In questo studio, suddiviso in due puntate, il prof. Marco Gaudino esamina la didattica del flauto traverso dal punto di vista storico. Ringraziandolo come sempre per la preferenza accordata a questo sito, auguro a tutti una buona e proficua lettura.
Concezioni storico- didattiche nel flauto traverso – parte prima
Ogni epoca storica nel flauto è stata caratterizzata da illustri concertisti, didatti e teorici. Il ramo della ricerca è sempre esistito ed è stato caratterizzato da tutti coloro che nel corso dei secoli hanno tentato una teorizzazione metodologica e didattica nelle tecniche generali della scuola di flauto traverso, molto spesso costituendo delle metodologie non sempre condivise da tutti. La figura del ricercatore in musica non è ancora riconosciuta in Italia, cosa che non avviene in altri paesi stranieri. L’ argomento cardine di tutte le ricerche metodologiche del flautista è stato quasi sempre caratterizzato dalla voglia di acquisire il bel suono nei suoi parametri costitutivi, ovvero: intonazione, intensità, timbro. In un certo senso ogni studente o professionista della musica è da considerarsi un ricercatore non conclamato. Nel volume terzo del supplemento dell’ Encyclopèdie di Diderot del 1777 in un articolo di F.D.Castilon si legge: tre cose contribuiscono alla produzione del suono nel flauto, il volume dell’aria, la sua velocità e il modo in cui le labbra la controllano. Per produrre un suono all’ ottava superiore in uno strumento a fiato, si deve far vibrare la colonna d’aria al doppio della sua vibrazione di partenza, questo dipende dalla velocità dell’ aria. Per fare questo, conclude Castilon, bisogna ridurre l’ apertura attraverso la quale l’ aria passa: questo fa esattamente un buon flautista. Altro pensiero sulla teoria della produzione del suono nel flauto, arriva nel trattato di John Gunn del 1793 “The Art of Playing the German-Flute” Birchall London, esso differenzia tra velocità dell’ aria e quantità della stessa, rapportandole al diametro della colonna d’ aria che viene determinata dall’ apertura delle labbra e alla sua direzione, attribuendone un effetto determinante sulla qualità del suono. Gunn ritiene che l’ intensità del suono sia il prodotto di una colonna aerea emessa con maggiore densità/compressione e nota la differenza di un suono intenso scaturito, invece, dall’ aumento di volume aereo. Nel trattato si parla di diversi approcci alle tipologie di suono nel flauto, sottolineando delle scuole di pensiero in conflitto tra loro: una scuola di pensiero che mette in evidenza il suono ampio, brillante e spinto come quello di una tromba che ha la stessa pienezza sui vari registri e una, invece, che ricerca un suono colorito e morbido, che riporta ad una voce aggraziata e tenera, molto affine ad una voce femminile. L’ autore del trattato prospetta invece un suono vario, al fine di non incorrere in esecuzioni flautistiche monotone e stucchevoli. Johann Joachim Quantz nel suo trattato “Essai d’une methode pour apprendre à jouer la flute traverse” J. Voss. Berlin 1752 ritiene che il suono chiaro sia sinonimo di un bel suono. Il Quantz sostiene che quando si emette l’ aria per suonare lo strumento, metà dell’ aria deve entrare nel foro dell’ imboccatura e metà deve percorrere la direzione verso l’ esterno in modo che il bordo affilato esterno divida la stessa colonna aerea producendo il suono. Lui sostiene che un foro eccessivamente aperto della boccoletta sotto le labbra produca un suono troppo aperto e legnoso, mentre troppo chiuso un suono cupo e per niente chiaro; premendo troppo le labbra ai denti, riferisce alla produzione di un suono sibilante e fischiante e dilatando invece troppo la bocca e la gola alla produzione di un suono eccessivamente scuro.
Nella storia dei trattati per flauto ci sono divergenze sull’ uso delle labbra per correggere difetti di intonazione, oltre che per variare le ottave: il Quantz riferisce a labbra e mento che vanno indietro cambiando dimensione in apertura del foro labiale nei passaggi dal Re2 al Re1 e in avanti invece dal Re2 al Re3. Marcel Moyse invece nel suo “De la Sonoritè Art et Tecnique” Leduc Paris 1934 sulla direzione del mento e delle labbra afferma il contrario, ossia in avanti nel registro grave e indietro in quello acuto per la ricerca del bel suono nella sua omogeneità timbrica. La mia ricerca pone l’ accento positivo sul tipo di tecnica prospettata da Moyse, spiegandone i perché e chiarendo dove avvengono le variazioni di velocità relative all’ emissione delle altezze dei suoni nei registri grave-medio-acuto. Molteplici disquisizioni sono presenti nei trattati storici per flauto anche sulla posizione della lingua in avanti e in mezzo alle labbra o indietro e sotto il palato, durante l’ attacco del suono e nella produzione dello staccato. Secondo Quantz il corretto uso della lingua non è tra le labbra ma sotto il palato, soprattutto nel registro grave al fine di produrre suoni pieni e ben articolati. Inizia poi, durante la sua trattazione, una serie di disquisizioni sulle corrette sillabe da usare nell’ attacco dei suoni tra Ti e Di. Parlando di attacchi dei suoni, li divide tra attacchi decisi e attacchi leggeri. A partire dal trattato di Theobald Boehm “Die Flöte und das Flötenpiel” del 1871 ci si rende conto che i suoni più semplici da emettere sono quelli della prima ottava a partire dal Si-La-Sol e se fatti per un lungo periodo si può procedere con successo allemissione degli altri suoni più gravi che risultano di più complessa emissione nei principianti, per finire gradualmente a quelli medi fino ai più acuti. Lo stesso concetto viene ripreso dalla scuola metodologica di Marcel Moyse ed è, a mio avviso, il sistema migliore per impostare i giovani debuttanti flautisti. Cercherò di spiegarne le motivazioni tecniche durante le mie esposizioni.
Nel trattato già menzionato di John Gunn del 1793 “The Art of Playing the German-Flute” ed. Birchall London, l’ autore prospetta che nella sua epoca ci fossero due modi di approcciarsi al flauto: una scuola di pensiero che mette in evidenza il suono ampio, brillante e spinto come quello di una tromba che ha la stessa pienezza sui vari registri e una, invece, che ricerca un suono colorito e morbido, che riporta ad una voce aggraziata e tenera molto affine ad una voce femminile. L’ autore del trattato prospetta invece un suono vario al fine di non incorrere in esecuzioni flautistiche monotone e stucchevoli. Le due scuole di pensiero sono, a mio parere, ancora oggi presenti e possiamo aggiungere alla descrizione del Gunn, inserendolo nella nostra epoca: una prima scuola di flauto che mette in evidenza un suono ampio, brillante e incisivo come quello di una tromba, omogeneo nei registri e, aggiungerei, con un vibrato molto marcato e stretto. Nella mia concezione didattica oso definire questo tipo di sonorità “lirica” ed i flautisti che la adottano “lirici”. Nella seconda scuola di pensiero prospettata da Gunn troviamo chi ricerca un suono colorito e morbido, che riporta ad una voce aggraziata e tenera affine ad una voce femminile e alla quale oggi aggiungerei, con un vibrato non statico ma modulato con un’ampiezza ed un numero di cicli al secondo minori di quello della prima concezione sonora; io oso definire, invece, questo tipo di sonorità “pastorale” ed i flautisti che la adottano “pastorali”. La terza concezione di suono è mista tra le due e prospettata anche da Gunn nel ‘700, io aggiungerei, dunque, che ci possono essere tipi di esecuzioni e repertori a cui si addice di più l’esecuzione “lirica” e altri a cui si addice quella “pastorale”. Anche all’ interno della scuola francese del Novecento le due tipologie di approccio flautistico coesistevano, a mio avviso. Ho deciso di non citare nessun flautista contemporaneo, mi appello al saper udire del lettore nel collocare i vari modi di suonare dei flautisti sia di oggi che del passato classificandoli in “lirici” e “pastorali”. La quarta concezione flautistica è quella dei teorici, in cui amo collocarmi. Il teorico e quella tipologia di flautista che cerca di dare una spiegazione chiara e precisa di quello che fa e di come lo fa; esso va collocato nei didatti di flauto, una categoria professionale che si prodiga di spiegare nella maniera più chiara e approfondita possibile, quella parte della pratica strumentale dedicata al come studiare e perché, possiamo inquadrare questo tipo di approccio d’ insegnamento in: metodologia di studio su basi cognitive.
Cosa si intende per metodologia? In senso generico, lo studio del metodo su cui deve essere fondata una determinata scienza o disciplina; con senso più concreto, il complesso dei fondamenti teorici sui quali un metodo è costruito. In filosofia, con il termine metodologia ci si può riferire sia a un settore particolare di ogni ricerca scientifica o filosofica sia a un tipo speciale di indagine filosofica. Così può alludere a quella parte del lavoro dello scienziato o del filosofo che consiste nell’ enunciazione delle regole generali che saranno poi applicate nel corso della ricerca. Un uso del termine con questo particolare significato può essere per es. rintracciato nell’ opera di Immanuel Kant, in cui si considera la metodologia come una premessa alla filosofia che ha il compito di enunciarne i criteri generali. (cit. Enciclopedia Treccani Online).
Difetti causati da errate prassi esecutive nella tipologia flautistica lirica e pastorale. Il flautista lirico lavora con delle velocità aeree e con dei toni muscolari maggiori rispetto a quelli del flautista pastorale, pone l’ accento su un tipo di vibrato molto stretto contornato da sonorità molto sostenute. Le difficoltà tecniche in cui possono incorrere coloro che sostengono questo tipo di approccio sono legate alla tonicità muscolare che può venir meno, per stanchezza o per un uso errato dei muscoli addetti all’emissione del suono. Il flautista lirico tende a stancarsi prima rispetto a quello pastorale. La sollecitazione aerea sui muscoli vocali, dovuta soprattutto ad un uso del vibrato molto stretto potrebbe comportare tale stanchezza. Tuttavia tipologie di apparati vocali e respiratori, con corde molto elastiche e reattive alle minime variazioni sono più indicate alla scelta di tale tecnica. Dovrebbe prevedere delle labbra che si oppongono in maniera sinergica con i muscoli costo-addominali al passaggio dell’ aria, generando un tipo di compressione molto incisiva, ma anche un uso delle labbra molto libero a seconda del tipo di conformazione muscolare. Si possono dar vita a suoni pieni e nel contempo tesi alla brillantezza, ammesso e non concesso che il tipo di conformazione orofaringeo e vocale lo renda possibile. Gli errori tecnici esecutivi in questo tipo di sonorità possono essere legati al mollare le labbra quando si passa da un forte al piano, e all’ aumento di vibrato nella sua modulazione; l’ errore comune alle due tipologie nasce dall’associare la fine di una nota alla fine del sostegno da darle o a voler collocare la tecnica del vibrato in un tipo di tensione non labiale ma a carico dei muscoli costrittori della faringe (facile conseguimento di un tipo di vibrato chevrotment, ossia a pecorella). Le conseguenze negative dell’ associare la fine di una nota nel passaggio dinamico da una sonorità FORTE al piano o pianissimo o solamente la fine di una nota alla fine del sostegno, sono legate a variazioni timbriche e di intonazione, soprattutto se si opera nei registri medio-bassi. Nel registro acuto le variazioni di intonazione nel passaggio suono acuto forte a suono acuto piano sono minori, se non per niente contemplate, in quanto i muscoli che operano un sostegno su di esse se perdono tonicità nel passaggio di sonorità tendono ad un cambio di registro del suono verso il basso. I muscoli che dovrebbero essere deputati all’ emissione di suoni acuti, morbidi e mai spinti, sono da ricercarsi in quelli vocali detti Cricotiroidei. Essi allungano le corde vocali con un passaggio muscolare che va verso l’ esterno dello scheletro laringeo. Il tipo di manovra detto anche tecnica del passaggio di registro e riscontrabile anche nella voce cantata, aiuta ad aumentare la velocità del flusso aereo dello strumentista, senza che si possa incidere sulle labbra. Il suono Lirico può avere nel suo seno un tipo di staccato molto incisivo e sfavillante, a patto che l’ uso delle labbra sia corretto nelle sue tensioni laterali e sia sinergico con i muscoli costo-addominali.
Ma cosa vibra davvero nella produzione del vibrato lirico? A vibrare è sempre l’ aria, sostenuta dai muscoli costo-addominali e dalle corde vocali che sostenendola vibrano con essa. Lo fanno con movimenti di adduzione e abduzione tra azione sinergica dei muscoli cricoaritenoidei laterali e posteriori. Un vibrato aereo generato dall’ azione sinergica sulla nostra “corda d’ aria” da un rapporto di compressione che spinge sulla pressione atmosferica in maniera modulata e senza apporto dei muscoli costrittori faringei, fa in modo che si generi una micro-pulsazione a varie frequenze di modulazione nella stessa pulsazione principale produttrice di suono. Il vibrato è una modulazione del suono che ne varia la frequenza, il timbro e l’ intensità. È in questa modulazione che va collocato il termine “micro-pulsazione del suono a frequenze di modulazione”, per definire il vibrato stesso. Nello stesso modo per cui un dito agisce su una corda di violino ad aumentare o diminuire la velocità della vibrazione propria di quel momento della corda stessa, facendola diventare più spessa e meno spessa nella sua azione di compressione, la produzione del vibrato aereo è dato dagli impulsi di variazioni di intensità aerea inglobati nella frequenza dei suoni su cui si produce. Gli impulsi aerei che modulano la loro intensità tra attriti che si generano tra aria contenuta nel tubo del flauto, pressione atmosferica e muscoli cricoaritenoidei sia laterali che posteriori, supportati a loro volta da labbra tese ai lati e dai muscoli intercostali che giocano un ruolo sinergico di sostegno, nelle micro-pulsazioni inserite nei suoni principali, danno vita alle corrette forme di vibrato nel suono flautistico. Dimensioni ampie del cavo orale supportate da corde di grande spessore rendono questa dinamica di suono, che abbiamo soprannominato Lirica, di difficile realizzazione per chi la persegue solo ad imitazione di grandi flautisti riconosciuti come tali dal panorama musicale internazionale. Ognuno diventi modello di se stesso. È giusto avere dei modelli da seguire, ma bisogna rendersi conto che la loro sublimazione può generare frustrazione. Soprattutto quando le caratteristiche fisiologiche che la natura ci ha donato, atte a raggiungere lo stesso tipo di sonorità o tecnica globale del modello seguito, non sono adeguate. E quanti modelli seguiti possono essere solo il frutto di modi di suonare costruiti in sale di registrazione!!!!???
Marco Gaudino
Liberamente tratto da: Marco Gaudino, Suono Pensando, ed. Lulu, acquistabile su Amazon
Si invitano i lettori a leggere tutti gli articoli precedenti pubblicati dallo stesso autore sul blog Mozart2006 a partire dal mese di Dicembre 2019
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