Antonio Juvarra – La dinamica del suono ai fini dello sviluppo della voce

Iniziamo il mese di ottobre con il nuovo contributo inviatomi da Antonio Juvarra, questa volta dedicato alla dinamica del suono e alle sue conseguenze sull’ impostazione tecnica della voce. Buona lettura a tutti e come sempre grazie ad Antonio per la sua collaborazione.

LA DINAMICA DEL SUONO AI FINI DELLO SVILUPPO DELLA VOCE

Forse per una sorta di reazione alla modalità gridata che caratterizza molti tipi di emissione vocale, alcuni teorizzano che la voce debba essere educata con la dinamica del piano o della mezza voce invece che con quella del forte. Un approccio di questo tipo sembrerebbe sensato, ma in realtà comporta il rischio che la voce non entri in contatto con l’ energia che crea il canto. Questo è ciò che pensavano della questione anche i classici del belcanto Tosi e Mancini, dove si legge che la voce va esercitata più col forte che col piano. L’ affermazione può lasciare perplessi i moderni, abituati a concepire il forte come forte ‘spinto’ e ignorando che anticamente si dava per scontata la distinzione tra il forte ‘spinto’, che è un FAR risuonare la voce, e il forte ‘naturale’, che è un LASCIAR risuonare la voce. Perché i belcantisti raccomandavano di educare la voce prima col forte o mezzoforte naturale e poi col piano? Perché l’ equilibrio naturale della voce prevede che il ‘regime normale’ della fonazione si basi sul mezzoforte del parlato, mentre il sussurrato e il bisbigliato rappresentano delle eccezioni. In altre parole la realtà ci dice che il suono della voce umana, quale prende forma con l’ apprendimento del linguaggio, non nasce affatto dal piano. Infatti il bambino che impara a parlare, non fa le sue lallazioni né gridando né bisbigliando, ma usando il MEZZOFORTE NATURALE della voce e questa constatazione è sufficiente a sgomberare anche le assurde idealizzazioni di cui è stato fatto oggetto, come presunto modello fonatorio, il pianto del neonato, pianto che, non dimentichiamo, non è altro che un grido di allarme che in certi casi può portare anche alla formazione di noduli alle corde vocali. In altre parole il mitico neonato che piange per tutta la notte, facendosi sentire a distanze chilometriche senza farsi nulla alle corde vocali, è appunto il personaggio di un mito. Nella realtà è semplicemente un essere umano che, né più né meno, urla fino a sgolarsi, così come farebbe un qualunque cantante allo sbaraglio, che nulla sa di tecnica vocale. Insomma il modello fonatorio da cui scaturisce il canto non è né il grido né il bisbiglio, ma il parlato. Questo per il semplicissimo motivo che il requisito fondamentale del processo comunicativo del parlare è l’ udibilità della voce sulla base del principio di funzionalità naturale, noto come ‘massima resa e minimo sforzo’. Analogamente l’ allievo che incomincia a studiare canto parte dalla presa di coscienza e dal controllo di quella qualità del suono che è generata naturalmente dal parlato (ed è la base dell’ udibilità della voce cantata e parlata) e questa qualità è la brillantezza. Solo in un secondo momento, dopo aver acquisito un completo possesso di questa qualità appunto originaria del suono, si può introdurre la componente del piano. Questo in base alla stessa logica NORMALE, per cui diciamo che l’ombra NON è la causa della luce, che il lievito NON è la base del pane e che l’ olio NON è il combustibile che fa correre le macchine.

Con la prima modalità (il mezzoforte naturale del parlato) si garantisce quindi il giusto contatto con l’ energia del canto, mentre invece con la seconda modalità (il sussurrato-bisbigliato) si rimane distanti dall’ energia, così come succede se un motore viene acceso, ma rimane in folle. Questo è il motivo per cui se la voce viene educata prima (o solo) col piano, si rischia non solo di ottenere una sonorità vuota, ma anche di inibire la capacità di passare dal livello dinamico del piano a quello del forte, cioè si rischia che la voce rimanga ‘in folle’. Qual è il giusto contatto con l’ energia che crea naturalmente suoni potenti senza bisogno di ‘spingere’? È il contatto dolce, che equivale all’ ‘accensione’ dell’ energia grazie a una semplice scintilla, ‘scintilla’ che nel canto è rappresentata dall’ AUTO-AVVIO immediato del suono parlato.  Si parla metaforicamente di scintilla, perché, a seconda di ciò con cui viene messa a contatto, una scintilla può accendere una fiammella o determinare un’ esplosione. Analogamente l’ auto-avvio naturale del suono parlato, chiamato dai belcantisti “suono franco” e “suono pronto”, se applicato a una frase situata nella zona centrale della voce, darà origine a un suono tra il mezzoforte e il mezzopiano, mentre se applicato a una frase situata nella zona acuta della voce (e per la quale non ci siano indicazioni di piano o pianissimo), naturalmente e in automatico darà origine a un forte o un fortissimo. Questo perché la voce è l’ unico strumento musicale strutturato in modo tale che la semplice ascesa nella zona acuta determina un progressivo aumento dell’intensità del suono, ovviamente a condizione che si siano garantiti l’ apertura dello spazio di risonanza (la cosiddetta ‘gola aperta’) e il giusto ‘appoggio’. La qualità del suono che emerge progressivamente salendo alla zona acuta è la brillantezza naturale (da distinguere dalla moderna brillantezza artificiale del suono ‘proiettato’ avanti). La brillantezza naturale diventa automaticamente squillo nella zona acuta, esattamente come l’ acqua, portata all’ ebollizione, diventa vapore acqueo. Questo è il motivo per cui essa viene percepita come un effetto collaterale della potenza e questo spiega anche perché ad essa sia stato riservato un ruolo centrale nei trattati belcantistici. con il nome di “natural chiarezza”. Nell’ educazione vocale non è possibile arrivare alla morbidezza (che è la componente fondamentale del ‘piano’), se prima non si è fatta esperienza della brillantezza, il che significa che partendo direttamente da un piano, fatto di sola morbidezza, o passando da un suono, fatto di sola corposità, alla morbidezza del piano, in entrambi i casi il risultato sarà il suono vuoto e arioso. Questo è il motivo per cui il livello dinamico con cui deve essere educata la voce non è quello del piano, ma quello del forte o mezzoforte naturale, che a sua volta potrà convertirsi col tempo nel piano. Se nasce dalla ‘scintilla’ iniziale dell’ auto-avvio del parlato normale, mentre il livello dinamico del piano corrisponde a una riduzione della brillantezza e a un corrispondente aumento della morbidezza, giocando con quello che il baritono ottocentesco Delle Sedie chiamava “eco del suono” e il musicista Reynaldo Hahn chiamava “fiato imbevuto di suono”. Si parla di “fiato imbevuto di suono” perché, come abbiamo visto, nel piano è dominante la componente acustica (o qualità del suono), chiamata ‘morbidezza’ e la morbidezza è percepita dalla mente sia come aria che fluisce liberamente, sia come altezza-galleggiamento del suono.

Al giorno d’ oggi si fa sempre più evidente la carenza, nella composizione acustica del suono, della componente della morbidezza. Alla ricerca maniacale della “proiezione”, della “corposità” e di altre analoghe chimere materiali, le tecniche vocali moderne hanno ottenuto come risultato la soppressione di questa componente del suono, risorsa fondamentale della tecnica del belcanto, con la corrispondente ipertrofia delle altre due (la corposità e la brillantezza), utilizzate o singolarmente o in combinazione tra loro. All’ origine di tutto agisce un’altra causa: nella quasi totalità dei casi si ignora il fatto che il suono è il risultato dell’ interagire di queste tre variabili e lo si concepisce invece come un blocco monolitico, che, in quanto tale, si può al massimo levigare, ma non modificare nella sua struttura originaria. Si tratta di due concezioni del suono totalmente diverse, che non possono non dar luogo a risultati tecnico-vocali totalmente diversi. Se io penso che un suono che si presenta come potente, brillante, ma anche duro e metallico, possa migliorare aspettando che la voce ‘maturi’ oppure proponendomi di ‘limarlo’, ma lasciandone immutato l’ impianto, è evidente che questo suono potrà solo rimanere uguale o peggiorare. Se invece capisco che è proprio l’ ipertrofia di una delle sue componenti acustiche a impedire lo sviluppo di quella componente che elimina la durezza, allora avrò i mezzi per correggere quel suono. Anche il vero significato del concetto belcantistico di “registro di petto” è stato alterato e interpretato arbitrariamente come mezzo per legittimare l’ utilizzo della componente acustica della corposità. Questo ha fatto sì che si dimenticasse che il principio operativo della tecnica vocale italiana storica è sempre stato quello che i belcantisti hanno chiamato “colare la voce”, ovvero filtrare progressivamente il suono della corposità, man mano che si passa dal registro grave a quello centrale a quello acuto. Questo perché la corposità, contrariamente a quanto hanno pensato e teorizzato i fautori di tecniche vocali moderne come l’ affondo, non ha nulla a che fare con la potenza del suono. In effetti la corposità è un elemento che, in base alla formula del canto all’ italiana, può legittimamente emergere ESCLUSIVAMENTE nella zona detta (appunto!) ‘grave’ della voce, dopodiché, salendo, deve ‘tramontare’ già nelle prime note centrali per lasciare emergere le altre due componenti, che sono appunto la brillantezza e la morbidezza.

Analogamente la componente della brillantezza, suscitata in modo meccanico, pensando di ‘proiettare’ o ‘portare avanti’ il suono, e avendo perso il suo collegamento con la componente della morbidezza, è gradualmente diventata ‘timbratura artificiale’ o ‘ipertimbratura’ del suono, cioè suono spinto. A questa alterazione del significato originario delle tre componenti del suono e della loro funzione in rapporto all’ altezza del suono, è corrisposta la creazione di un vero e proprio falso storico, quello della fantomatica esistenza di DUE diverse tecniche vocali, una in funzione di un repertorio sei-settecentesco all’ insegna della leggerezza, dell’ agilità e, al massimo, del patetismo, e l’ altra in funzione di un repertorio otto-novecentesco all’ insegna della drammaticità, della potenza e del declamato. Volendo circoscrivere il discorso alla bipolarità all’ attacco del suono (che alcuni definiscono ‘attacco morbido’ e ‘attacco esplosivo’) è bene precisare che, indipendentemente dalla prevalenza di un polo sull’ altro, la sensazione sintetica deve essere sempre quella di un contatto DOLCE e mai duro con l’ energia, come invece implica la definizione di ‘attacco esplosivo’. Non si tratta dunque di accettare solo uno dei due poli della voce, quello della morbidezza, ma di evitare i rischi connessi a un uso improprio del linguaggio, come succede con espressioni come ‘attacco esplosivo’ o ‘attacco col colpo di glottide’. Questo non per una mera questione nominalistica, ma per il fatto che la realtà è fatta ANCHE di parole, motivo per cui, ad esempio, non posso chiamare ‘precipitare’ il volare o ‘affondare’ il galleggiare. Nel nostro caso, tutto quello che si iscrive nell’area semantica delle ‘esplosioni’, delle ‘detonazioni’ e dei ‘colpi’ (di glottide e non) non ha relazione con l’ energia dolce del belcanto, ma con l’ energia dura del canto muscolare e meccanico. È preferibile quindi chiamare questo polo della voce ‘attacco brillante’ o ‘attacco vivo’ o, come lo chiamavano i belcantisti, “suono franco” e “suono pronto”. È qui che entriamo nel vivo della questione, che riguarda la differenza tra un atto meccanico (cioè localizzato, volontario e attivo) come il ‘colpo di glottide’ e un atto naturale (nel senso di natura, resa consapevole) come il “suono pronto” dei belcantisti. Qual è la differenza? L’ attacco col colpo di glottide (non a caso inventato da quell’ iniziatore del meccanicismo foniatrico che è stato Garcia) cerca di IMITARE esternamente, con una manovra controllata attivamente dalla razionalità, le caratteristiche di naturale immediatezza dell’ avvio del suono parlato e cantato (da cui appunto il concetto belcantistico di “suono pronto”). Ora questo avvio naturale del suono, questa ‘scintilla’ è una AUTOGENESI del suono, che avviene per concepimento ‘im-mediato’ (cioè senza la mediazione della razionalità) e NON un atto meccanico indotto dalla mente razionale, com’ è il caso del colpo di glottide. Si tratta insomma di LASCIARE AVVENIRE in forma pura (cioè non contaminata dalla razionalità) questo atto naturale globale (cioè non localizzato) e NON di FARLO AVVENIRE meccanicamente. Giovanni Battista Lamperti significativamente ha detto in proposito: “Il primo suono deve iniziare come un’autoaccensione, non come un fiammifero che, strofinato, si accende. È un processo di ‘liberazione’ non di ‘percussione’. L’ anticipazione mentale del suono successivo è la fiamma che avanza accendendo gli altri suoni.”

Volendo fare un paragone, la differenza tra i due fenomeni è la stessa che c’è tra il lasciare (come avviene naturalmente) che ogni tot secondi le palpebre si chiudano per un attimo o agire noi meccanicamente per farle chiudere. Il secondo di questi atti, in quanto atto meccanico e NON autogeno ed olistico, è un atto molto più grossolano e molto meno funzionale (cioè meno ‘tecnico’) del primo. Più precisamente, nel caso della voce, si tratta di un atto che introduce corposità in eccesso nel suono, sbilanciando la sua composizione acustica, composizione acustica che in base alla formula del canto italiano è una fusione di brillantezza e morbidezza (variabile in rapporto all’ altezza e all’ effetto dinamico) con rigorosa limitazione della corposità alla sola zona grave della voce, esattamente come succede parlando. La mia idea in proposito è che il parlato fonde in sé in maniera perfetta (come i colori dell’ iride) le tre componenti del suono ed è solo perché il parlato si colloca nella zona grave della voce (dove naturalmente emerge la corposità) che SEMBRA che il parlato
sia solo corposità. Se il suono nasce in modo naturale, allora avverrà che, come succede appunto con il rapporto yin-yang, ognuno dei due poli conterrà in sé gli ‘armonici’ del polo opposto, altrimenti uno dei due poli sopprimerà l’ altro e sarà impossibile quella transizione fluida tra l’ uno e l’ altro.

A questo punto la domanda è: precisato che (esattamente come succede con la luce, che ha, simultaneamente, una natura corpuscolare e una natura ondulatoria), il suono morbido evidenzia di sè il polo ‘ondulatorio’, pur avendo in sé anche il polo ‘corpuscolare’ e, viceversa per il suono brillante, come si fa a fare in modo che emerga più un polo dell’ altro nell’avvio del suono? Risposta: con un metodo indiretto, il che vuol dire che a seconda della diversa intenzione espressiva il ‘corpomente’ automaticamente risponderà creando un suono che evidenzia più un polo che l’ altro. Questo è il significato del concetto di ‘intenzione’, elaborato da Antonio Cotogni. Si tratta di qualcosa non di teorico, come potrebbe sembrare (cioè di una supercazzola), ma di qualcosa di estremamente reale e concreto. Mi spiego meglio: se parliamo in modo tranquillo o magari sussurriamo qualcosa e poi improvvisamente ci arrabbiamo, si nota che DA SOLA l’ articolazione si anima passando dal polo della morbidezza a quello della brillantezza, ma (a meno che non vogliamo sembrare un automa) NON avremo fatto NIENTE per far esplodere colpi di glottide alla Garcia. In altre parole, non è che uno dica: aspetta che mi sto arrabbiando e quindi devo alzare il cursore per passare dalla modalità ‘soft’ alla modalità ‘explosive’ del suono. Ultima precisazione riguardo al concetto di chiaroscuro: poiché sia la corposità sia la morbidezza si manifestano come colore scuro, il chiaroscuro belcantistico rappresenta la fusione di morbidezza e brillantezza, e non di corposità e brillantezza, che invece è la ricetta dell’ affondo. Infatti la corposità, superato un certo livello di guardia, che è quello delle note centrali, non è né potenza né volume né rotondità, ma semplice zavorra che impedisce di ‘galleggiare-volare’ (alias ‘cantare sul fiato’).

Antonio Juvarra


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