Tra le musiche più adatte all’ atmosfera che stiamo vivendo in questo periodo, oggi voglio parlare della Sinfonia nº 3 (H. 186) detta anche Symphonie Liturgique di Arthur Honegger. Il compositore svizzero (Le Havre 1892-Parigi 1955) studiò a Le Havre, a Zurigo e, con Gédalge, Charles-Marie Widor e Vincent d’ Indy a Parigi dove nel 1913 si stabilì, dedicandosi quasi esclusivamente alla composizione. Nel 1916 fece parte del gruppo Les Nouveaux Jeunes, diventato celebre dal 1920 con la nuova denominazione di Groupe des Six. Di questo sodalizio Honegger fu uno degli esponenti più prestigiosi e come tale fu impegnato a realizzare una musica tersa e lineare, di facile comprensione e basata su lucide basi razionali. Tuttavia egli non rinunciò a utilizzare le acquisizioni dell’ impressionismo di Debussy e anche molte soluzioni armoniche di stampo wagneriano. Raccogliendo con abile eclettismo le istanze più significative delle correnti musicali d’ avanguardia del suo tempo, seppe sviluppare un indirizzo stilistico assai personale, caratterizzato da abilità nella strumentazione, elegante taglio formale e disteso gusto lirico. Tra l’ altro la moglie di Honegger fu, nel 1944-45, insegnante di contrappunto di Pierre Boulez e dichiarò poi d’ avere usato le sue soluzioni degli esercizi come materiale d’ insegnamento. Delle cinque Sinfonie composte dal musicista, la Sinfonia N° 3 è quella maggiormente caratterizzata da espliciti elementi di stampo filosofico. Come scrisse Honegger stesso nelle sue note introduttive alla partitura:
“J’ ai voulu symboliser la réaction de l’ homme moderne contre la marée de barbarie, de stupidité, de souffrance, de machinisme, de bureaucratie qui nous assiège … J’ ai figuré musicalement le combat qui se livre dans son cœur entre l’ abandon aux forces aveugles qui l’ enserrent et l’ instinct du bonheur, l’ amour de la paix, le sentiment du refuge divin”.
Degna di nota è anche questa descrizione che Honegger fece della sua opera, in una serie di appunti ritrovati solo dopo la sua morte e citati da Harry Halbreich nella biografia pubblicata in occasione del centenario della nascita del musicista svizzero:
[…] «Cette 3e Symphonie est comme la plupart de mes oeuvres symphoniques en forme de triptyque. Elle est en directe réaction contre la mode de la musique dite «objective». Chacune des trois parties veut tenter d’exprimer une idée, une pensée que je ne veux pas qualifier de philosophique – ce serait prétentieux – mais le sentiment personnel de l’auteur. J’ai donc fait appel aux sous-titres liturgiques et intitulé la symphonie «liturgique», espérant ainsi me faire mieux comprendre.
«I. Dies irae: cela ne pose aucun problème, car nous avons tous vécu ces jours de guerre, de révolution, dont ceux qui président à leurs destinées ont gratifié leurs peuples.
«II. De profundis clamavi ad te: tout ce qui reste encore de pur, de clair, de confiant dans l’homme se tend vers cette force que nous sentons au-dessus de nous. Dieu, peut-être, ou ce que chacun porte avec ferveur au plus secret de son âme.
«III. Dona nobis pacem: la montée inéluctable de la stupidité du monde: le nationalisme, le militarisme, la paperasserie, les administrations, les douanes, les impôts, les guerres, tout ce que l’homme a inventé pour persécuter l’homme, l’avilir et le transformer en robot. L’effroyable bêtise qui aboutit à forcer ce cri du désespoir: «Dona nobis pacem.» Et cela se termine par une brève méditation sur ce que la vie pourrait être: le calme, l’amour, la joie… un chant d’oiseau, la nature, la paix.
«Je pensais depuis longtemps à cette symphonie. Lentement les mélodies de l’Adagio naissaient en moi et se soudaient les unes aux autres. J’avais déjà le noyau central, ce De profundis clamavi ad te Domine (Honegger cite ici l’exemple 47) qui devait sourdre du fond de l’abîme jusqu’aux cris aigus du désespoir, puis retomber, se calmer, s’éteindre.
«La tornade du premier morceau m’est soudain apparue toute claire, toute bâtie, dans le court trajet de train qui me menait de Bâle à Berne. J’en ai noté le squelette tout entier le soir avant de me coucher.
«Aussi rapidement, mais j’ai oublié quand, j’ai vu se dresser devant moi le Final. Naturellement l’idée de base de cette montée vers le cri de désespoir était déjà bien fixée dans mon esprit. La coda lente aussi, mais j’y ai travaillé longtemps, sauf pour la phrase en fa dièse du violon et du violoncelle solo, que j’ai notée, en pardessus, tout prêt à sortir pour déjeuner, debout, un genou appuyé sur ma chaise.
«C’est la symphonie de moi que je préfère, avec la 4e pour de tout autres raisons. Je crois que c’est à ce moment où j’ai été le plus complètement en possession de mes moyens.» […]”Harry Halbreich, Arthur Honegger – un musicien dans la cité des homme, Libraire Arthéme Fayard, Paris 1992, pp. 391-92
Composto nel 1945 – 46 su incarico della fondazione culturale Pro Helvetia, il lavoro fu eseguito per la prima volta a Zürich il 17 agosto 1946 dall’ Orchestre de la Suisse Romande sotto la direzione di Charles Münch. Musicalmente, l’ atmosfera complessiva presenta parecchie analogie con la Sinfonia da Requiem di Benjamin Britten, scritta nel 1940. La partitura del musicista svizzero è però profondamente intrisa di un senso di ritualità religiosa, evidentissimo a partire dai sottotitoli apposti ai tre movimenti, che si richiamano esplicitamente alla liturgia funebre. Forse la definizione più appropriata è quella lasciataci dal critico francese Bernard Gavoty, amico personale di Honegger, che descrisse l’ opera come “un dramma in tre atti, una preghiera informe pronunciata da un mondo in tumulto”. I tre movimenti dell’ opera esprimono chiaramente un percorso catartico che dall’ atmosfera tragica del Dies Irae iniziale con i suoi ritmi puntati degli ottoni passando poi allo struggente lirismo del De profundis clamavi con il bellissimo tema intonato dai violoncelli sulle triadi perfette in movimento parallelo, trova la sua trasfigurazione nel Dona nobis pacem conclusivo che dall’ atmosfera tragica della sezione iniziale, culmina nel commosso Adagio in cui il violoncello e eil violino, sullo sfondo di un’ orchestra timbricamente rarefatta, intonano una struggente melodia di commiato con l’ arabesco dell’ ottavino a simboleggiare, come lo stesso Honegger diceva, l’ uccello della pace che, come la ccolomba biblica dopo il Diluvio Universale, intona il suo canto dinanzi alle rovine.
Veniamo alle esecuzioni che ho scelto di proporre. La prima è una rara registrazione dal vivo di Herbert von Karajan, che amava molto questo lavoro e lo diresse per 34 volte in concerto oltre a realizzarne una registrazione discografica tuttora considerata una delle versioni di riferimento. Questa splendida interpretazione tratta da un concerto tenuto il 12 dicembre 1984 documenta l’ ultima volta in cui il direttore austriaco eseguì la partitura di Honegger in pubblico.
Confrontiamo adesso la splendida, spiritualmente intesissima lettura di Karajan con questo video di un’ esecuzione diretta da Mariss Jansons, il grande maestro lettone che ci ha lasciato lo scorso anno, sul podio della Concertgebouworkest.
Due splendide interpretazioni cariche di intensa, profonda atmosfera drammatica che evidenziano fino in fondo il clima espressivo ideato dall’ autore. Come sempre, spero con questi ascolti di riuscire a portare una parentesi di distensione in questo momento così difficile che stiamo tutti vivendo. Buon ascolto!
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Un pensiero riguardo “Arthur Honegger – Symphonie N° 3 “Liturgique””