dirlo) ignorato? In effetti, se il diaframma fosse quello che i foniatri hanno voluto farci credere, allora l’ equivalente in ambito violinistico della Patti dell’ aneddoto sopra citato sarebbe un Paganini che, invitato ad assistere a una lezione di ‘nuova tecnica violinistica’, nel sentire l’ insegnante soffermarsi a parlare dell’ archetto, esclamasse spazientito: “Ma che cos’è questo archetto??”, il che ci dà la misura dell’ insensatezza della teoria del diaframma come (fantomatico) strumento tecnico-vocale. Essendo l’ autorità di certa scienza inconfutabile per assioma comico, anche nel caso del diaframma, così come nel caso della ‘maschera’, è possibile assistere a un singolare fenomeno psico-antropologico: invece di cercare di dare una risposta sensata a questo quesito, tutti si buttano a pesce nell’ idolatria per questi due ‘oggetti vocali non identificati’. Purtroppo detto fenomeno assomiglia un po’ troppo a quello descritto nella fiaba ‘I vestiti dell’imperatore’ di Andersen dove, poiché nessuno riusciva a vedere i vestiti inesistenti dell’ imperatore nudo, tutti fecero finta di vederli. Analogamente, poiché nessuno riesce a sentire questo ‘diaframma’, tutti si sforzano di sentirlo. In che modo? Attivando muscoli che non c’ entrano nulla né col diaframma né col canto, ma che sono in grado di confermare l’ allievo nella pia illusione di aver acquisito il controllo tecnico del diaframma e della voce.

Sui risultati sonori di queste operazioni ‘tecno-muscolari’ ovviamente è meglio sorvolare, e la prima a sorvolare è la foniatria artistica, che con opportuna “certificazione”, provvede però miracolosamente a far diventare (sulla carta) anche le voci più “sporche” e “distorte” (definizioni testuali) legittime, se non addirittura ‘accademiche’. La realtà è che ogni sguardo del canto dalla prospettiva dei muscoli è uno sguardo esterno e il diaframma è il muscolo ‘esterno’ per eccellenza del canto foniatrico, anche se anatomicamente si tratta del muscolo più interno. Anzi proprio il diaframma sembra evocare col significato etimologico del suo nome, che è ‘separazione’, e con l’ ironia connessa a ogni nomen omen, il peccato originale della didattica vocale foniatrica: separare per sempre il cantante dallo sguardo interiore, dato dalle sensazioni e dalle propriocezioni, per catapultarlo nel labirinto esterno e senza uscita dei muscoli e dell’ anatomia-autopsia della voce. Anche in questo caso si pone insomma il problema di fondo di tutta la didattica vocale foniatrica e cioè: il diaframma è un muscolo di cui non solo non abbiamo il controllo diretto, ma neppure abbiamo la percezione. A questo punto, come abbiamo visto, il cantante è indotto ad azionare muscoli che non c’entrano nulla col diaframma (per tranquillizzarsi sul fatto che ‘sta cantando col diaframma’), iperattivando e squilibrando in questo modo tutto il sistema. Da qui l’odierna penosa esibizione di respirazioni ‘diaframmatiche’, realizzate facendo sporgere in modo grottesco la pancia e più precisamente il mesogastrio e/o l’ ipogastrio, respirazioni queste, di cui siamo per l’ appunto debitori (si fa per dire) a Mandl e alla foniatria artistica. Avendo preventivamente immobilizzato il torace per la fobia della“respirazione clavicolare”, ogni buona intenzione di respirare diaframmaticamente non potrà che sfociare in una respirazione banalmente addominale e non è un caso che nel suo scritto Mandl parli indifferentemente di “respirazione diaframmatica” e di “respirazione addominale”, trattando i due termini come sinonimi.

Mandl teorizza l’ esistenza di tre tipi di respirazione, che testualmente denomina: “diaframmatica (o addominale)”, “clavicolare” e “laterale (o costale)”. Riconosce anche forme miste di respirazione, affermando ad esempio che la respirazione costale può sfociare in quella clavicolare, ma escludendo che la respirazione diaframmatica possa sfociare in quella clavicolare, da lui considerata disastrosa per la voce. La parte superiore del torace quindi deve rimanere assolutamente immobile. Mandl afferma poi che “è impossibile che, come qualcuno sostiene, in una inspirazione profonda possano coesistere simultaneamente tutti e tre i tipi di respirazione.” In tal modo la sua concezione della respirazione si rivela sostanzialmente come una concezione dualistica, basata cioè non sull’ et-et, ma sull’aut-aut: o respirazione bassa o respirazione alta. Da qui l’ anatema lanciato contro il modello di respirazione del Metodo del Conservatorio di Parigi, cioè ‘alla Mengozzi’, da lui bollato con queste parole:

La teoria esposta nel Metodo del conservatorio di Parigi si può considerare la causa della distruzione di moltissime voci. Appiattire il ventre nell’ inspirazione significa impedire l’ abbassamento del diaframma, significa costringere la respirazione a diventare clavicolare. Non si può non levarsi a combattere con forza contro un principio fatale finché lo si vede inserito in un metodo ufficiale.

In questo modo Mandl instaura una falsa antinomia, quella tra respirazione diaframmatica (rectius addominale) e respirazione clavicolare (rectius toracica), che è affine a un’ altra falsa antinomia, che abbiamo preso in considerazione: quella tra voce chiara e voce scura. Ancora una volta insomma lo sguardo analitico-anatomico degli scienziati (che è letteralmente ed etimologicamente uno sguardo che divide) non riesce a vedere un dato fenomeno come unità vivente, ma lo viviseziona in spezzoni separati: in questo caso la respirazione addominale e la respirazione toracica invece che quell’ unica respirazione reale, che è la respirazione naturale globale.

Annidato nelle concezioni foniatriche del canto sembra insomma ci sia sempre un fattore ‘schizogeno’, che divide tutto quello che era sempre stato unitario e organico. È così che il ‘chiaroscuro’ belcantistico si è scisso, sdoppiandosi, nel “timbro chiaro” e nel “timbro scuro” del parafoniatra Garcia. E’ così che la respirazione naturale globale si è scissa in “respirazione clavicolare” e in “respirazione diaframmatica” per opera di Mandl. È così che l’ appoggio respiratorio è diventato la “lotta vocale” tra diaframma e muscoli addominali dello stesso foniatra, generando poi la moderna scissione foniatrica ‘appoggio/sostegno’. È così che il suono è stato scisso in vibrazione delle corde vocali e risonanza dei risuonatori. È così che i muscoli sono stati scissi dai gesti naturali globali che li comandano. È così che il cantante è stato scisso dal suo corpo, divenuto mera immagine mentale anatomica.

La respirazione “diaframmatica” di Mandl era in realtà a tutti gli effetti una respirazione ipogastrica, cioè sbilanciata in basso, e come tale sfocerà direttamente nella respirazione del metodo dell’affondo e nel moderno ‘appoggio’ pelvico. Non solo: a dimostrazione del potere di infiltrazione delle teorie foniatriche nelle scuole di canto, la respirazione addominale di Mandl la ritroviamo paradossalmente non solo nei fautori dell’ affondo, ma anche nei fautori dei metodi opposti e persino in quel sedicente restauratore della tecnica del belcanto che fu Rodolfo Celletti, il quale arrivò a elaborare un mix paradossale e grottesco: l’ inspirazione addominale ‘alla Mandl’, seguita immediatamente dopo, cioè prima dell’attacco del suono, da un rientro improvviso del ventre ‘alla Mengozzi’ (vedi il capitolo 1). La concezione dualistica della respirazione di Mandl fu ciò che gli impedì di cogliere l’ essenza, la struttura dinamica e fluida della vera respirazione del belcanto, pur essendole passato casualmente molto vicino. In che modo le era passato vicino? Nel suo scritto Mandl riferisce di aver avuto l’ intuizione della respirazione ‘diaframmatica’ da un maestro di canto del conservatorio di Parigi, tale Masset, il quale gli disse di averla imparata in Italia, dove era nota come “metodo di Porpora o metodo di Rubini”. Questa testimonianza è molto importante perché da sola è sufficiente a demolire la teoria secondo cui quella descritta da Mengozzi nel Metodo del Conservatorio di Parigi sarebbe stata la respirazione del belcanto, teoria su cui qualche anno fa un vocologo ha basato interamente un suo libro sulla respirazione belcantistica. E’ qui però che Mandl cadde in un equivoco: infatti questa ‘respirazione italiana’, che lui aveva interpretato come respirazione ‘diaframmatica’ (cioè, per definizione e a tutti gli effetti, come una respirazione parziale e settoriale), era in realtà una respirazione naturale globale. In altre parole, volendo esprimerci in termini foniatrici, non si trattava di una respirazione meramente diaframmatica (o diaframmatico-addominale), ma di una respirazione toracico-diaframmatico-addominale. Aver eliminato la componente toracica, come fece Mandl, significa aver tarpato letteralmente le ali alla respirazione, con tutte le conseguente deleterie che nel corso della successiva storia del canto ne derivarono.

In sostanza Mandl cadde nell’ errore diametralmente opposto a quello in cui cadde Mengozzi. Quest’ ultimo, fuorviato dal fatto che l’ inspirazione è un movimento ascendente, aveva escluso la parte bassa della respirazione, esaltando la componente toracica. Invece Mandl, fuorviato dal fatto che l’ inspirazione nasce a livello diaframmatico e non toracico, escluse la parte alta della respirazione, esaltando la componente diaframmatico-addominale. In entrambi i casi il risultato fu una respirazione azzoppata o dimezzata e nel dire questo non ci si riferisce tanto alla riduzione della quantità d’aria incamerata, ma all’ impossibilità che il fenomeno della respirazione si realizzi per quello che naturalmente è: un’ onda invisibile che nasce nel centro del corpo, sale, supera tutte le frontiere anatomiche fino ad arrivare alla sommità del petto ed è percepita in fase inspiratoria come momento di distensione-espansione-elevazione, da cui il concetto di sospiro ‘di sollievo’ (e non ‘di abbassamento’); dopodiché, in fase espiratoria, come tutte le onde naturalmente scende, da cui il concetto di suono “sul fiato”, ossia suono che nasce nel momento discendente dell’ onda del respiro, respiro né bloccato da nessuna fantascientifica “apnea prefonatoria” né spinto da un analogo fantascientifico “sostegno”.

Solo rispettando questa dinamica naturale del respiro, è possibile quell’ incontro ‘magico’ tra suono e fiato, che genera il senso della voce ‘appoggiata’ e del suono che ‘galleggia’. Andare invece contro natura (cioè contro quel vissuto sensoriale che solo può creare il vero canto), teorizzando foniatricamente che l’inspirazione è un movimento discendente di contrazione del diaframma, e che l’ espirazione è un movimento ascendente di attivazione volontaria dei muscoli addominali (come postula il moderno concetto di ‘sostegno’) equivale nel primo caso ad ‘affondare’ la voce e nel secondo caso a condannnarla a rimanere ‘campata per aria’, invece che placidamente ‘appoggiata sul fiato’.

Da “La respirazione nel canto. I suoi segreti e la sua storia dal belcanto a oggi”
Editore Ut Orpheus
Euro 18

INDICE DEL LIBRO

Introduzione
1 – Esiste una modalità respiratoria belcantistica?
2 – L’ irruzione della foniatria nella didattica vocale
3 – La rivoluzione respiratoria del dott. Louis Mandl
4 – L’ appoggio e il sostegno, ovvero il derivato naturale e il derivato artificiale della respirazione
5 – Francesco Lamperti, il maestro ottocentesco del respiro
6 – Il senso originario del respiro nel canto e il suo stravolgimento
7 – La respirazione ‘a pieni polmoni’
8 – L’ affondo, un derivato tossico della respirazione ‘alla Mandl’
9 – “Chi sa ben respirare e ben sillabare, saprà ben cantare”
10 – Il canto ‘sul fiato’
11 – “Giochi d’ aria”
12 – Il ritorno della respirazione ‘alla Mengozzi’
13 – Aspetti culturali della concezione del respiro
14 – La vera respirazione del canto
Epilogo
Bibliografia essenziale


Scopri di più da mozart2006

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.