Antonio Juvarra – Colombara e la tecnica definitiva

Con il mese di settembre, ritorna la rubrica di Antonio Juvarra sui problemi della didattica vocale. Ecco il suo nuovo contributo. Grazie come sempre ad Antonio per la collaborazione e a tutti voi buona lettura.

“TECNICA VOCALE DEFINITIVA” O TECNICA VOCALE NON ITALIANA?

“Definitive opera technique” è il titolo un po’ ambizioso di un video di tecnica vocale, pubblicato dal basso Carlo Colombara. Molte sono le affermazioni condivisibili che ritroviamo in questo video, ma ce n’è una che da sola basta a mostrare che quella proposta in questo video non è affatto la “tecnica vocale definitiva” e che potrà eventualmente diventarlo, solo se provvederà a eliminarla, in quanto rischia di incidere sui fondamenti tecnici dell’ autentico canto all’ italiana.

Questa affermazione è quella secondo cui “la vocale ‘A’ non va mai cantata ‘A’, ma ‘AO’”, per cui “il segreto per farla bene consisterebbe nell’ inserire nella ‘A’ “una piccola ‘U’”. È il caso di chiarire a questo proposito, a titolo di premessa, che la teoria delle vocali geneticamente modificate non ha nulla a che fare con la scuola di canto italiana storica, trattandosi di un artificio anti-acustico di natura compensativa, introdotto nel canto dalla foniatria francese della seconda metà dell’Ottocento, per cui, se si insiste su questa teoria falsa, necessariamente occorrerà correggere il titolo di questo corso, chiamandolo non più “definitive opera technique”, ma, più realisticamente, “NON-Italian opera technique”.

Ora, quando una mistificazione si radica così in profondità da essere scambiata per un dato ovvio, quasi scontato, è necessario ricordare per l’ ennesima volta alcuni fatti storici fondamentali. Il primo di questi fatti storici è che NESSUNO prima dello spagnolo naturalizzato francese Manuel Garcia, quindi prima del 1840, si era mai sognato la teoria farlocca della necessità della modificazione della vocale ‘A’ in AO o del suo oscuramento artificiale tramite l’ inserimento della ‘U’. La giustificazione che viene data (sempre dalla foniatria) a questo espediente farlocco è un’ altra mistificazione: quella secondo cui in quel periodo sarebbe nata una nuova tecnica vocale, resasi necessaria per affrontare il nuovo repertorio operistico, basato su un’ orchestrazione molto più pesante rispetto a quello precedente. Ora occorre tener presente che stiamo parlando di un’ epoca che già aveva visto la creazione di opere che non sono certo Il matrimonio segreto o Così fan tutte, bensì il Guglielmo Tell, Norma, Lucia di Lammermoor, Gli Ugonotti, il che di per sé è sufficiente per scalzare la falsa teoria foniatrica della presunta nascita, in questo periodo storico, di una nuova tecnica vocale, basata su espedienti come quello citato della ‘A’ trasformata in ‘AO’.

Questo per quanto riguarda l’ aspetto storico. Passiamo adesso all’ aspetto acustico e fisiologico. Che la vocale ‘U’ (pura) aiuti ad aprire morbidamente la gola è un fatto accertato. Ma pensare di usarla come microstampino per formare le altre vocali è quanto di più astruso (acusticamente e fisiologicamente) si possa concepire. Il senso dello spazio morbido della gola aperta infatti deve essere subito scollegato dalla vocale ‘U’, che ha CONTRIBUITO a generarlo. Mantenere, al contrario, questo collegamento sarebbe come, avendo constatato che una macchina funziona con la benzina e con l’ olio, pensare di poter mettere l’ olio nella benzina o viceversa.

Ogni vocale infatti rappresenta un unicum, la cui forma non è contaminabile con quella di nessun’altra vocale, anche se metaforicamente si può pensare che, come ogni nota contiene in sé come armonici le altre note, così ogni vocale contenga in sé gli ‘armonici’ delle altre vocali. A questo punto però, come sarebbe assurdo dire a qualcuno: “Canta questo Do, facendo sentire l’armonico Mi, in esso contenuto”, così è assurdo dire a qualcuno: “Cantami questa ‘A’, mettendoci dentro una piccola ‘U’ …” Questa idea è il riflesso di una concezione statica e meccanica del canto, che non ha nulla a che fare con la superiore concezione (dinamica e fluida) della scuola di canto italiana storica.

Il concepimento mentale delle vocali PURE e il mantenimento dell’ articolazione essenziale e sciolta del parlato è il doppio fattore che rende possibile, in automatico, l’ osmosi acustica delle varie vocali, fenomeno naturale che non ha nulla a che fare con l’ utilizzo di una qualsiasi vocale come modello di spazio di risonanza delle altre vocali o con la mescolanza diretta, intenzionale, di due vocali diverse, ciò che porta alla distorsione del suono e alla risonanza forzata.
Se dessimo per buona questa concezione statico-meccanica della risonanza, allora sarebbe altrettanto legittimo affermare che nella vocale ‘A’ c’è una piccola ‘I’, dato che ogni suono deve essere non solo rotondo, ma anche brillante. E la stessa cosa si potrebbe dire delle altre vocali, il che porterebbe a una confusione babelica, che è quella che viene espressa sarcasticamente con la frase surreale: “Canta la ‘A’ nella posizione della ‘O’, pensando a una ‘U’, ma col sentimento della ‘I’…”

A questo punto, per capire le cause che hanno dato origine questa teoria anti-acustica, occorre chiedersi: perché a un certo momento della storia del canto qualcuno (leggi la foniatria francese ottocentesca) è arrivato a pensare erroneamente che per arrotondare la vocale ‘A’ fosse necessario inserirvi una ‘U’ o comunque scurirla? La risposta è semplice: perché si trattava dell’ espediente necessario per compensare lo squilibrio acustico generato da un’ altra idea errata, prodotta nello stesso periodo, e cioè quella secondo cui il suono giusto sarebbe ‘avanti’ e il suono sbagliato sarebbe ‘indietro’.
Ora se si teorizza che la vocale A (per sua natura già brillante) debba essere portata ‘avanti’, allora succederà che la vocale ‘A’ (che foneticamente NON è una vocale anteriore) diventerà per forza ‘schiacciata’. Da qui l’ espediente artificiale della ‘U’ da inserire nella ‘A’, espediente che ovviamente potrà al massimo COMPENSARE lo squilibrio, ma non certo SANARLO.

Che questa concezione (NON belcantistica e NON italiana!) sia quella fatta propria da Colombara come teorico di didattica vocale, trova conferma in altri due fatti: al minuto 6.16 del video, parlando del suono fisso, Colombara lo definisce “suono indietro” (in senso negativo), mentre all’ inizio del video, parlando della corretta impostazione vocale, usa (in senso positivo) il termine “proiezione” (che è un sinonimo di ‘suono avanti’) per definirla.

In realtà, contrariamente a quanto si pensa, a rendere il suono “indietro” (in senso negativo) non è il suo essere ‘indietro’, ma è il suo essere ‘verticalizzato’, che è ciò che succede, se noi pensiamo o di scurire la vocale o di inserire una piccola ‘U’ nella ‘A’. A confermare indirettamente che di questo si tratta, è lo stesso Colombara, quando, al minuto 2.22 fa la distinzione tra un suono effettuato senza il passaggio di registro e un suono effettuato con il passaggio di registro. Ebbene, il secondo suono, presentato come esempio di suono ‘passato’ (cioè effettuato con il passaggio di registro), non è affatto ‘passato’, ma è solo scurito-intubato, ed è scurito-intubato perché, appunto, verticalizzato artificialmente.

In conclusione, considerare una qualsiasi vocale (sia essa la ‘U’, la ‘A’ o la ‘I’) come ‘preferenziale’ e modello delle altre, è assurdo. Sarebbe come dire che nella pittura il colore blu è preferibile al giallo o viceversa. Ogni vocale rappresenta una diversa dimensione del suono, con precise caratteristiche acustiche non riscontrabili nelle altre. Ad esempio, la ‘U’ rappresenta la dimensione della morbidezza del suono, che per sua natura è il contrario della brillantezza, che quindi non si potrà mai trovare nella ‘U’, ma in altre vocali come la ‘I’ e la ‘E’. A questo punto si delineano già i problemi che si pongono, se io considero una di queste vocali come modello delle altre: se scelgo la ‘I’ e la ‘E’, non troverò mai la morbidezza, mentre se scelgo la ‘U’, non troverò mai la brillantezza.

Come si otterrà allora quella magica fusione delle qualità delle varie vocali nel suono perfettamente sintonizzato e a risonanza libera del BELCANTO, che è un fenomeno paragonabile alla fusione dei colori dell’iride nella luce bianca? Risposta: non con la mescolanza statica, meccanica di una vocale con un’altra, ma con la FUSIONE DINAMICA degli armonici di una vocale con quelli di un’altra vocale, che a sua volta si realizzerà naturalmente, automaticamente, mantenendo nel canto la perfetta essenzialità e scioltezza dell’articolazione parlata.

La realizzazione di questa fusione è la funzione dei vocalizzi, che quindi devono utilizzare TUTTE LE VOCALI, alternandole dinamicamente tra loro in modo da rompere le barriere illusorie che separano una vocale dall’ altra e realizzare in tal modo quel ‘fondere senza confondere’ che è la caratteristica del suono belcantistico e che è lontano anni luce dai moderni barbarici muggiti e ‘parkinson’ labiali e linguali, con o senza effetto sirena, utilizzati come esercizi vocali, con i quali genialmente (e forse karmicamente) si è realizzata a tutti gli effetti la sostituzione dei vocalizzi con i versi animaleschi.

Antonio Juvarra


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