Wiener Staatsoper – Faust

Foto ©Michael Pöhn

La Wiener Staatsoper ha annunciato la riapertura del teatro al pubblico, a partire dal 19 maggio, insieme a quella di tutte le istituzioni musicali viennesi. Nel frattempo, in attesa di questa data, il teatro ha presentato quella che dovrebbe essere – speriamo definitivamente, senza dover assistere ai grotteschi retromarcia che abbiamo dovuto sopportare finora – l’ ultima premiere a sala vuota. Si trattava della messinscena del Faust di Gounod firmata da Frank Castorf, originariamente concepita per la Staatsoper Stuttgart dove andò in scena nell’ ottobre del 2016 con un notevole successo di pubblico e di critica. In quella occasione io espressi parecchie riserve sul Konzept scenico ideato dal controverso regista berlinese, soprannominato Frankie aus dem wilden Osten secondo un’ arguta definizione del giornalista tedesco Axel Brüggemann. In occasione di quelle recite, molto discutibile mi parve il taglio politico conferito da Castorf alla vicenda, ambientata in questo allestimento a Parigi, raffigurata tramite una struttura scenica rotante ideata ideata da Alexandar Denic che rappresenta uno spaccato del quartiere di Montmartre, con una raffigurazione stilizzata della scalinata e della Basilique du Sacré-Cœur che sormontano un ambiente formato dall’ entrata della stazione metro di Place Stalingrad situata vicino al Boulevard de La Villette, da un paio di bistrots e da una cabina telefonica. La storia è cronologicamente postdatata al tempo della guerra d’ Algeria e della crisi della Quarta Repubblica in un ambiente di sottoproletariato formato in prevalenza da militari, femmes de petit vertu ed esistenzialisti dediti alla lettura di poeti maledetti come Rimbaud e Verlaine, i cui testi Castorf fa declamare dai personaggi in due o tre occasioni. Valentin, il fratello di Marguerite, diviene un militare dei reparti coloniali e Siebel, l’ innamorato respinto della ragazza, diventa, in omaggio al clima dell’ epoca, una lesbica. E qui ci sarebbe un appunto da fare al regista: non sembra poco credibile che un legionario francese, quindi sicuramente una persona non proprio di mentalità aperta, permetta che la sorella frequenti un’ amica di dichiarate tendenze saffiche?

Foto ©Michael Pöhn

Anche il personaggio di Marguerite è apparso pesantemente svisato e penalizzato da una concezione registica che trasformava la ragazza ingenua goethiana in una sorta di milf dedita a una vita sregolata, sempre in omaggio al taglio politico-esistenzialista scelto da Castorf nella sua lettura scenica. Una parte rilevante della vicenda si svolge nella parte posteriore dell’ impianto scenico e viene mostrata al pubblico tramite schermi video, con un effetto che nella ripresa streaming funziona decisamente meglio che in teatro, dove sembrava in complesso disturbante. Ma tutta la messinscena guadagna in modo sensibile dalla ripresa televisiva, che anche grazie all’ ottimo lavoro compiuto da Martin Andersson, responsabile delle riprese video, consentiva di focalizzare molto meglio i punti salienti della messinscena. A me comunque lo spettacolo continua a non convincere pienamente, e anche dopo questa nuova visione rimango dell’ idea che Castorf in questa produzione ci abbia semplicemente riproposto un ricalco di quelle tirate anticapitalistiche tipiche di quel teatro politicizzato che la mia generazione ha dovuto sorbirsi a tonnellate durante gli anni Settanta e, in definitiva, un tipico prodotto di un’ avanguardia che si è cristallizzata divenendo essa stessa istituzione. Aggiungo, per chiudere il discorso sulla parte scenica, che la produzione era esattamente quella vista a Stuttgart quattro anni e mezzo fa, in quanto la Wiener Staatsoper nelle sue produzioni non applica nessuna delle ridicole mutilazioni sceniche spacciate dalle autorità per criteri di sicurezza: l’ orchestra in buca era a pieno organico e sulla scena i cantanti recitavano in maniera assolutamente normale, senza posizionarsi a dieci metri l’ uno dall’ altro o altre simili assurdità.

Foto ©Michael Pöhn

La parte musicale era naturalmente del tutto diversa da quella delle recite a Stuttgart, e il risultato complessivo è stato in complesso buono per merito principale di Bertrand de Billy, cinquantaseienne direttore parigino considerato tra le bacchette più prestigiose della nostra epoca, ospite regolare di tutti i massimi teatri del mondo e strettamente legato al teatro viennese dove ha diretto parecchie produzioni. Io l’ avevo ascoltato proprio alla Wiener Staatsoper nella celebre produzione del Don Carlos eseguito seguendo la versione originale francese, con il controverso ma indubbiamente geniale allestimento di Peter Konwitschny, poi in una nuova produzione del Faust precedente a questa oltre che in un Parsifal trasmesso per radio dal Teatro Regio di Torino e successivamente in un concerto con la Staatsorchester Stuttgart, riportandone sempre impressioni molto positive. Si tratta di un musicista dotato di mezzi tecnici solidi e sicuri oltre che di un temperamento interpretativo originale, che lo rende capace di trovare sempre soluzioni esecutive eleganti e raffinate. Il repertorio del cosiddetto grand opéra presenta sempre il rischio di caricare troppo le tinte e i toni sino a finire nel kitsch e nella retorica esagerata; la miglior lode che io possa fare al maestro francese è proprio quella di aver evitato tutto questo con un tono interpretativo molto misurato, di giusta e intensa drammaticità senza mai scadere in toni troppo plateali. De Billy marca molto bene il passo teatrale dell’ esecuzione, conferisce il giusto grado di passionalità alle scene d’ amore e realizza la progressione drammatica della vicenda con un tono narrativo intenso, serrato e stilisticamente inappuntabile, supportato dalle masse orchestrali e corali della Wiener Staatsoper apparse in eccellente stato di forma.

Naturalmente, essendo il Faust un’ opera in cui i valori vocali giocano un ruolo di fondamentale importanza a dispetto di tutti i registi del mondo, il buon esito di un’ esecuzione della partitura di Gounod dipende in larga misura dalla compagnia di canto. L’ unico elemento rimasto del cast originale era il trentasettenne basso polacco Adam Palka, che come aveva già fatto a Stuttgart anche qui ha colto alla perfezione il carattere ironico e sarcastico della figura di Méphistopheles evidenziandolo con una finezza di fraseggio davvero molto notevole e un carisma scenico di grande incisività, oltre a mettere in mostra un mezzo vocale sicuramente pregevole per timbro e risonanza anche se il suono si indurisce nelle note del settore acuto. Juan Diego Florez ha delineato un protagonista senza dubbio notevole per eleganza nel porgere e proprietà stilistica, oltretutto con una pronuncia francese davvero impeccabile. Io ad ogni modo continuo a non essere completamente convinto dalla svolta di repertorio intrapresa dal tenore peruviano in questi ultimi anni visto che nel canto spianato si evidenziano il vibrato stretto e la scarsità di consistenza delle note centrali tipici della voce di Florez, molto meno evidenti nelle parti rossiniane da tenore di coloratura. Anche il settore acuto, di solito il punto di forza nel canto dell’ artista sudamericano, suona abbastanza sforzato in questo tipo di tessiture. In ogni caso, la concentrazione espressiva del fraseggio e l’ impegno nella recitazione facevano apprezzare un ritratto di Faust nel complesso ragguardevole anche se non del tutto completo. Nicole Car, trentaseienne cantante australiana ospite regolare dei grandi teatri internazionali, era Marguerite. La voce è abbastanza interessante per timbro e consistenza, anche se nell’ air des bjioux i lievi ma evidenti impicci nelle fioriture facevano pensare che con il canto di coloratura questa ragazza non abbia proprio stretto un patto di intima amicizia. Nelle scene successive invece si facevano apprezzare la carica passionale del fraseggio e l’ intensità della recitazione. Positiva anche la prova del baritono francese Étienne Dupuis come Valentin soprattutto per alcuni bei momenti di fraseggio concitato in pagine come il terzetto e la scena della morte. Buona anche la prova di Kate Lindsey nei panni (in questo caso saffici) di Siebel così come quella di Martin Häßler come Wagner e di Monika Bohinec come Marthe, un personaggio di cui Castorf non sapeva palesemente che farsene visto il modo in cui la utilizzava, quasi esclusivamente da riempitivo scenico e declamatrice di tirate poetiche. Le prossime recite di questa produzione si terranno alla presenza del pubblico e sicuramente la resa dello spettacolo dovrebbe guadagnarne in termini di intensità.


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