Bamberger Symphoniker – Jakub Hrůša e Julia Fischer

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Foto ©Marian Lenhard

I Bamberger Symphoniker sono una tra le formazioni orchestrali più accreditate nel panorama musicale tedesco. Costituitisi nel 1946 a Bamberg, antica città della Franconia che vale davvero una visita per la bellezza del suo centro storico, i Bamberger Symphoniker vantano una storia esecutiva illustre, impreziosita da collaborazioni con diversi tra i massimi direttori del dopoguerra e documentata da una cospicua produzione discografica. Il suono del complesso è stato senza dubbio influenzato dall’ origine boema della maggior parte dei musicisti presenti nel nucleo dei fondatori, provenienti dalla Deutsche Philharmonie di Praga e giunti a Bamberg insieme ad altri musicisti tedeschi tramite il flusso di profughi dell’ immediato dopoguerra. L’ orchestra possiede tuttora una sezione archi dal timbro caldo e luminoso e legni dal suono omogeneo, pastoso e ricco di sfumature, con un colore molto personale richiamante quello di complessi come la Tschechische Philharmonie.

L’ orchestra francone avrebbe dovuto esibirsi proprio in questi giorni a Stuttgart, con un programma che si presentava molto attraente anche per la partecipazione del celebre attore austriaco Klaus Maria Brandauer. Purtroppo, le stramaledette limitazioni che hanno portato alla chiusura dei teatri tedeschi hanno fatto saltare tutta la stagione dell’ orchestra (compresa la tournée in Giappone programmata per il mese di giugno), sostituita dal management del complesso con una serie di concerti in streaming dalla Joseph-Keilberth-Saal della Konzert und Kongresshalle, sede abituale dei Bamberger Symphoniker e cosí chiamata in onore di Joseph Keilberth,il grande direttore nativo di Kalrsruhe famoso per le sue interpretazioni wagneriane,  che ne fu il primo Generalmusikdirektor per quasi vent’ anni. Dopo le due lunghe gestioni artistiche di Horst Stein e Jonathan Nott, dal 2016 la guida stabile della formazione è passata nelle mani di Jakub Hrůša, quinto Chefdirigent nella storia dell’ orchestra. Il trentanovenne Hrůša, originario di Brünn e allievo tra gli altri di Jiří Bělohlávek, è un musicista in sicura ascesa in campo internazionale, che dirige regolarmente le grandi orchestre mondiali e che io in occasione delle sue esibizioni a Stuttgart con la RSO des SWR avevo già acuto modo di segnalare come interprete di grande personalità. Le mie impressioni sono state confermate in questa occasione sin dal brano di apertura del programma, una trascinante esecuzione dell’ Ouverture- Fantasia Romeo und Julia di Tschaikowsky, davvero eccellente per pathos e ricchezza di cantabilità.

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Foto ©Marian Lenhard

Per questo concerto in streaming, è stata invitata come solista Julia Fischer, la trentasettenne violinista monacense che, insieme ad Arabella Steinbacher, è probabilmente la virtuosa tedesca più interessante della giovane generazione. Julia Fischer ha studiato a München con Ana Chumachenco, virtuosa italo-argentina di origini ucraine il cui padre era stato allievo del celeberrimo Leopold Auer e che è stata una delle più reputate insegnanti tedesche, dalla cui scuola sono uscite anche altre giovani violiniste di grande talento come Arabella Steinbacher, Lisa Batiashvili e Veronika Eberle. La Fischer, che è anche un’ apprezzata pianista, ha assunto da diversi anni la successione della sua insegnante come Professor alla Hochschule für Musik und Theater München. Ho ascoltato diverse volte la giovane violinista bavarese qui a Stuttgart negli anni passati e devo dire che la sua maturazione artistica è stata finora costante e notevole. Il suono non è molto voluminoso ma timbratissimo e penetrante; la tecnica è sicuramente quella di una virtuosa di alto livello per quanto riguarda la condotta dell’ arco e la nitida chiarezza con cui vengono risolti i passaggi di agilità. Come si era già capito dalla sua bella registrazione del Concerto di Dvorak insieme a David Zinman, recentemente pubblicata dalla DECCA, la Fischer ha una bella affinità stilistica con il repertorio slavo che le ha consentito di rendere al meglio le linee melodiche del Concerto per violino op.82 di Glazunov, probabilmente la pagina più popolare scritta dal compositore russo, eseguita in prima assoluta dal leggendario Leopold Auer e poi divenuta un cavallo di battaglia per virtuosi come Mischa Elman e David Oistrakh. La virtuosa bavarese ne ha dato un’ interpretazione notevole per padronanza tecnica e incisività di fraseggio. traendo dal suo strumento, un Guadagnini del 1742, sonorità calde e colori di grande fascino. Una prova eccellente da parte di una violinista che in questa interpretazione ha dimostrato di essere ormai arrivata alla piena maturità artistica.

Nella seconda parte del programma, Jakub Hrůša e i Bamberger Symphoniker hanno proposto la Sinfonia N° 9 in mi bemolle maggiore op.70 di Dmitri Shostakovich, terzo pannello della cosiddetta Trilogia di guerra, eseguita per la prima volta il 3 novembre 1945 dalla Filarmonica di Leningrad diretta da Yevgeny Mrawinsky. In questo lavoro il compositore deride in maniera graffiante le aspettative del Partito, che gli aveva commissionato un lavoro celebrativo di tono trionfalistico e solenne, scrivendo una partitura dai toni di amaro e corrosivo sarcasmo. Entrambi i temi del primo movimento danzano allegramente con il secondo, grottescamente introdotto da un portentoso motivo di due note dal trombone, che sconfina rapidamente nella trivialità. C’ è un momento particolarmente comico alla conclusione dello sviluppo quando al trombone ed al suo motivo di due note occorrono sei tentativi per ripresentare il secondo tema, continuamente respinto finché, in seguito al settimo tentativo, lo sforzo è coronato dal successo. Dopo un breve, vertiginoso scherzo ed un (canzonatorio?) solenne recitativo di fagotto (in cui Leonard Bernstein ha percepito un riferimento alla Nona di Beethoven) che funge da quarto movimento, Shostakovich torna al tono giocoso e a quello triviale nel movimento conclusivo, che culmina in modo derisorio in una caricatura di marcia trionfale. In totale contrasto, il secondo movimento è costruito attorno ad alternanze tra un piccolo tema molto lamentoso esposto da vari assoli dei legni e una lenta, cromatica marcia suonata in accordi paralleli dagli archi, esageratamente lugubre fino a raggiungere i toni della parodia. Jakub Hrůša, insieme a un’ orchestra davvero in eccellente stato di forma, ha reso con precisione tutto il carattere grottescamente ironico di questa musica. Il giovane direttore praghese ha trovato accenti e colori da interprete di alto livello, per eleganza di fraseggio, accuratezza nella realizzazione delle dinamiche e perfetta immedesimazione stilistica, delineando alla perfezione la parodia dello stile classico che costituisce il carattere peculiare della partitura. Un’ esecuzione trascinante, che ha messo in mostra tutta la classe di un direttore senz’ altro da considerare tra i più originali e preparati della giovane generazione, in possesso di tutte le qualità necessarie per diventare un grande del podio nei prossimi anni.


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