Antonio Juvarra – Cantus ordine naturali demonstratus

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Nel suo consueto articolo di inizio mese, Antonio Juvarra ci parla questa volta delle sue teorie a proposito dei principi della fonazione libera da sovrastrutture e artifici. Come sempre, grazie ad Antonio per la collaborazione e buona lettura a tutti.

CANTUS ORDINE NATURALI DEMONSTRATUS

Il canto di alto livello (noto anche come belcanto o canto a risonanza libera, per distinguerlo dalle innumerevoli forme di canto spinto o canto a risonanza forzata, oggi esistenti) è un fenomeno acustico-aerodinamico, scoperto e sviluppatosi in Italia grazie a maestri che ne basarono lo studio sull’ assoluto rispetto della struttura costitutiva naturale della voce cantata. Parlare di struttura naturale della voce può indurre a pensare che si tratti di qualcosa di affine al moderno approccio ‘fisiologico’ alla voce, elaborato dalla foniatria. Niente di tutto questo. La cosiddetta ‘fisiologia della voce cantata’ delle moderne tecniche vocali, ispirate alla foniatria, è infatti una mera sovrastruttura intellettualistica, fatta di controlli muscolari diretti e localizzati. Invece la ‘voce naturale’ del belcanto è l’ adesione intima, di tipo non intellettualistico ma sensomotorio, ai PROCESSI NATURALI che la costituiscono e la generano. Il tutto senza nessuna imposizione di forme statiche, come quelle elaborate dalla razionalità, ma nell’ assoluto rispetto della natura dinamica, mobile e fluida della voce. Non si tratta insomma di ‘fare’ la voce, combinando tra loro dei pezzi staccati come nel gioco del Lego, ma di ‘affidarsi’ al movimento dell’energia. Il cantante belcantistico sale al volo e ‘surfisticamente’ rimane in equilibrio sull’ onda, mentre il cantante foniatrico trasforma razionalisticamente quell’ onda in una serie di blocchetti di ghiaccio.

Sempre aderendo profondamente (e non intellettualisticamente) alla natura, ben presto i maestri del belcanto scoprirono che la voce cantata è il risultato dell’ incontro e dell’ osmosi di due dimensioni:
1 – l’ auto-sintonizzazione del suono, creata dal sistema dell’ articolazione naturale;
2 – la distensione respiratoria e le sue due naturali emanazioni: l’ appoggio e la ‘gola aperta’.
Se l’ interrelazione e l’ indipendenza sinergica di questi elementi non sono garantite, si cadrà automaticamente in una delle tante forme di canto a risonanza forzata, in cui un elemento è subordinato (invece che coordinato) all’altro, cessando così di essere inter-indipendente. Questi aspetti fondamentali sono l’equivalente di quello che, nel caso dello studio del violino, potrebbe essere rappresentato dalla diteggiatura sulla tastiera, dall’appoggio dell’ archetto sulle corde e dai suoi movimenti (arcate).

Ai tre elementi naturali dell’ auto-sintonizzazione, della gola aperta e della distensione-appoggio, la didattica vocale foniatrica ne ha aggiunto altri, di per sé superflui, ‘esterni’ e in molti casi nocivi, che sono:
1 – l’ attenzione rivolta alle corde vocali
2 – il controllo diretto e localizzato delle cavità di risonanza
3 – la ‘proiezione’ e l’ attenzione rivolta alle vibrazioni ‘in maschera’
4 – la respirazione meccanico-muscolare
5 – il ‘sostegno’ volontario (da non confondere con l’ ‘appoggio’ naturale).
Per avere un’ idea della totale sconnessione di questi ultimi riferimenti ‘scientifici’ dalla realtà concreta dell’apprendimento del canto basta pensare a quale potrebbe essere un loro equivalente nel caso del violino, ad esempio lo studio dei muscoli del braccio o la misurazione dello spessore della tavola armonica, e subito avremo la misura dell’ insensatezza di certe trovate ‘scientifiche’. Per altro, non bisogna dimenticare che la voce cantata, a differenza del violino, è uno strumento naturale e quindi si basa su un equilibrio dinamico e flessibile tra due processi fisiologici (l’ articolazione e la respirazione naturale globale), che già funzionano appunto per automatismo naturale e non per attivazione diretta di tipo pseudo-tecnico.

Sulla scoperta e il rispetto della natura dinamica e flessibile e della mobilità acustica della voce cantata si basano i VOCALIZZI. Molti si chiedono perché la voce si debba sviluppare esercitandosi solo sulle vocali dei vocalizzi e non anche sulle consonanti, se poi quando si canta, si usano parole che sono fatte non solo di vocali, ma anche di consonanti. L’ obiezione sembrerebbe sensata, ma non lo è, perché basata sull’ ignoranza del vero rapporto, esistente nella fonazione umana, tra vocali e consonanti, rapporto strutturale di tipo fisiologico che vuole che noi parliamo e cantiamo sulle VOCALI e lasciamo che le consonanti facciano da semplice collegamento tra le vocali, il che significa che vocali e consonanti NON solo sullo stesso piano. Pertanto, focalizzando l’ attenzione sulle consonanti (come molti oggi teorizzano), si altera quello che i foniatri chiamano equilibrio pneumofonoarticolatorio, reso possibile in primis dal rispetto della giusta relazione tra vocali e consonanti, motivo per cui si può affermare che è proprio nell’ enfatizzazione del ruolo svolto dalle consonanti (enfatizzazione sfociata nella trovata dei SOVTE) che sta la grande cantonata e la conseguente inferiorità della didattica vocale moderna rispetto a quella ‘classica’.

Paradossalmente, nonostante il concetto di equilibrio pneumofonoarticolatorio, sono proprio i foniatri a gareggiare tra loro nell’ elaborare gli espedienti che più intaccano questo equilibrio. Di qui il proliferare, nel canto moderno, di esercizi vocali che si potrebbero chiamare ‘consonantizzi’, a base di ‘trilli’ labiali, linguali, muggiti, ronzii ecc. Questi esercizi portano completamente fuori strada (intendendo per strada la strada del canto ad alto livello ossia a risonanza libera) e questo perché l’ allievo, attirato dalla chimera pseudo-scientifica della ‘proiezione’, accentuando artificialmente la dimensione delle vibrazioni frontali (scambiate per ricchezza di armonici), ostacola l’ apertura distensiva della gola (che è la causa della rotondità del suono) e trasforma il processo dell’ articolazione naturale da sintonizzatore automatico in DETONATORE della voce, ottenendo come risultato l’ ipertimbratura del suono, l’ emissione spinta e l’impossibilità di creare il LEGATO. Tutto questo NON succede (come genialmente avevano intuito i belcantisti con la creazione appunto dei VOCALIZZI), se il compito di sintonizzare automaticamente il suono (che è il risultato del movimento articolatorio) viene affidato al solo CAMBIO DI VOCALI E/O DI NOTE. Avendo garantita in questo modo (cioè nel modo più facile) la motilità articolatoria (che è la condizione perché si crei la risonanza libera), il cantante può occuparsi di quella che nel canto è l’ altra faccia della luna rispetto al parlato e cioè l’ apertura duttile della gola. Accentuando invece artificialmente i movimenti articolatori, succede che le consonanti da semplici ponti diventino dighe che distruggono il legato (che è creato dal fenomeno fisiologico per cui si parla e si canta sulle vocali e non sulle consonanti) e impediscono che si stabilisca la doppia indipendenza sinergica, esistente nel canto di alto livello, tra articolazione ed emissione e tra articolazione e apertura della gola.

Ovviamente per ‘vocali’ e cambio di ‘vocali’ ci si riferisce alle vocali pure del belcanto e non quelle ‘oscurate’, ‘mescolate’, ‘adattate’ dello pseudo-canto. Quelli che dicono che nel canto lirico le vocali non devono essere pure, ma ‘mescolate’, ‘adattate’, ‘oscurate’ o ‘arrotondate’, ragionano come chi sostenesse che in un cerchio il centro deve essere ‘allargato’ o che in un atomo il nucleo deve riempire tutto lo spazio dell’ atomo. È infatti il concepimento mentale (pre-razionale) della vocale pura (che non è altro che la vocale parlata) a generare il nucleo di luce del vero suono e l’ articolazione è il prodigioso sistema naturale di sintonizzazione, grazie al quale questo nucleo viene automaticamente e continuamente rigenerato durante il canto, mantenendo agile la voce e producendo quella che è chiamata ‘linea del canto’.
A creare la rotondità del suono è un altro sistema, quello respiratorio, che col fenomeno della distensione-espansione rende rotondo il suono senza spegnere il suo nucleo di luce e senza ingessare la sua mobilità acustica, come succede invece quando le vocali pure vengono distorte allo scopo di ‘arrotondarle’ o, volendo usare un altro eufemismo pseudo-tecnico, allo scopo di ‘adattarle’ (di solito a quel ‘tubo verticale’, grottescamente concepito come modello di spazio di risonanza da certi cantanti).

Passiamo ora ad analizzare singolarmente, partendo dal primo, quelli che abbiamo definito gli elementi costitutivi del canto a risonanza libera:
1 – L’ autosintonizzazione del suono.
Esiste un fattore di autosintonizzazione, intrinseco alla voce, che entra in funzione in due momenti cruciali: 1 – quando si avvia il suono; 2 – quando, nel corso di una frase, si cambiano le vocali e/o le note.
Sia il primo che il secondo momento sono resi possibili dal rispetto dell’ automatismo dei MICROMOVIMENTI con cui si realizza l’ articolazione naturale, fenomeno ‘magico’ il cui equivalente nel violino sarebbe rappresentato dalle dita della mano sinistra, che già si muovono automaticamente per intonare le note, prima ancora che l’ allievo incominci a studiare il violino. A fronte di questo dato di fatto, è incredibile la quantità di tempo e di attenzione sprecata dalla didattica vocale foniatrica per analizzare razionalmente il fenomeno dell’ attacco del suono, producendo storicamente come risultato prima il monstrum del ‘colpo di glottide’ di Garcia, poi la distinzione schematica e meramente astratta tra i vari tipi di attacco (aspirato, glottale e simultaneo), elaborata dalla Estill, per sfociare in fine nell’ utopia più demenziale: le ‘figure obbligatorie’ per il controllo diretto delle corde vocali della stessa Estill. In sintesi: quasi due secoli di astrusità foniatriche, finalizzate ad analizzare un problema (l’ attacco del suono), che era stato già risolto alla radice dai belcantisti con due concetti semplicissimi e sufficienti di per sé a tagliare la testa al toro di ogni complicazione pseudo-scientifica: il “suono franco” (Tosi) e il “suono pronto” (Mengozzi).

Che cosa significa “suono franco” e “suono pronto”? Significa che sul piano della genesi del suono a livello laringeo, non c’ è e non ci deve essere differenza tra attacco del suono parlato e attacco del suono cantato. Entrambi sono e devono rimanere l’ effetto di un automatismo naturale. In altre parole, la modalità di accensione della ‘scintilla del suono’, sia nel parlato sia nel canto, avviene per concepimento mentale im-mediato (cioè senza la mediazione della mente razionale) e non per controllo diretto e localizzato. Tutto questo di per sé è sufficiente per fare piazza pulita delle distinzioni cervellotiche tra attacco glottale, attacco aspirato e attacco simultaneo, distinzioni basate sulla stessa logica di chi stabilisse una distinzione tra due tipi di deambulazione: quella fatta con le gambe e quella fatta con i piedi. Questo perché la foniatria non cessa mai di comportarsi come una ‘scienza’ che, dovendo studiare un gatto, non resistesse alla tentazione (per ‘conoscerlo’ meglio) di smembrarlo, producendo il ‘gatto’ fatto di sole zampe, il ‘gatto’ fatto di sola coda e il ‘gatto’ fatto di solo muso.

Arrivati a questo punto, occorre prendere coscienza che la causa dei molti problemi cui vanno incontro gli allievi di canto nell’attaccare il suono, NON è data dal meccanismo dell’ adduzione cordale in sé (che è appunto un servomeccanismo naturale che funziona perfettamente, senza alcun bisogno né di apprendere come si attacca il suono né di studiare come avviene l’ adduzione delle corde vocali), ma è data da tutto ciò che interferisce con esso: ad esempio, la gola chiusa o la respirazione scorretta. Rispetto all’ autoavvio del suono, queste interferenze rappresentano ciò che, rispetto all’ accensione di un fiammifero, è un soffio di vento. Ora, come è riparando la fiamma dal vento che si risolve il problema dell’ accensione del fiammifero, così è imparando ad aprire la gola e a respirare correttamente che si consente alla ‘scintilla’ dell’ autoavvio naturale del suono di ‘accendere’ l’ energia del canto. Non di certo focalizzando l’ attenzione sulle diverse, astruse e fantasiose modalità di attacco del suono, elaborate dalla pseudotecnica vocale foniatrica.
A questo punto è chiaro che l’ attacco del suono per il cantante diventa una semplice questione di decidere il momento in cui si attua, lasciando che sia il servomeccanismo naturale dell’ autoavvio a generarlo e avendo garantito le condizioni dell’ apertura morbida della gola grazie alla distensione respiratoria. Il momento dell’ inizio del suono è il tempo giusto, quello che i Greci chiamavano ‘kairòs’, ossia quel tempo di cui si dice che un attimo prima è troppo presto e un attimo dopo è troppo tardi. Il suono del belcanto deve nascere infatti “sul fiato”, ossia sul movimento discendente dell’ onda respiratoria, ‘al volo’, il che non significa affrettatamente o precipitosamente (come induce a fare il concetto meccanicistico di “attacco simultaneo”, basato sull’ idea ansiogena e innaturale di dover far coincidere l’ inizio del suono con l’ inizio della fuoriuscita del fiato), ma significa garantire la naturale semplicità e istantaneità (che non è velocizzazione) dell’ auto-avvio del suono senza preoccuparsi di fermare l’ inizio della fuoriuscita del fiato per farla coincidere con l’ attacco del suono, secondo una delle tante idee folli di Jo Estill, che non hanno alcun riscontro con la realtà concreta, empirica degli esseri viventi. Chi si è mai preoccupato infatti, iniziando una frase parlata, di garantire un “attacco simultaneo”? E chi ha mai avuto paura di incominciare una frase con un attacco “aspirato” o “glottale”?

In realtà le nevrosi pseudo-tecniche, prodotte dalla moderna didattica vocale, non hanno spazio nella pratica della comunicazione parlata, così come non ce l’ hanno nel belcanto, belcanto che, nel caso dell’ attacco del suono, ne ha fatto piazza pulita coi succitati concetti, appunto, di “suono franco” e “suono pronto”. Anche per quanto riguarda il movimento articolatorio con cui si cambiano vocali e consonanti, occorre ribadire ciò che si è detto riguardo all’ avvio del suono: trattandosi di un fenomeno naturale, affinché il movimento articolatorio con cui si passa da una vocale all’ altra e/o da una nota all’ altra, possa agire da sintonizzatore automatico della voce, occorre che sia LASCIATO AVVENIRE (e non ‘fatto’). Esso ha la natura di un micromovimento sciolto ed essenziale che, in quanto tale, è quasi invisibile e impercettibile. Questo è il motivo per cui oggigiorno l’ utilizzo dei vocalizzi, da geniale strumento per attingere al segreto acustico della risonanza libera del canto di alto livello, è stato degradato a banale mezzo di riscaldamento vocale, che non elimina, ma rafforza gli errori tecnico-vocali. Se infatti gli altri due elementi strutturali della voce (la ‘gola aperta’ e l’ appoggio) non vengono concepiti e sviluppati in modo da garantire l’ assoluto rispetto di questi micro-movimenti di articolazione-sintonizzazione, i vocalizzi agiranno da rullo compressore che li spiana e li annulla ed è in questo modo che ci si precluderà la possibilità di attingere a una tecnica vocale di alto livello. Un segno, visibile in molti cantanti, del disaccordo esistente tra movimento articolatorio (che secondo Caruso deve rimanere sempre “semplice e naturale”) e apertura dello spazio di risonanza (la gola aperta) è dato dai movimenti ampi per realizzare l’articolazione, movimenti ampi che in tal modo violano il principio di Tito Schipa “parole piccole, mai grandi.” Che cosa significa il motto “parole piccole, mai grandi”? Significa che, disponendo l’ essere umano di una sola mandibola, che serve sia per realizzare l’ articolazione, sia per aprire di più la bocca salendo alla zona acuta, il cantante deve stare attento a tenere distinte la maggiore apertura della bocca che naturalmente interviene nella zona acuta, dalla normalità dei movimenti articolatori. Senza arrivare mai quindi ad ampliare questi ultimi, come succede coi metodi, come l’ affondo, basati sulla predeterminazione statica dell’ apertura della gola.

Al contrario di quanto succede con questi metodi, con la tecnica del belcanto la bocca, pur aprendosi maggiormente nella zona acuta, mantiene sempre l’ armonia, la scioltezza e l’ essenzialità dei movimenti articolatori in tutta l’ estensione della voce e questa caratteristica tecnico-vocale accomuna tra loro cantanti come Tito Schipa, Enrico Caruso e Beniamino Gigli, che hanno anche tramandato per iscritto questa indicazione. Essendo lo spazio di risonanza della voce cantata ‘bicamerale’ ovvero orofaringeo, la condizione perché la semplicità, normalità e armonia dei movimenti articolatori (che derivano direttamente dal parlato) possa essere mantenuta nel canto, è che si sappia aprire correttamente la gola. Premesso che la corretta apertura della gola avviene con un atto non localizzato, meccanico, ma olistico di distensione, che coincide con l’inspirazione, è chiaro che la tradizionale ‘ricetta foniatrica’ (che risale a Garcia) per aprire la gola e che consiste nell’ abbassare direttamente la laringe e nell’ alzare direttamente il palato molle, è il classico modo per NON aprirla correttamente e per creare uno spazio di risonanza rigido e verticale. Il risultato sarà l’alterazione dei movimenti articolatori naturali allo scopo di compensare la distorsione acustica, creata da questo tipo di apertura.
Anche la modalità respiratoria, introdotta nel canto dalla foniatria (col tabù dell’ innalzamento del torace, lo squilibrio in basso creato dall’ idea di ‘abbassare il diaframma’ inspirando e la conseguente compensazione artificiale del “sostegno”, che è a tutti gli effetti un anti-appoggio) rende impossibile quella distensione globale inspiratoria, che è la condicio sine qua non della giusta apertura della gola.

Sintetizzando, da questa analisi risulta evidente come la didattica vocale moderna (e per didattica vocale moderna intendo quella foniatrica, inaugurata da Manuel Garcia jr. nell’Ottocento), col suo approccio intellettualistico e meccanico al canto e con lo stravolgimento di molti servomeccanismi naturali, abbia reso impossibile l’ assimilazione di molti principi tecnico-vocali del belcanto, trasformando lo studio del canto in una vera e propria corsa a ostacoli, là dove il belcanto l’ aveva sempre concepito come un ritorno alla naturalezza, alla semplicità e alla facilità.

Antonio Juvarra


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