Antonio Juvarra – “Il tallone d’ Achille di Jonas Kaufmann”

Foto ©Gregor Hohenberg/SONY Classical

In questo post, sicuramente di grande interesse, Antonio Juvarra analizza dal punto di vista tecnico la vocalità di Jonas Kaufmann, il tenore bavarese che dal pubblico è acclamato come la migliore voce del momento. Avendo io espresso più volte nei miei resoconti parecchie ampie riserve sul canto di Kaufmann, non posso che sottoscrivere in pieno il punto di vista del docente di canto veronese. Buona lettura a tutti.

 

IL TALLONE D’ ACHILLE DI JONAS KAUFMANN

 

https://www.youtube.com/watch?v=mux54NHtCnQ&feature=share&fbclid=IwAR3Xkfje_h8PrNZIKpKyjzbNxt46_5wJH51fEWgAHHSboyd-huZS0M0obas

Il tallone d’Achille cui allude il titolo di questo articolo, riguarda la tecnica vocale di Jonas Kaufmann, il più celebrato e criticato tenore di questi tempi. Occorre per correttezza far precedere l’ analisi da due riconoscimenti, il primo dei quali esula dall’ ambito della tecnica vocale:

1 – se dovessimo scegliere dei tenori che siano espressione del senso teatrale e musicale di quella forma artistica chiamata opera, ai primi posti ci sarebbe Kaufmann (e agli ultimi posti ci sarebbe Bocelli);

2 – accostare il peggior Kaufmann al miglior Del Monaco, come ha fatto l’ autore di questo video, non è propriamente un esercizio di fair play, tuttavia, lasciando da parte i confronti e le graduatorie, l’ operazione può risultare utile per focalizzare quello che potremmo definire il punto di maggior divergenza di Kaufmann dalla tecnica vocale italiana storica, ciò che costituisce appunto il suo tallone d’ Achille.

Come è noto, esistono due Kaufmann: un primo Kaufmann, dalla voce non ancora scurita (artificialmente), quale è testimoniato dal video dell’ aria di Ferrando dal Così fan tutte, e un secondo Kaufmann, dal timbro baritonale, che è quello che è assurto a fama mondiale. In un’ intervista Kaufmann ha affermato che il suo primo modo di cantare si basava sul principio del suono ‘in maschera’, il che gli procurava, come già aveva testimoniato Corelli su di sé, un senso di costrizione. È bene ricordare a questo proposito che la ‘maschera’ è un espediente del tutto estraneo alla tecnica vocale italiana storica. Ora se pensiamo che questa superstizione paleo-scientifica, introdotta nel canto dai foniatri francesi dell’ Ottocento, è stata scambiata per una verità anche da grandissimi cantanti intelligenti del Novecento (Pertile a Lauri Volpi in primis), è possibile rendersi conto del grado di condizionamento culturale esercitato dalla didattica vocale foniatrica (che nulla ha a che fare col belcanto) e, viceversa, del grado di indipendenza intellettuale dimostrata da quei pochi cantanti (tra cui Caruso), che rigettarono la ‘maschera’, riconoscendola per quello che è: il mezzo artificiale con cui, esasperando uno dei due poli della voce, si ottiene come risultato quello di sopprimere o comunque ridurre il polo opposto della rotondità e della morbidezza.

Come ho documentato nel mio libro ‘Le teorie tecnico-vocali di Mario Del Monaco e Franco Corelli’ (Editore ‘Ut Orpheus’), fu proprio la (giusta) diffidenza di Corelli verso il concetto di ‘maschera’ a indurlo ad allontanarsi da Lauri Volpi (suo convinto assertore) dopo molti anni di devoto “pellegrinaggio” tecnico-vocale da lui in Spagna, dove per altro apprese, come egli onestamente riconobbe, anche importanti principi belcantistici autentici (e non farlocchi come la ‘maschera’). Per ovviare agli inconvenienti della ‘maschera’, nella prima metà del Novecento nacque la tecnica dell’ affondo, ma questa non rappresentò la soluzione del problema, bensì lo squilibrio di segno opposto o addirittura (in quei casi in cui paradossalmente si sia mantenuto il concetto di ‘maschera’ come mezzo per compensare la riduzione della brillantezza, causata dall’ affondo) la somma dei due squilibri. Il ‘fatal error’ dell’ affondo consistette infatti nel non aver capito, in primo luogo, che l’ apertura della gola e la rotondità del suono non c’entrano nulla con lo scavo in basso e con l’ abbassamento diretto della laringe, e, in secondo luogo, che la potenza del suono non c’entra nulla con l’ ingrossamento del suo nucleo e con la corposità.

A determinare il passaggio dal primo al secondo Kaufmann fu l’ incontro con un maestro di canto americano, che viveva in Germania e che propugnava i principi di naturalezza, rilassamento e risonanza totale della voce. Formulati così, questi principi sembrerebbero gli stessi della tecnica del belcanto italiano, senonché il risultato acustico appare ben diverso e per accertarsene basta paragonare il timbro solare dei tenori educati con la scuola italiana, col timbro, non tanto brunito quanto fuligginoso di Kaufmann. Come si spiega questa divergenza? Si spiega come un eccesso di reazione (di per sé giusta) all’idea della ‘maschera’. Più precisamente, una volta ricondotta erroneamente la brillantezza naturale della voce alla costrizione della ‘maschera’ e del suono ‘avanti’, Kaufmann ha incominciato, per reazione e ipercompensazione, a ‘sguazzare’ nel polo opposto della rotondità e della ‘distensione verticale’. Infatti, poiché a conferire rotondità al suono è la gola, che è verticale, è facile esagerare il senso della rotondità del suono e di conseguenza perdere la relazione dinamica che esso deve sempre mantenere col polo opposto della brillantezza, nel qual caso lo squilibrio si manifesterà acusticamente come suono più o meno ‘intubato’ e visivamente come un’ apertura della bocca prevalentemente in verticale, che è appunto quella che si nota in Kaufmann e che è anche il risultato a cui portano tutti quegli espedienti tecnico-vocali, che mirano a ‘rilassare in basso’ e ‘sganciare’ la mandibola e a formare uno spazio di risonanza sul modello della vocale ‘O’.

Occorre chiarire a questo proposito che a determinare l’ effetto ‘intubamento’ non è il fatto di aver ‘lasciato andare indietro il suono’, cioè l’ aver utilizzato lo spazio di risonanza della gola per dare rotondità al suono (operazione di per sé del tutto legittima e divenuta tabù solo a partire dall’ invenzione della ‘maschera’), ma è il fatto di aver verticalizzato la forma dello spazio di risonanza. A sua volta la verticalizzazione è il risultato del moderno espediente foniatrico dell’abbassare direttamente la laringe e alzare direttamente il palato molle. La necessità di evitare questo inconveniente era chiarissima alla vera scuola di canto italiana e a ribadirla con una formula perfetta sia dal punto di vista teorico che pratico, fu nell’ Ottocento il maestro di canto Francesco Lamperti, coetaneo di Verdi, che nel suo metodo prescrisse:

“formare la vocale A nel fondo della gola, stando attenti che NON si trasformi in O”.

In sintesi: niente tabù della gola (ricordiamo che Lamperti incluse il suono “in maschera” e il suono “frontale” nella lista dei “DIFETTI principali della gola”), ma neppure nessuna verticalizzazione dello spazio di risonanza e nessun oscuramento diretto del suono, e questo rappresenta il punto di massima divergenza della scuola del belcanto italiano dalla neo-scuola del canto foniatrico, nata in Francia in quel periodo. A questo punto è evidente che se la formula di Lamperti sopra citata viene trasformata o nella formula dei fautori della ‘maschera’ (che, volendo ricorrere a una parafrasi, sarebbe: “formare la vocale A sul palato duro, stando attenti che non arretri nella gola”) oppure nella formula dei fautori dell’ ‘affondo’ (che sarebbe: “formare la vocale A nel fondo della gola, stando attenti che si trasformi in O”), non si potrà mai generare la risonanza libera del belcanto, ma solo la risonanza forzata, tipica di ogni suono mal sintonizzato. Fautore della seconda formula nonché ‘testimonial’ della scuola foniatrica francese della prima metà dell’ Ottocento, fu il tenore Gilbert Duprez, il quale nel suo trattato di canto scrisse che la vocale A deve essere pronunciata come la A della parola francese “ame”, cioè con una A scurita e mista a O. Insomma, esattamente il contrario di ciò che aveva raccomandato Francesco Lamperti, quello che, non dimentichiamo, fu definito dal soprano canadese Emma Albani, sua allieva, “il più grande maestro del VERO metodo italiano”. A dispetto di Lamperti, purtroppo la didattica vocale successiva imboccherà la strada foniatrica, che, non dimentichiamo, è all’ origine (con una sorta di schizofrenia, inaugurata con la teoria di Garcia del “timbro chiaro” e del “timbro scuro”) sia del modello del suono ‘avanti’, ‘in maschera’, sia del modello del suono ‘verticalizzato’ e ‘coperto’, che è appunto quello adottato da Kaufmann.

Perdere il rapporto con il polo della brillantezza naturale del suono (che è quel fattore acustico che fa ‘correre’ la voce, rendendola udibile in ampi spazi, e che non c’ entra nulla né con la ‘maschera’ né col suono ‘proiettato’) comporta l’ obbligo di compensare artificialmente questo deficit ‘spingendo’, ovvero ricorrendo a tensioni muscolari non necessarie, ed è ciò che si nota in maniera evidente in questo video. Questo perché, com’è noto, i nodi vengono sempre al pettine e nella voce cantata questo ‘pettine’ è rappresentato dal registro acuto. Qui Kaufmann ‘arranca’ in maniera visibile. Questo proprio perché, avendo accentuato fuori misura la verticalità dello spazio di risonanza, si è privato di quel ‘senso orizzontale’ che coincide con la brillantezza naturale del suono e promana direttamente dal fatto che a generare questa qualità del suono è la cavità della bocca, che è orizzontale. Secondo la scuola di tradizione italiana il simbolo e il generatore di questa dimensione del suono è il ‘sorriso interno’, che non a caso è del tutto assente in Kaufmann, mentre era un elemento tecnico-vocale prescritto esplicitamente da un cantante come Caruso, che non peccava certo per mancanza di rotondità del suono né per schiarimento del timbro, a dimostrazione del fatto che a suscitare la brillantezza naturale del suono non è l’ anteriorità della ‘maschera’, ma l’ orizzontalità, la quale, a differenza dell’ anteriorità, non si pone in antitesi con il polo ARRETRATO della rotondità del suono, creata dall’ apertura della gola, e quindi non determina né l’ inconveniente del suono brillante ma schiacciato, né l’inconveniente del suono rotondo ma intubato. Solo nei diminuendo (ad esempio all’inizio di questo video) e, soprattutto, nella zona acuta si nota come, quasi istintivamente, al fine di recuperare in qualche modo un po’ di brillantezza che dia un minimo di smalto al suono, Kaufmann ricorra a una sorta di ‘colpo di reni’ atletico, orizzontalizzando improvvisamente la forma dello spazio di risonanza, operazione però che, proprio perché fatta in extremis e bruscamente, senza essere stata prima integrata armoniosamente e progressivamente con la dimensione opposta, funge solo da toppa che copre (male) un buco.

Diversamente da Kaufmann, i tenori della vera scuola italiana (i Gigli, i Pertile, gli Schipa, i Bjoerling e oggi i Florez, giusto per fare qualche nome) anche nella zona più impervia della voce danno sempre l’impressione di ‘scivolare’ e ‘sorvolare’ con ‘nonchalance’ la frase musicale senza le faticose marce forzate in salita, cui invece lui deve ricorrere. Come abbiamo visto, queste due diverse modalità tecnico-vocali corrispondono a due fenomeni acustici opposti, che sono, rispettivamente, la RISONANZA LIBERA e la RISONANZA FORZATA. La prima è quella che caratterizza la tecnica del belcanto ed è resa possibile dalla giusta interrelazione tra la sintonizzazione, che genera il suono puro, da una parte, e lo spazio di risonanza arretrato, che lo arrotonda, dall’ altra. A sua volta la sintonizzazione del suono puro può avere luogo solo se il movimento di articolazione si svolge nella modalità fluida ed essenziale del parlato naturale, senza essere alterato o stravolto dalla verticalizzazione dello spazio di risonanza, creata artificialmente appunto per indulgere nella rotondità del suono a scapito della brillantezza. Il giusto ‘senso orizzontale’, che genera la brillantezza del suono, è facilitato, come abbiamo visto, dal ‘sorriso interno’, il quale a sua volta rende possibili due fenomeni importantissimi: lo svolgersi dell’ articolazione nel suo naturale senso ‘circolare-orizzontale’ come nel parlato (e NON in senso verticale!) e la giusta apertura della gola nella zona acuta, apertura percepita anch’essa come allargamento orizzontale (e NON come allungamento verticale sul modello foniatrico, fatto proprio da Kaufmann, dell”alza-il-palato-molle-e-abbassa-la-laringe’). Solo a queste condizioni il polo della brillantezza-concentrazione co-esiste e co-agisce col polo opposto della rotondità-spaziosità, altrimenti invece che FUSIONE degli opposti si avrà LOTTA degli opposti, lotta in cui o la brillantezza prevarrà sulla rotondità (come succede con la ‘maschera’) o la rotondità prevarrà sulla brillantezza (come succede nell’ ‘affondo’).

La differenza tra le due tecniche vocali, quella belcantistica del suono puro e “sferico”, e quella foniatrica del suono scurito e “verticale”, adottata da Kaufmann, è spiegata bene in questo brevissimo video da Juan Diego Florez.

E’ bene chiarire a questo proposito due concetti importanti:

1 – Il concetto di “voce chiara”, esposto qui da Florez, non è da intendersi come schiarimento del timbro (dato che il cantante non deve fare nulla né per scurire né per schiarire intenzionalmente il suono), ma è da intendersi come SUONO LIMPIDO (quello che Lauri Volpi definiva “suono sorgivo”, in opposizione al “suono retorico”, e Caruso definiva “suono vero”) e quindi, derivando direttamente dalla voce parlata, non è altro che la VOCALE PURA e NON la vocale geneticamente modificata (A+O, E+U, I + U ecc.), espediente quest’ ultimo escogitato da Garcia per arrotondare artificialmente il suono, col risultato di opacizzarlo e e ingrossarlo. In realtà ad aggiungere al suono limpido e lucente la vera brunitura (quello del ‘chiaroscuro’ belcantistico) non è l’ intenzione di scurire direttamente il suono o di modificare le vocali, ma è la distensione inspiratoria che apre la gola e ammorbidisce l’ emissione.
Analogamente il concetto di “proiezione”, usato qui imprudentemente da Florez, non è da intendersi in senso letterale, altrimenti il risultato sarà la voce spinta, ma è da intendersi in senso traslato, come ‘miraggio acustico’ generato dalla qualità della brillantezza del suono puro (la “natural chiarezza e facilità” di Mancini), che nella zona acuta automaticamente diventa ‘squillo’.

2 – Questa tecnica vocale è una tecnica UNIVERSALE e quindi è la tecnica che dovrebbero adottare sia le voci leggere sia le voci drammatiche e a dimostrarlo è il libretto sul canto, scritto da Caruso, dove incredibilmente ritroviamo tutte le indicazioni, date in questo video e nelle sue masterclass da Florez, eccezion fatta per il concetto (moderno) di “suono avanti” e di “proiezione”, da cui invece Caruso, a differenza di Florez, si tiene saggiamente alla larga. Rispetto agli altri due tenori del Novecento che hanno scritto di tecnica vocale (Pertile e Lauri Volpi), Caruso è l’ unico a NON parlare di “maschera” e a parlare invece dell’ importanza della gola aperta, a proposito della quale scrive:

“occorre consapevolmente aprire la gola dietro, perché la gola è la porta da cui la voce deve passare e se non è sufficientemente aperta, è inutile cercare di ottenere un suono pieno e rotondo.”

È questa un’ affermazione che sarebbe sicuramente condivisa anche da Kaufmann, solo che la domanda che sorge spontanea a questo punto, è: perché in Caruso non si notano gli effetti negativi di opacizzazione e intubamento, riscontrabili in Kaufmann? La risposta è facile: perché Caruso, a differenza di Kaufmann, ha fatto proprie le regole belcantistiche sia della “pronuncia semplice e naturale” (come lui la chiamava), sia del sorriso interno, che sono le condizioni perché si realizzi l’ indipendenza sinergica tra articolazione, emissione e apertura dello spazio di risonanza. La differenza in termini di risultato dei due approcci è, da una parte, la “voce spiegata” della tecnica del belcanto e, dall’ altra, la “voce intubata” della tecnica foniatrica. Stabiliti questi principi belcantistici, vediamo come Kaufmann al minuto 00.49 di questo video riesca a violarli tutti, cantando le frasi “svanì per sempre il sogno mio d’amore. L’ora è fuggita e muoio disperato, e non ho amato mai tanto la vita”. In situazioni musicali come queste, cioè di ‘sostenuto’ in zona acuta, si aprono davanti al cantante due strade tecnico-vocali: quella della declamazione abbaiata ed enfatica, che è effetto-causa di distorsione acustica, e quella del nobile ‘dire sul fiato’ all’ italiana, che genera la risonanza libera del belcanto e che Lauri Volpi (quando si svegliava dall’ipnosi della ‘maschera’ francese e tornava ad essere un belcantista italiano..) definiva felicemente “suono calmo, sferico, leggero, potente” (invece che suono ‘proiettato’, ‘palatale’ e ‘immascherato’).

Delle due strade è evidente quale prende Kaufmann e si tratta di una strada obbligata. Infatti mentre nel centro della voce, dove non c’è bisogno di un’ espansione completa dello spazio di risonanza, la sua articolazione riesce a mantenersi abbastanza “semplice e naturale” (Caruso), nella zona acuta invece deraglia, costretta com’è ad ‘ampliarsi’ abnormemente a causa di un’ apertura errata dello spazio di risonanza, rimanendone quindi subordinata, il che provoca un immediato offuscamento-oscuramento del suono. In questo modo spariscono la spontaneità e genuinità del momento del ‘dire’ (le “parole piccole, mai grandi di Schipa”), sostituite da un’ enfasi retorica, scambiata per drammaticità, che appiattisce tutto e comporta inoltre un notevole dispendio di voce, che si riflette anche nel volto, attraversato da tensioni evidenti.
A questo proposito occorre far presente per correttezza che il volto molto più disteso che in questo video caratterizza invece sia Corelli che Del Monaco (per altro con un’apertura della bocca esageratamente ‘verticale’ nel caso di Corelli), si spiega anche col fatto che, a mio avviso, qui i due tenori italiani stanno cantando in play-back. Ciononostante, è possibile percepisce anche uditivamente che, soprattutto nel caso di Del Monaco, l’ articolazione è diversa da quella di Kaufmann: si tratta cioè di un’ articolazione che, rimanendo sciolta ed essenziale, non solo agisce da sintonizzatore automatico del suono puro, mantenendo la brillantezza naturale della voce e nella zona acuta lo squillo, ma consente anche un legato, che in Kaufmann, in questa parte finale della romanza, è del tutto assente. È singolare per altro il fatto che a presentarsi qui come esempio di suono limpido e di canto legato sia un cantante come Del Monaco che, almeno a parole, ha sempre teorizzato il canto declamato e la pronuncia ‘scolpita’. A ‘scolpire’ le parole qui paradossalmente è invece proprio Kaufmann e il risultato si vede e si sente sotto forma di detonazioni e di colpi, che, oltre a distruggere il legato, impediscono che ogni nota nasca sul movimento della nota precedente, sfruttando così la forza d’ inerzia, come implica il concetto belcantistico di ‘canto sul fiato’. È interessante notare a questo proposito come Del Monaco una volta ebbe a indicare come modello di “pronuncia scolpita” il tenore Aureliano Pertile, il quale invece, pur essendo un esempio fulgido di vero canto drammatico, nel suo trattato di canto precisa significativamente (al contrario di quanto teorizzato dal Del Monaco del periodo affondistico) che NON bisogna accentuare la scansione delle parole, altrimenti la voce va fuori strada. La differenza tra, da una parte, l’ accentuazione meccanica della pronuncia, che segmenta la frase musicale, e, dall’ altra, l’ ANIMAZIONE indiretta della parola, che mantiene l’articolazione sciolta e armoniosa e al contempo garantisce un certo grado di legato pur declamando, è ciò che qui distingue, rispettivamente, Kaufmann da Del Monaco, a tal punto da far sembrare il primo e non il secondo un fautore della tecnica dell’ affondo. La differenza tra le due tecniche vocali era perfettamente nota anche ad Aureliano Pertile, che nel suo trattato descrive lucidamente la tecnica basata sulla declamazione e l’ingrossamento artificiale dello spazio di risonanza con queste parole: “Apertura di gola eccezionale, laringe completamente abbassato, colore di voce rotondeggiante, lievemente baritonale”: Pertile prosegue poi nella sua diagnosi, specificando che questa tecnica vocale “toglie coloriti alla tavolozza dei suoni vocali, fa spendere molte energie, consuma molto fiato ed è di difficile controllo poiché tende sempre ad ingrossare il suono.”

E con queste parole è come se Pertile avesse delineato profeticamente l’ identikit di Kaufmann e del suo tallone d’ Achille tecnico-vocale, quale si evidenzia nel video proposto in apertura.

Antonio Juvarra


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