Antonio Juvarra – “La voce ingolata”

Antonio Juvarra ci invia il suo ultimo articolo dell’ anno, dedicato questa volta alla cosiddetta “voce ingolata”. Grazie come sempre ad Antonio per la collaborazione e buona lettura a tutti.

 

               CONCETTI TECNICO-VOCALI FUORVIANTI: LA VOCE “INGOLATA”

Ogni tanto la parola magica ‘voce ingolata’ viene pronunciata per indicare la causa di un ‘fatal error’ vocale o addirittura spacciata per giudizio tecnico-vocale specialistico universale, in grado di spiegare la totalità dei problemi vocali. È il caso di questo video dove il concetto nebuloso di ‘ingolato’ viene appunto disinvoltamente usato come strumento di analisi delle prestazioni di alcuni cantanti. Tutte le volte che viene riproposto questo concetto, la domanda che bisogna farsi, è: che cosa vuol dire “voce ingolata” (o “di gola”)? Letteralmente “voce ingolata” vuol dire, lapalissianamente, voce prodotta con la gola. La domanda successiva è: esiste forse un modo per emettere un suono vocale senza usare la gola, considerato che la gola è una delle uniche due cavità di risonanza reali della voce, assieme alla bocca? Evidentemente no. Sarebbe come dire a qualcuno: “Mi raccomando, non camminare ‘di gambe’, cammina solo ‘di piedi”. Al limite si potrebbe anche accettare questo termine, per quanto fuorviante, se esistesse anche un termine per indicare l’errore di segno opposto, il suono ‘schiacciato avanti’, ma non risulta che nella terminologia vocale esista l’ espressione ‘voce imboccata’, cioè la voce ‘di bocca’ invece che ‘di gola’. Ne deriva che, in mancanza di un termine del genere, il concetto di ‘voce ingolata’ inevitabilmente produce il seguente sillogismo farlocco:

PREMESSA MAGGIORE
Il suono giusto è il suono avanti

PREMESSA MINORE
Il suono ingolato è un suono indietro

CONCLUSIONE
Il suono indietro è il ‘diabolus in voce’, o Babau che dir si voglia.

Ora è chiaro che solo eliminando questa assurda demonizzazione di cui ancora è fatta oggetto la povera e innocente “gola”, possiamo incominciare a spostarci dalle fantasie alla realtà concreta. Lo si può fare, partendo anche da un fatto storico: il primo scritto sul canto (autore il medico Camillo Maffei di Solofra, anno 1562) reca un titolo che (colpo di scena!) nell’ italiano moderno risulta essere “Cantare DI GOLA”, dove ovviamente con “di gola” si intendeva l’ obiettivo da raggiungere e non certo l’errore da correggere. Perché la meta era considerata la voce ‘di gola’ e non la voce ‘in maschera’? Semplice: perché la ‘maschera’ è una cavità di risonanza appartenente alla dimensione fantastica, mentre la gola è una cavità di risonanza REALE e questo in Italia si è sempre saputo, tant’ è che nel trattato di canto italiano dove per la prima volta figura il termine “maschera” (e cioè nella Guida allo studio del canto di Lamperti del 1864) esso indica non un pregio ma “uno dei difetti principali della voce”. Al contrario, la gola (aperta) è sempre stata concepita come la cavità di risonanza che distingue la voce parlata dalla voce cantata.

Insomma nel canto lo sbaglio non è dato dal fatto di usare la gola, ma dal fatto di usarla male. In che modo? In uno dei due modi più frequenti di usarla male, che sono: lasciare che la gola si chiuda o, all’opposto, aprirla troppo e/o attivamente e localmente, ed è chiaro che gli esempi di ‘voce ingolata’ del video si riferiscono a questo secondo caso e non al al primo. A questo punto però si potrebbe giustamente obiettare: e come faccio a sapere se la gola è troppo aperta? Non è che posso usare il metro per misurarne l’ apertura. E neppure posso pormi nell’ atteggiamento inibitorio di non aprirla troppo, che sarebbe come se un campione di salto in alto si ponesse il problema di non saltare troppo in alto sopra l’ asta. L’ autore del video in questione, che è chiaramente un seguace del metodo dell’affondo, propone la solita prospettiva foniatrica a base di muscoli, soprattutto intra ed extralaringei. Quando la voce è ingolata, scrive, la causa è data dall’ interferenza della lingua, che “preme in basso sull’ osso ioide, abbassando e scaricando tensione su tutto il meccanismo”, nel qual caso “la voce risulta eccessivamente tesa e il suono spesso”. L’ analisi prosegue così: “Il suono artificialmente scuro, che si deve distinguere dal vero scuro, si riconosce dal fatto che la voce è carente di ‘nucleo’ e di chiarezza.” Sempre secondo l’ autore del video, i cantanti dalla voce NON ingolata sarebbero Del Monaco, Caruso e Gigli, mentre (affermazione del tutto discutibile) lo squillo della voce non sarebbe una questione di corretta sintonizzazione del suono e di equilibrio risonanziale, bensì (torniamo al laringocentrismo) un effetto della corretta “funzionalità del muscolo tiro-aritenoideo, tipica del registro di petto”, da cui la tesi (ancora più discutibile!) secondo cui “l’ uso accresciuto della componente di petto del suono accresce lo squillo, generando quegli armonici che conferiscono alla voce il focus e la brillantezza”. Anche se volessimo dare per buona questa spiegazione ispirata al laringocentrismo più miope, il problema fondamentale rimarrebbe irrisolto e il problema, molto concreto, è: come fa un cantante a sapere quando sta ‘ingolando’ e evitarlo?

Esclusa l’ ipotesi surreale che possa farlo “aumentando la tensione dei muscoli aritenoidei delle corde vocali” (come fantasticava il maestro di affondo Melocchi e, sulla sua scia, l’ autore di questo video), ci avviciniamo alla soluzione del problema, stabilendo il seguente criterio: noi possiamo aprire la gola quanto vogliamo, ma senza mai superare un limite di guardia, riconoscibile dal fatto che, se lo superiamo, immediatamente succede che il movimento dell’articolazione diventa macchinoso o comunque perde la sua indipendenza sinergica rispetto all’apertura della gola. Seguendo questo criterio, ci si accorge che tutti i casi che qui vengono ricondotti al criterio nebuloso, fuorviante e pseudo-tecnico di “ingolatura”, sono in realtà casi in cui semplicemente il cantante ha perso l’ equilibrio dinamico tra i due processi naturali dell’ articolazione e dell’ apertura della gola, e ha lasciato che il secondo avesse il predominio sul primo, o ricorrendo a un’ apertura eccessiva, attiva e localizzata della gola, e/o verticalizzando l’asse orizzontale su cui avviene l’ articolazione naturale.

L’ effetto di ‘scavo’ in basso del suono (percepibile soprattutto nella zona acuta) di Cura, Giacomini e Kaufmann (presentati in questo video come esempi di cantanti ‘ingolati’) è riconducibile quindi non all’ipotesi fantasiosa dell’ “aver usato la gola” o “ingolato” i suoni (?!), ma al fatto concreto e circoscritto di aver lasciato che il movimento articolatorio perdesse la sua scioltezza ed essenzialità naturali oltre che la sua indipendenza e di averlo messo al servizio del mantenimento di un’ apertura rigida della gola, privandolo così della sua funzione di sintonizzatore automatico del suono. Analogamente l’ effetto di portamento dal basso, percepibile nell’ attacco del suono, è la conseguenza diretta, in primo luogo, dell’ aver predeterminato in maniera statica l’ apertura della gola, facendo sì che in tal modo l’accensione iniziale del suono vi si subordinasse e ne venisse così distorta, e in secondo luogo dal pescare in basso corposità, scambiandola erroneamente per mezzo per dare rotondità e ‘spessore’ al suono.

In sintesi, il movimento articolatorio, non essendo più su uno stesso piano di parità e di indipendenza sinergica rispetto all’ apertura della gola, ma essendo diventato un suo ‘strascico’, non può più contribuire a generare la purezza del suono e la risonanza libera del canto di alto livello, e il cantante dovrà ricorrere a una serie di compensazioni, cioè a un certo grado, più o meno grave, di distorsione acustica, riconoscibili anche dalla disarmonia che assume in questo modo il viso, soprattutto per quanto riguarda i movimenti dell’ articolazione. Da questo punto di vista anche il modo di cantare di Mario Del Monaco in questo video (minuto 1.50) appartiene, contrariamente al giudizio di chi l’ ha pubblicato, alla categoria del canto “ingolato” nel senso che abbiamo precisato, ossia tenendo presente che l’ errore non consiste nell’ usare la gola (che, contrariamente al naso, è una legittima cavità di risonanza), ma nel permettere che la verticalità della gola abbia il predominio sull’ altra cavità, la bocca, che così viene anch’essa verticalizzata, alterando il processo di articolazione, che è quello che genera la scintilla del suono puro. In questo caso l’ apertura anomala della bocca di Del Monaco nella zona acuta della voce è accentuata dall’ espediente, tipico dell’affondo, dell’ atteggiare la labbra a imbuto, espediente che si nota anche in Giacomini.

C’è però una differenza tra Del Monaco, da una parte, e Giacomini e Kaufmann dall’ altra: soprattutto nella prima parte della romanza, in Del Monaco sono assenti gli effetti di portamento e scavo in basso del suono e il timbro della voce non appare scurito artificialmente come negli altri due, che è il motivo per cui chi ha pubblicato il video, non l’ ha inserito tra i casi di voce “ingolata” (o, più precisamente, affondata). Questo non perché Del Monaco non affondi la voce in questo video, ma perché, come ha rivelato in un’ intervista, Del Monaco (che, secondo le sue testuali parole, “non si è mai fidato di Melocchi”), mentre studiava con Melocchi, contemporaneamente studiava con Morigi, che fungeva in un certo senso da antidoto di Melocchi, insegnandogli il metodo opposto della ‘maschera’ (che è un altro generatore di tensioni non necessarie, ma in una misura ridotta rispetto all’ affondo). Questo spiega perché la voce di Del Monaco sia stata sempre esente da quella ‘fuliggine’ scura, che invece ricopre fastidiosamente la voce sia di Giacomini, sia di Kaufmann, privandola proprio della qualità principale dei tenori di tradizione italiana: la lucentezza e la solarità del timbro.

In conclusione il concetto di “ingolatura” della voce risulta fuorviante perché induce a individuare come sede e causa di un difetto quella che è invece una cavità di risonanza fondamentale del canto, più precisamente la cavità di risonanza che dà rotondità al suono e che, aggiunta a quella della bocca, trasforma il suono parlato in suono cantato, come sempre hanno saputo gli antichi, parlando appunto (in senso positivo!) di “cantar di gorga” (ossia ‘cantare di gola’). ‘Difetto’ significa in senso letterale ‘mancanza’. Che cos’ è che manca nel suono “ingolato”, inteso in senso negativo? Risposta: la bocca o, più precisamente, la giusta relazione dinamica con la cavità di risonanza della bocca, generatrice della brillantezza naturale del suono. Pertanto dire che un suono è “ingolato” in senso negativo è come accusare un colore di essere blu invece che verde, non capendo che, se non è verde, non è perché è blu, ma perché gli manca il giallo.

Antonio Juvarra


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