Al fine da capo è il motto scelto dalla direzione artistica del Ludwigsburger Schlossfestspiele per i concerti che, dopo la cancellazione di quasi tutto il programma a causa della pandemia, segnano la ripresa delle attività musicali anche nella città posta a una ventina di chilometri da Stuttgart e famosa per il Residenzschloss, uno dei capolavori dell’ architettura barocca tedesca, costruito tra il 1704 e il 1733 per iniziativa del Duca Eberhard Ludwig von Württemberg, su un progetto iniziale ideato da Johann Friedrich Nette e successivamente ampliato dall’ architetto italiano Donato Giuseppe Frisoni, che per la concezione di insieme si ispirò allo stile della Reggia di Versailles e vi aggiunse i giardini del Blühendes Barock, con giochi d’ acqua e grotte e successivamente si occupò della ristrutturazione complessiva del centro storico di Ludwigsburg. Oggi il Residenzschloss, oltre ad ospitare gran parte delle serate del festival e di varie altre manifestazioni culturali, è uno dei monumenti più visitati dai turisti, che arrivano da tutta la Germania e dall’ estero per ammirare le stupende decorazioni interne, il museo delle porcellane antiche, quello della moda e la collezione di quadri settecenteschi proveniente dalla Staatsgallerie Stuttgart. Di solito, i concerti si tengono nel teatro barocco interno e nella stupenda Ordenssaal, che quest’ anno sarà l’ unica sede della manifestazione. Jochen Sandig, il manager berlinese succeduto quest’ anno a Thomas Wördehoff nel ruolo di Intendant dello Schlossfestspiele, è infatti riuscito, dopo la progressiva riapertura delle sale teatrali avenuta in queste ultime settimane, a mantenere la parte finale del cartellone con programmi abbreviati e ripetuti due volte nel corso della stessa giornata per ovviare alla limitazione del numero dei biglietti in vendita a causa delle misure di sicurezza tuttora in vigore. Anche qui i circa cinquanta o sessanta posti disponibili per ogni appuntamento sono stati venduti in poche ore, dimostrando una volta di più che il pubblico ha voglia di tornare a sentire musica dal vivo dopo una pausa cosí lunga e triste.
Dal mio personale punto di vista, mi ha fatto molto piacere che sia stato confermato il recital di Nicolas Altstaedt e Alexander Lonquich, che dovevano eseguire il ciclo integrale delle Sonate per violoncello e pianoforte di Beethoven del quale, dovendo abbreviare il programma per le ragioni sopra esposte, hanno scelto di suonare le prime due e l’ ultima. Altstaedt e Lonquich collaborano da diverso tempo e il loro ultimo progetto discografico, appena apparso sul mercato, è dedicato proprio all’ integrale delle Sonate beethoveniane. Si tratta di due personalità artistiche fra le più interessanti della nostra epoca, i cui incontri artistici producono sempre risultati interpretativi di altissimo livello. Nicolas Altstaedt, trentasettenne violoncellista originario di Heidelberg e tra gli ultimi allievi del grandissimo Boris Pergamenschikow, si è rapidamente affermato come uno tra i più interessanti artisti della giovane generazione per le capacità virtuosistiche e una personalità caratterizzata da aspetti assai innovativi nelle scelte di repertorio e nell’ impaginazione di programmi sempre innovativi nella concezione e ricchi di interesse nello spaziare dalla musica antica eseguita secondo la prassi storicamente informata fino al repertorio classico e alla Neue Musik. Il violoncellista franco-tedesco, che collabora regolarmente con artisti come Vilde Frang, Pekka Kuusisto, Janine Jansen, Lawrence Power, Antoine Tamestit, Martin Fröst, Fazil Say e il Quartetto Ebène, dedica una gran parte della sua attività alla musica contemporanea. Diversi illustri compositori come Wolfgang Rihm, Thomas Ades, Jörg Widmann, Fazil Say e Sofia Gubaidulina hanno scritto e stanno scrivendo brani per lui. A tutto questo si può aggiungere che Nicolas Altstaedt, oltre ad avere fondato nella cittadina svizzera di Liestel un proprio festival intitolato Viva Cello, ha ereditato nel 2012 da Gidon Kremer la direzione artistica della Lockenhaus Kammermusikfest e nel 2014 da Adam Fischer la guida della Haydn Philharmonie, con la quale si esibisce regolarmente a Vienna e allo Schloss Esterhazy di Eisenstadt sia come solista che come direttore.
Una personalità artistica come quella di Nicolas Altstaedt si integra in maniera perfetta con quella di un pianista come Alexander Lonquich, uno tra gli artisti più intelligenti e sensibili della nostra epoca, tra l’ altro mio amico personale da molti anni. Ho seguito la carriera di Lonquich quasi dai suoi inizi e l’ ho sempre considerato un interprete originale e un artista di grande versatilità. Le sue interpretazioni di Beethoven, Schubert e Schumann sono tra le più interessanti che io abbia ascoltato, per la finezza del fraseggio e l’ originalità di concezione. Il cinquantaseienne pianista nativo di Trier e da molti anni residente in Italia si è sempre distinto per le sue qualità di musicista intelligente e con una vasta gamma di interessi, che lo portano a spaziare con successo dalle serate solistiche a quelle di musica da camera e come direttore d’ orchestra. Anche in questo appuntamento a Ludwigsburg, che per entrambi gli artisti costituiva la prima occasione di esibirsi in pubblico dopo il lockdown, la perfetta sintonia interpretativa ha permesso ai due artisti di ottenere esecuzioni di grande intensità e raffinatezza espressiva. Con un continuo scambio reciproco di idee musicali davvero avvincente, i due artisti hanno saputo evidenziare con splendida perentorietà il carattere assolutamente sperimentale delle due Sonate op. 5, composte da Beethoven nel 1796 per il celebre virtuoso parigino Jean-Louis Duport, incontrato a Berlino durante un soggiorno alla corte del re Friedrich II. Lo splendido timbro del violoncello di Nicolas Altstaedt, un Guadagnini con cui il virtuoso franco-tedesco ha sostituito lo strumento di Giulio Cesare Gigli da lui suonato in precedenza, si integrava alla perfezione con il pianismo elegante e raffinato di Alexander Lonquich che come interprete beethoveniano ha pochissimi rivali nella nostra epoca. Le due Sonate op. 5 sono di concezione estremamente audace in rapporto all’ epoca in cui furono scritte, per il ruolo assolutamente paritario dei due strumenti che dialogano fra loro in maniera complessa e le vaste dimensioni: soprattutto i primi tempi di entrambe le Sonate op. 5 sono di una lunghezza (rispettivamente 400 e 553 battute) del tutto inusuale. Bellissima, per intensità espressiva, carica emotiva e ricchezza di dettagli, l’ esecuzione in cui la nobile cantabilità conferita da Altstaedt alle linee melodiche trovava un perfetto contraltare nella raffinatezza con cui Alexander Lonquich evidenziava certi dettagli di fraseggio. La Sonata in re maggiore op. 102 N°2, quinto e ultimo lavoro scritto da Beethoven per questa combinazione di strumenti, è impostata su un tono genialmente quasi improvvisativo he è stato evidenziato in maniera perfetta da Altstaedt e Lonquich con un fraseggio sempre intenso e concentrato. Un’ esibizione che conferma la statura interpretativa di due musicisti che insieme sono sempre in grado di dar vita ad interpretazioni di livello artistico assolutamente elevato e sempre di grande originalità. Come fuori programma, lo Scherzo-Pizzicato della Cello Sonata op. 65 di Benjamin Britten ha concluso degnamente quella che si può davvero definire una serata di grande musica.
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