Marco Gaudino – Il coraggio di dire “No!”


Ricevo e pubblico un altro contributo di Marco Gaudino, dedicato a un problema didattico a proposito del quale si è molto dibattuto nelle scorse settimane

Il coraggio di dire “No” agli orali di maturità: due possibili analisi ed ipotesi di soluzione.

del prof. Marco Gaudino-Presidente agli esami di maturità in Campania

Analisi semplicistica

Ogni anno, con l’arrivo dell’esame di Stato, la scuola italiana si confronta non solo con la preparazione degli studenti, ma anche con il loro atteggiamento verso l’istituzione stessa. Si è registrato un fenomeno in crescita, inquietante nella sua semplicità: ragazzi che rifiutano di presentarsi all’orale. Alcuni lo fanno per ansia, altri per menefreghismo, altri ancora perché sanno di poter contare su una “promozione facile”. Ma il dato di fondo resta: la scuola pubblica viene spesso vissuta come un ente da non rispettare, da non temere, da ignorare.
❝ Un tempo l’orale era un rito, oggi è un optional ❞
Una volta, affrontare l’esame di maturità era un passaggio quasi sacro: tensione, notti in bianco, abiti scelti con cura. Oggi, per una parte degli studenti, non è più così. Non pochi entrano in aula svogliati, svuotati, senza mostrare rispetto né per la commissione né per sé stessi. In alcuni casi, addirittura, rinunciano a sostenere l’orale pur sapendo che il loro voto finale ne risentirà.
Che cosa è cambiato?
Una scuola troppo “buona”?
Una delle ipotesi più discusse è che la scuola pubblica sia diventata troppo buonista, troppo attenta a non “traumatizzare” gli studenti, troppo timorosa di sanzionare, troppo generosa nelle valutazioni. Questo clima di indulgenza potrebbe aver generato una percezione distorta del valore dell’istruzione: la promozione come diritto, non come traguardo.
Molti insegnanti lamentano che è difficile tenere alto il livello quando le famiglie si aspettano promozioni a prescindere e le dirigenze scolastiche tendono a evitare bocciature per non “creare problemi”. In questo contesto, gli studenti percepiscono la scuola non come un’autorità formativa, ma come una realtà debole e prevedibile. E un’autorità debole, lo sappiamo, non viene rispettata.

I segnali del disinteresse
Il rifiuto dell’orale è solo la punta dell’iceberg. Altri segnali parlano chiaro: assenze prolungate, compiti copiati, mancanza di partecipazione attiva, comportamenti irrispettosi verso i docenti. Il tutto spesso accompagnato da una certa impunità. Non è raro che studenti che hanno dato il minimo si ritrovino comunque con voti dignitosi e diplomi garantiti. Il risultato? Un patto educativo che perde di senso. La scuola chiede impegno, ma non sempre ha il coraggio di esigere risultati. Gli studenti lo capiscono, e reagiscono di conseguenza.

Non basta “capire i ragazzi”
Certo, è giusto che la scuola sappia ascoltare, accogliere le fragilità, leggere il contesto sociale. Ma questo non significa abdicare al proprio ruolo educativo e formativo. Una scuola efficace non è quella che “non boccia”, ma quella che pretende e accompagna, che sostiene e corregge, che offre senso alle regole, non solo accoglienza.

Un problema culturale, non solo scolastico
Alla base, forse, c’è anche una crisi culturale più ampia. In un mondo in cui tutto deve essere “facile”, “veloce”, “senza stress”, l’idea stessa di esame, sforzo, fatica viene rifiutata. Se la società nel suo insieme non valorizza lo studio, la scuola da sola non può reggere.

Ripensare l’autorevolezza della scuola
I “no” all’orale non sono solo atti di insicurezza o ribellione individuale. Sono segnali chiari di una perdita di autorevolezza della scuola pubblica, vissuta sempre più come una formalità da sopportare, non come un luogo che forma e trasforma.
Se non si interviene per ristabilire il senso della valutazione, del merito e del rispetto reciproco, la scuola rischia di perdere il suo significato più profondo: essere un luogo in cui si cresce, si sbaglia, si lotta — e si impara anche a dire “sì” quando è difficile.

Analisi più approfondita dei “NO”
A rompere il silenzio carico d’ansia delle aule scolastiche, è una scelta che suona come un grido: quella di dire “no” agli orali. Un rifiuto netto. Non per mancanza di preparazione, ma per un malessere profondo che coinvolge scuola, società e identità personale.

Il No come Atto di Coraggio
Per molti, rinunciare all’orale è un atto di resa. Ma per altri, sta diventando un gesto di ribellione lucida, un modo per denunciare un sistema educativo percepito come distante, stressante, spesso disumanizzante. Non si tratta solo di paura dell’esame, ma del rifiuto di un meccanismo che misura il valore degli studenti in base alla loro capacità di performare in un contesto artificiale, spesso senza tener conto del loro percorso, delle loro difficoltà, o delle loro potenzialità non convenzionali. Questo “no” può essere visto, allora, come un atto di coraggio civile. Una dichiarazione: “Io non sono un numero, una griglia di valutazione, un voto finale. Sono molto di più.” È un modo per riportare l’attenzione su ciò che l’educazione dovrebbe essere: crescita, consapevolezza, dignità, e non una corsa all’ansia da prestazione.

Il Contesto Sociale: giovani in frattura
Dietro ogni studente che dice “no” c’è spesso una storia di disagio. L’Italia è un Paese in cui i giovani si sentono sempre più incompresi, pressati, poco ascoltati. Il sistema scolastico non fa eccezione: programmi spesso anacronistici, valutazioni impersonali, e uno scarso riconoscimento del peso che l’ansia e la salute mentale hanno sul rendimento. L’orale, in questo quadro, diventa il simbolo di un sistema che pretende, senza chiedersi cosa offre. Un sistema che chiede risposte, ma non ascolta domande. E così, dire “no” può essere un modo estremo per farsi ascoltare.

Educazione o Addestramento?
Il problema più profondo è culturale. In Italia, la scuola è ancora vista da molti come un’istituzione autoritaria più che come un luogo di dialogo. L’esame orale, in particolare, rappresenta questa tradizione: l’autorità (i professori), il giudizio (il voto), la retorica (l’esposizione), la pressione (la performance). Ma cosa succede quando gli studenti non si riconoscono più in questo schema? Succede che si spezza qualcosa. L’educazione, da spazio di crescita, diventa terreno di scontro. E l’atto di rifiuto diventa un messaggio: la scuola deve cambiare. Deve essere inclusiva, attenta, moderna. Deve valutare davvero, non solo giudicare. Deve dare voce, non solo aspettarsi obbedienza.

Una Scuola che punisce chi non regge
Chi decide di non sostenere l’orale viene spesso trattato come un caso limite, un fallimento personale. Ma il problema non è l’individuo. È il sistema: una scuola che punisce chi non riesce a reggere, invece di chiedersi perché? Dire “no” all’orale non è solo un gesto individuale: è il sintomo di un malessere collettivo. È una denuncia che la scuola dovrebbe ascoltare, invece di etichettare?

Ripensare il valore dell’esame
L’esame di maturità dovrebbe essere un’opportunità per valorizzare un percorso, non per umiliare chi non si adegua. Chi dice “no” agli orali non va condannato, ma capito? Il suo gesto ci invita a riflettere su che tipo di scuola vogliamo: una che giudica o una che educa? Una che esclude o una che accoglie? Forse è il momento, davvero, di togliere il vestito vecchio all’esame di maturità, e immaginare un futuro educativo dove il coraggio non sia quello di resistere alla pressione, ma quello di cambiare le regole del gioco.

Studi Psicologici sul malessere da esame
1. Ansia da esame e ridotta autoefficacia
Uno studio condotto su studenti universitari ha rilevato come «l’ansia pre-esame e i livelli di cortisolo saliva» (indicatore fisiologico di stress) diminuiscano con il tempo, a patto che vi sia una buona autoefficacia percepita. Gli autori evidenziano come chi ha fiducia nelle proprie capacità valuti l’esame meno come minaccia, riducendo stress e ansia. Al contrario, chi percepisce l’orale come sfida insormontabile può vivere un livello di tensione che paradossalmente peggiora la performance.

2. Ansia d’esame più forte per l’orale
Un altro studio su studenti in medicina mostra che l’ansia da test è significativamente più elevata prima degli orali rispetto agli scritti. La modalità faccia a faccia, con osservazione diretta del docente, amplifica il senso di vulnerabilità e il timore di giudizio.

3. Sintomi fisici e burnout scolastico
L’ansia da esame non è solo mentale: ricerca tra studenti di medicina e liceo descrive sintomi somatici come nausea, insonnia, emicranie, problemi digestivi, attacchi di panico. In Italia, uno studio comparativo evidenzia diffusione del burnout scolastico tra adolescenti, con conseguenze sul benessere emotivo e sulla motivazione.

4. Rifiuto scolastico e ostilità verso la scuola
Il rifiuto di partecipare alla vita scolastica (school refusal) è stato associato a profili psicopatologici come ansia generalizzata, disturbi oppositivi e fobia sociale. Anche se il contesto dell’orale di maturità è diverso, chi rifiuta può condividere lo stesso meccanismo: attaccare un sistema percepito come gravoso, ingiusto o oppressivo.

5. La percezione emotiva della scuola in Italia
Uno studio basato su “forma mentis networks” ha evidenziato che molti studenti italiani associano la parola “scuola” a emozioni negative, ansia, verifiche e stress, mentre altri soggetti (esperti STEM) la vedono anche come crescita e svago. Questo disallineamento mette in luce la crisi del modello educativo tradizionale.

6. Perché cedere non è debolezza
Il rifiuto di sostenere l’orale non è fuga o pigrizia, ma può essere la conseguenza di un accumulo di stress da esami, paura d’esser giudicati, ansia da prestazione e burnout. In questo contesto, dire “no” è un segnale emotivo forte, che dichiara: non voglio subire questa logica di valutazione distruttiva.

Diagnosi del disagio
L’ansia da orali è acuta e spesso associata a sintomi fisici invalidanti: insonnia, dolori, panico. Chi abbandona manifesta una sovrapposizione tra stress cronico, burnout e percezione negativa della scuola.

Espressione di un malessere sistemico
Il gesto di dire “no” è trasversale: può riguardare studenti capaci, consci, ma esasperati da aspettative fuori misura. Non è isolamento o rifiuto del sapere, bensì rifiuto di un sistema che non ascolta, non contiene, non educa davvero?

Possibili vie di intervento
Incrementare il supporto psicologico e la promozione di autoefficacia e resilienza (es. training cognitivo-comportamentale).
Riformare l’approccio alla valutazione: strumenti meno stressanti, valutazioni formative, simulazioni, riduzione della centralità dell’orale in fase finale.

Integrando questi studi, l’atto di dire “no” all’orale di maturità non può più essere interpretato come semplicemente provocatorio o antisociale. È un segnale di disagio psicologico reale, di stress prolungato, e di mancata rispondenza tra aspettative della scuola e bisogni degli studenti.

Fonti

UniTrento – ansia da esame: descrive il legame tra ansia pre-esame, stress fisiologico (cortisolo) e calo dell’autoefficacia, nonché efficacia di tecniche di rilassamento e supporto psicologico.

Corriere / FL Cgil – studio Università di Milano (Pagani): testimonia come palpitazioni, aumento di pressione e cortisolo siano reali indicatori del malessere che accompagna gli orali.

State of Mind: descrive come l’aumento di cortisolo, causato anche da carenza di sonno, peggiori memoria e concentrazione.
Dati su burnout e abitudini alimentari
Il Sole 24 Ore / Skuola.net: segnala che nel 2024, 9 studenti su 10 vedono la maturità come fonte di stress, con alterazione del sonno, cattive abitudini alimentari e aumento del consumo di caffeina.
Wikipedia – burnout da apprendimento: descrive il fenomeno del burnout scolastico, le sue caratteristiche (esaurimento, depersonalizzazione, perdita di efficacia) e le sue conseguenze.
LUMSA: cita uno studio comparativo tra Italia e Svizzera sui livelli elevati di burnout tra gli adolescenti.
Percezione emotiva negativa della scuola
ArXiv – forma mentis networks: mostra come molti studenti italiani associno “scuola” a emozioni negative, ansia, verifiche e stress, a differenza degli esperti STEM.
Sintomi e statistiche generali
GoStudent / Insights 2025: rileva che il 43 % degli studenti soffre di problemi di concentrazione, il 28 % di disturbi del sonno, il 22 % soffre di mal di testa/nausea a causa della pressione degli esami.

Tutte queste ricerche dimostrano che l’ansia da esame e il burnout non sono fenomeni astratti, ma provocano disturbi reali (fisici e mentali) e modificano profondamente la percezione della scuola tra gli studenti. Questi dati rendono più comprensibile il senso profondo del gesto di dire “no” agli orali: non una fuga immotivata, ma un segnale di rifiuto di un sistema che rischia di danneggiare seriamente il benessere dei giovani. Negli ultimi giorni sono emersi almeno tre casi in Veneto di studenti che, consapevoli di avere già sufficiente punteggio tra scritti e crediti, hanno deciso di non presentarsi all’orale o di restare in silenzio davanti alla commissione. Non si tratta di ansia da prestazione, bensì di una decisione presa “per protesta” nei confronti di un sistema scolastico percepito come freddo, competitivo e incapace di ascolto. Secondo lo psicologo Lavenia, questo rifiuto non è semplice ribellione, ma piuttosto un gesto di consapevolezza nei confronti di una scuola che ha ridotto gli studenti a “numeri”, trascurando emozioni e fragilità.

Una soluzione possibile: rendere l’orale più dialogico e partecipato
1 Pre-orali come spazio di confronto
Prima dell’esame, prevedere uno o più incontri preparatori tra studenti e commissioni per lavorare su: aspetti deboli dell’istituzione (stress, competitività, disconnessione) modalità più umane di interazione, ad esempio con domande aperte e feedback costruttivi

2. Orali tematici e riflessivi
Dare spazio al discorso personale degli studenti:
Non solo domande tecniche, ma anche riflessioni su crescita personale, senso dell’educazione, esperienze scolastiche
Favorire un colloquio interpersonale, non meramente valutativo

3. Formazione dei docenti
Offrire brevi corsi sui temi:
Empatia e comunicazione
Gestione delle emozioni degli alunni, riduzione dello stress
Creazione di un clima di ascolto e fiducia
4. Valuta emozioni e crescita personale
Integrare l’orale con rubriche che assumano come criteri anche la consapevolezza di sé, la capacità di riflettere criticamente su sé stessi e sul sistema educativo.
Perché questa soluzione potrebbe avere un senso
Risponde alla protesta con apertura, anziché punizione
Rivaluta l’orale come momento di crescita, non solo verifica
Costruisce una relazione di fiducia tra studente e istituzione
Previene gesti estremi restituendo un senso all’impegno finale

Il rifiuto dell’orale non può essere liquidato come assenza di rispetto o esibizionismo. Al contrario, è un grido d’allarme: la scuola rischia di diventare un rito vuoto. Serve un cambio culturale, che si traduca in pratiche reali. Una maturità che ascolta, dialoga e valorizza la persona più della performance, potrebbe ricostruire il legame tra studenti e istituzione, rendendo l’orale non solo obbligatorio, ma desiderabile.

Il colloquio orale agli esami di Stato: un banco di prova sottovalutato
Il colloquio orale agli esami di Stato, specie quando impostato in chiave interdisciplinare, non è affatto un passaggio secondario. Al contrario, rappresenta un momento cruciale in cui lo studente è chiamato a dimostrare non solo le conoscenze acquisite, ma anche la capacità di collegare ambiti diversi, di argomentare con coerenza e di esprimersi con chiarezza e autonomia. Si tratta, dunque, di una prova complessa, che richiede preparazione, maturità e visione d’insieme.
Proprio per questo, la scuola secondaria – sia di primo che di secondo grado – dovrebbe assumersi con maggiore consapevolezza il compito di preparare gli studenti a questo tipo di sfide, fungendo da ponte tra la formazione generale e il mondo degli studi universitari. L’università, infatti, ha sempre più l’obiettivo di formare professionisti, lasciando in secondo piano l’educazione integrale della persona. Non è compito del sistema accademico, in molti casi, coltivare capacità trasversali o rafforzare la consapevolezza critica: lo studente è chiamato ad arrivarci già pronto, capace di affrontare un percorso specialistico con strumenti solidi.
Ecco perché un colloquio ben strutturato e affrontato con serietà, in grado di valorizzare le competenze interdisciplinari, può rappresentare una vera palestra di crescita. È un’occasione – forse tra le ultime offerte dal sistema scolastico – per dimostrare di essere non solo studenti, ma persone capaci di pensare, collegare, argomentare. Preparare davvero a questo momento significa investire nel futuro, accorciando le distanze tra la scuola e l’università, e rendendo più consapevoli coloro che vi si affacciano.

Marco Gaudino


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