
Foto ©Helsingin kaupunginorkesteri
Da tempo io considero Joshua Bell il massimo violinista del nostro tempo. Come mi hanno confermato negli ultimi anni numerosi ascolti dal vivo, nessuno degli strumentisti della nostra epoca può essere paragonato a questo cinquantunenne nativo dell’ Indiana, dotato di strepitosi mezzi tecnici e soprattutto della capacitá di utilizzarli al servizio di una fantasia interpretativa che lo rende in grado di coinvolgere l’ ascoltatore ad un livello che ben poche volte mi é capitato di sentire in un concertista. Qui non è solo questione di tecnica sopraffina, perché quella la possiedono tutti i grandi violinisti della nostra epoca. A fare la differenza è la personalitá, il senso dei colori e del fraseggio e soprattutto la capacitá che ha Bell di far veramente cantare lo strumento, die piegare la tecnica al servizio dell’ espressione con un legato e una dinamica degni dei grandi cantanti lirici del passato. Tutto questo contribuisce a rendere le sue interpretazioni un modello a mio avviso insuperabile al giorno d’ oggi.
In una delle sue prime esibizioni europee dopo il lockdown, tenutasi a Helsinki insieme alla Helsingin kaupunginorkesteri diretta sa Susanna Mälkki e traemessa in diretta streaming, il virtuoso statunitense ci ha fatto ascoltare l’ esecuzione del Concerto N° 2 in re minore di Henrik Wieniawski, nel quale ha offerto una prova assolutamente superba, che ha confermato una volta di più quello che io personalmente penso da anni di lui, e cioè che si tratta, senza discussioni, del massimo violinista attuale, uno dei pochissimi la cui arte non teme confronti con quella dei grandi esponenti storici dello strumento. L’ incredibile bellezza del suono, la tecnica assolutamente di livello superiore e il fraseggio elegantissimo e aristocratico, caratterizzato da un’ infallibile senso del respiro melodico e della flessibilità agogica, pongono il virtuoso statunitense decisamente una spanna sopra tutti gli altri concertisti attuali. Il Concerto di Wieniawski è da sempre un cavallo di battaglia di molti grandi virtuosi dell’ archetto tra cui soprattutto Jascha Heifetz, probabilmente il violinista che ha maggiori analogie con il modo di suonare di Joshua Bell. Fin dall’ attacco del primo assolo nel movimento iniziale, Joshua Bell ci ha fatto ascoltare una sensazionale lezione di virtuosismo e musicalità, sfruttando come sempre al massimo le caratteristiche del suo eccezionale strumento, il celebre Stradivari “Gibson” del 1713 già appartenuto a Bronislaw Hubermann. Incredibile, davvero da brividi, l’ esecuzione del secondo movimento, la Romance – Andante non troppo in re bemolle maggiore, per la perfezione delle sonorità e della concertazione d’ insieme, con l’ orchestra e il solista che si porgevano reciprocamente una serie di timbri e colori di bellezza suprema. Bell, come ho già avuto modo di dire altre volte, fraseggia al violino come un grande cantante, con quella che Stendhal chiamava la “dinamica sfumata”, ossia la capacità di variare in maniera continua e impercettibile il colore e l’ intensità del suono, e la sua classe di interprete di livello assoluto gli consente fraseggi di una cantabilità intensa e ricca di fervore, incredibile per la perfezione del respiro melodico e assolutamente trascinante. Splendida e di altissima classe anche la resa del Finale, per l’ eleganza e la souplesse con cui il virtuoso nativo dell’ Indiana ha risolto tutti i passi virtuosisiticamente impegnativi. Una prestazione davvero sensazionale, che conferma per l’ ennesima volta la statura artistica di questo musicista, uno tra i più grandi che la nostra epoca abbia espresso.

Foto ©Helsingin kaupunginorkesteri
In questa esibizione, speriamo una delle ultime soggette alle inutili e umilianti restrizioni imposte dai governi alle serate concertistiche come l’ assenza di pubblico, il distanziamento e le orribili mascherine, Joshua Bell suonava insieme alla Helsingin kaupunginorkesteri diretta dalla cinquantaduenne Susanna Mälkki, attuale Chefdirigent del complesso dal 2016. Come tanti altri grandi direttori finlandesi anche lei ha studiato con Leif Segerstam alla Sibelius Academy di Helsinki, una scuola da cui proviene una quantità impressionante di direttori attivi presso tutte le grandi orchestre mondiali. Per fare qualche nome, oltre alla Mälkki e a Pietari Inkinen, a Esa-Pekka Salonen e a Santtu Matias Rouvali che dalla prossima stagione sará il nuovo Music Director della Philharmonia Orchestra London, ci sono quelli di Jukka-Pekka Saraste, Osmo Vänskä, Hannu Lintu, Mikko Franck e Sakari Oramo. Credo non esista, in tutto il mondo, un’ altra scuola di direzione che abbia ottenuto simili risultati. Susanna Mälkki collabora da tempo con i Berliner Philharmoniker, è stata la prima donna a dirigere al Met con la prima statunitense dell’ opera L’ amour de loin di Kalja Saariaho e la prima a cui la Los Angeles Philharmonic abbia offerto una nomina a Principal Guest Conductor.
In questa serata Susanna Mälkki ha messo in mostra qualità direttoriali senza dubbio di altissimo livello come gesto, carisma e capacità di ottenere dall’ orchestra sonorità ragguardevoli. Dopo l’ egregia resa della parte orchestrale nel Concerto di Wieniawaski, la musicista finnica ha ufferto una prova decisamente notevole anche nel brano in programma nella seconda parte che era la Grande Sinfonia in do maggiore di Schubert, uno tra i lavori più ostici di tutta la letteratura sinfonica per i problemi che pone all’ orchestra e alla bacchetta riguardo alla definizione dei piani sonori e agli equilibri di fraseggio. Per quanto mi riguarda posso dire di averne ascoltato, in concerto e su disco, almeno una quarantina di versioni, senza mai averne trovato una che mi soddisfacesse sotto tutti i punti di vista. Una partitura enigmatica e sfuggente, terribilmente ostica dal punto di vista tecnico e difficilissima da inquadrare a livello interpretativo. In questo caso, la lettura che ne abbiamo ascoltato era in complesso soddisfacente. Susanna Mälkki ha diretto in maniera molto pulita ed equilibrata e la Helsingin kaupunginorkesteri ha suonato con precisione e lodevole equilibrio di sonorità, soprattutto nel primo tempo in cui i cambi di ritmo prescritti dalla partitura erano realizzati puntualmente e nel vorticoso Finale, assai impegnativo soprattutto per gli archi. Tenendo conto delle difficoltà obiettive poste da una partitura così scabrosa, si trattava di un’ esecuzione assolutamente accurata oltre che di buon livello tecnico e, credetemi, non è merito da poco in un brano come questo.
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