Ludwigsburger Schlossfestspiele 2023 – Festspiel Ouvertüre

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Foto ©Reiner Pfisterer

In un clima ormai all’ insegna della ritrovata normalità, qui in Germania sta iniziando la stagione dei festival estivi. Nella normale programmazione, l’ apertura di queste attività spetta di solito ai Ludwigsburger Schlossfestspiele, uno tra i più antichi festival della Germania fondato nel 1932, che costituiscono una delle rassegne musicali tedesche più antiche e rinomate. Ogni anno tra i primi giorni di maggio e la fine di luglio, il programma prevede una sessantina di serate sinfoniche, solistiche e cameristiche, oltre che teatrali e di altri generi spazianti dalla musica popolare fino all’ avanguardia e al jazz, con la presenza di interpreti di altissimo livello internazionale, dei quali molti hanno instaurato un regolare e duraturo rapporto di collaborazione. Anche per l’ edizione di quest’ anno il cartellone ideato da Jochen Sandig, il regista e manager nativo di Esslingen succeduto nel 2019 a Thomas Wördehoff come Intendant della rassegna, si presenta ricco di proposte interessanti, tra le quali si segnala una bella serie di concerti di musica sacra, oltre a recitals pianistici e serate di musica da camera tenuti da alcuni tra i nomi piú prestigiosi della scena concertistica internazionale, produzioni teatrali e manifestazioni itineranti che convolgeranno i luoghi più importanti del centro storico cittadino.

Tradizionalmente, l’ inaugurazione dei Ludwigsburger Schlossfestspiele è sempre dedicata a un concerto sinfonico tenuto dall’ orchestra del festival nel Forum am Schlosspark. L’ Orchester der Ludwigsburger Schlossfestspiele fu fondata nel 1972 da Wolfgang Gönnenwein, che fu il direttore artistico della rassegna dal 1972 al 2004, ed è composta da strumentisti provenienti dai migliori complessi della zona. Per il concerto inaugurale di questa edizione, diretto dal trentaduenne bielorusso Vitali Alekseenok, il Forum a Schlosspark era completamente esaurito con la quasi totalità del pubblico che aveva finalmente abbandonato le orrende mascherine, da noi non più obbligatorie a teatro da più di un anno, e un clima generale di festa, di voglia di musica e di dimenticare. Dopo i tradizionali discorsi introduttivi il programma prevedeva l’ esecuzione del Concerto per violino in re maggiore op. 61 di Beethoven. Solista era Diana Tischchenko, trantatreenne strumentista nata i Ucraina e residente a Berlino, formatasi in scuole rinomate come la Hochschule für Musik Hanns Eisler di Berlino e la Kunstuniversität Graz, scelta come Konzertmeisterin della Gustav Mahler Jugendorchester a soli diciotto anni e vincitrice nel 2018 della prestigiosa Long-Thibaud-Crespin Competition. La giovane violinista, che nel 2019 ha pubblicato il suo primo album per la Warner Classics e suona uno Stradivari del 1703, possiede senza dubbio una preparazione tecnica completa come tutti gli strumentisti della nuova generazione. Il suo suono è chiaro, dolce e luminoso, con pochissimo vibrato, non di grande volume ma di buona proiezione soprattutto nella corda di MI. La sua visione del Concerto in re maggiore è di concezione classica, volta a mettere in rilievo le soluzioni di scrittura che Beethoven aveva mutuato da autori come Louis Spohr e Giovanni Battista Viotti. Di buon livello mi è sembrata la resa delle complesse architetture formali del primo tempo concluso da una cadenza davvero virtuosisticamente rimarchevole, molto bello era anche il gioco di sfumature timbriche e pianissimi nell’ Adagio, seguito da un Rondò di squisita eleganza e caratterizzato da un dominio tecnico e stilistico assolutamente impeccabile. In sintesi una prestazione di livello eccellente, ben sostenuta da un accompagnamento orchestrale attentamente calibrato.

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Foto ©Reiner Pfisterer

Nella seconda parte del programma il pubblico di Ludwigsburg ha potuto finalmente ascoltare la Sesta Sinfonia di Tschaikowsky, la celebre Patetica secondo il nome attribuitole dal fratello del compositore, programmata per la scorsa edizione ma poi sostituita da Oksana Linyv che  non se la sentiva di dirigere musiche di un autore russo in un momento storico come quello di oggi. Il bielorusso Vitali Aleeksenok, che ha messo in mostra un gesto chiaro e di grande efficacia oltre che un carisma già ben sviluppato, non si fa evodentemente di questo problemi e affontando questa celebre partitura ne ha dato un’ interpretazione intensa ma assolutamente priva di eccessi retorici, coinvolgente al massimo nei suoi toni di asciutta e drammatica intensità. La visione interpretativa del giovane maestro si richiama senza alcun dubbio alla tradizione della grande scuola direttoriale russa. La sua Patetica non era mai esagerata nei toni ma intensa e assolutamente priva di eccessi retorici, coinvolgente al massimo nei suoi toni di asciutta e drammatica intensità. Quella che abbiamo ascoltato era senza dubbio una lettura molto approfondita e di grande coerenza, soprattutto nella raffinatezza delle scansioni ritmiche ottenuta nel secondo movimento e nel tono intenso e drammatico conferito dal giovane direttore all’ Adagio finale, in cui la sezione archi dell’ Orchester der Ludwigsburger Schlossfestspiele  ha offerto una prestazione davvero decisamente di tutto riguardo, per compattezza di legato e precisione di cavata. Alla fine, dopo lo spegnersi progressivo delle ultime battute, il pubblico è rimasto in silenzio per quasi due minuti prima di una tempesta di applausi rivolti all’ orchestra e al direttore. La musica nasce dal silenzio e al silenzio ritornerà, questo è il messaggio conclusivo lasciatoci dalla serata.


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